]L’analisi fredda dei numeri ci dice che in Italia il maggior partito è quello dell’astensionismo al 41,3%. Segue il PD col 22,6%, il M5S con l’11,7%, Forza Italia col 9,3%, Lega Nord col 3,4%, NCD col 2,4%,. Tsipras col 2,2%.
Numeri tristi che raccontano di un’Italia rinunciataria, sfiduciata, indifferente, ignorante, del “non vado a votare tanto non cambia niente perché son tutti uguali”. Inutile sperare in un esame di coscienza da parte dei partiti. Anche di fronte ai dati più disastrosi ognuno trova sempre il modo per consolarsi, per raccontare a se stessi e agli altri che comunque sia è andata bene.
L’astensionismo è il segno più evidente di una democrazia malata. Quando la gente non va a votare vuol dire che ci sono problemi gravi nel rapporto di fiducia con i partiti. Vuol dire che sta venendo meno quel senso di appartenenza alla comunità che induce a prendersi cura di lei e a voler decidere insieme agli altri come organizzarla. Vuol dire che ci si sente inadeguati, che difronte alla complessità inestricabile si preferisce farsi da parte. E se volessimo porre un rimedio serio al problema dovremmo cominciare dalla scuola, facendo dell’educazione civica la materia principale di insegnamento. Non raccontando in maniera sterile come funziona il governo e il parlamento, ma abituando i ragazzi a essere cittadini sovrani. Facendoli essere protagonisti del proprio apprendimento, abituandoli a prendere insieme le decisioni, trasformando la scuola in un crocevia di discussione, tuffandosi nei fatti del tempo presente per conoscerli, analizzarli, interpretarli, giudicarli. E’ inutile arrabbiarsi con i cittadini. Se non partecipano è perché non sono stati messi in condizione di farlo. Non a caso, ma perché fa comodo ai potenti e agli ambiziosi che in assenza di chi controlla possono fare ciò che vogliono. Tant’è che si sta scrivendo una nuova legge elettorale che in spregio alla Costituzione e al verdetto della Corte Costituzionale si sta orientando a garantire la maggioranza assoluta dei seggi a partiti che non rappresentano più del 15% della popolazione. Mentre le minoranze saranno messe totalmente fuori gioco con uno sbarramento all’8%. Negare rappresentanza a fasce così alte di popolazione è una forma di dittatura strisciante. Come troveremo argomentazioni per spingere la gente al voto in un contesto tanto grottesco?
Il grande mare degli astenuti comprende anche molti elettori di sinistra, gente, cioè, che crede nei diritti, nell’equità, nei beni comuni, nella sostenibilità. Speravo che la lista Tsipras riuscisse a convincerne di più a tornare al voto. Ci eravamo messi tutti in campo per questo e mi interrogo cosa non ha funzionato. Di sicuro siamo stati puniti dall’oscuramento dei media. Tutti d’accordo nel non dare spazio agli unici che invece di sbraitare facevano proposte. Ma si sa le proposte sono assai più pericolose della protesta.
In ogni caso è servito per imparare che nella società massificata non basta avere buone idee. Bisogna farle arrivare ai cittadini. Ci eravamo illusi di potercela fare col passaparola. Eravamo certi che i nostri simpatizzanti ci avrebbero incrociato perché è gente che prende l’iniziativa di informarsi. Ma non è così. Anche gran parte dei nostri ha un atteggiamento attendista. Ha bisogno che la notizia gli arrivi a casa mentre è sul divano. Per questo la televisione funziona. Lo stesso Movimento cinque stelle, che eppure ha lavorato tanto in rete, il suo exploit lo ha fatto quando Grillo, show man in quanto fa spettacolo e in quanto ha le telecamere puntate su di sé, si è messo in gioco.
E’ una cosa da tenere presente se intendiamo riorganizzarci come forza politica che intende partecipare ad altri appuntamenti elettorali. Dobbiamo sapere di dovere occupare un doppio livello. Da una parte quello del coinvolgimento profondo per i cittadini maturi che vogliono confrontarsi sui temi e partecipare alla messa a punto di una proposta. Dall’altra quello del coinvolgimento superficiale per i cittadini disponibili ad ascoltare solo messaggi spot.
Constatazione amara, per chi, come me, ha sempre creduto in una democrazia fondata sulla partecipazione profonda. Ed anche una strada pericolosa, perché c’è il rischio di adagiarsi e di scadere come tutti nella politica autoritaria del pifferaio magico che conduce i topolini. Sarà mai possibile trattare i cittadini da persone limitate e nel contempo puntare alla loro elevazione? Forse sì, ma ci vuole una fede incrollabile nella democrazia e una tensione costante a rendere il popolo veramente sovrano.