Come ogni 3 di maggio, Freedom House ha pubblicato la sua relazione sulla libertà di stampa. L’organizzazione, che si presenta come indipendente e senza fini di lucro è, in realtà, un altro modo grazie al quale gli Stati Uniti controllano la politica interna degli altri paesi.
Di Ari Lijalad per Telam
La fondazione nordamericana Freedom House è solita approfittare dell’evento del 3 maggio, Giornata mondiale della libertà di stampa, per pubblicare la sua relazione annuale, nella quale, secondo i suoi criteri, cataloga i paesi in funzione dell’esistenza o meno della liberà di stampa. La relazione e le sue conclusioni vengono riportate dai maggiori media che hanno sostenuto posizioni monopolistiche o dominanti, specialmente di quei paesi in cui Freedom House considera che ci siano, a seconda dei casi, “limiti”, “attacchi” o “restrizioni” all’autoproclamata “libertà di stampa”, o, secondo le categorie che utilizza: se la stampa è “libera”, “parzialmente libera” o “non libera”.
Freedom House si autoproclama come un’organizzazione senza scopo di lucro, apartitica, che appoggia il “cambiamento democratico, monitora la libertà e si pronuncia a favore della democrazia e dei diritti umani”. Pertanto, si pone come riferimento per la libertà di stampa quando la sua storia, i suoi membri e finanziatori rivelano che si tratta di una delle molte organizzazioni che, per i loro legami con il Dipartimento di Stato, sono il canale grazie al quale gli Stati Uniti intervengono nella politica interna di altri paesi sotto la copertura di fondazioni e ONG presentate come indipendenti e apartitiche.
La relazione del 2014
Nel 2014 il rapporto di Freedom House ripete gran parte di queste categorie, con variazioni minime rispetto all’analisi del 2013. Secondo Freedom House ci sono 5 paesi senza libertà di stampa in America: Messico, Ecuador, Honduras, Venezuela e Cuba. Nel 2013 erano 6: gli stessi 5 più il Paraguay.
I giornali di quei paesi riportano questa analisi. La sola pubblicazione fa da subito intendere la disparità tra la realtà e le conclusioni di questa relazione. Pubblicano che non c’è libertà di pubblicazione. Un gioco perverso di interessi politici e finanziari che ha una ripercussione diretta sull’opinione pubblica e la sensazione di paura e d’incertezza sociale.
“L’Ecuador è nel gruppo di paesi senza libertà di stampa”, titolava il quotidiano Hoy, proprietà della famiglia Mantilla, storicamente legata alla Società interamericana della stampa. Altri media hanno seguito la stessa linea, come El Diario che ha scritto che “l’Ecuador è tra i paesi senza libertà di stampa, secondo Freedom House”, o La Hora, “l’Ecuador ratificato tra i paesi senza libertà di stampa”. In Venezuela la notizia del rapporto della Freedom House è stato riportato tra gli altri da El Nacional, che ha titolato “Il Venezuela è uno dei cinque paesi senza libertà di stampa dell’America Latina”. In Honduras, El Heraldo ha affermato: “Honduras senza stampa libera” e La Prensa ha invece riportato: “La libertà di stampa, al suo ‘livello più basso’ nel mondo entro un decennio”. Lo stesso è accaduto in Messico, dove El Universal ha titolato “Messico, pericoloso per il giornalismo: FH (Freedom House)” e decine di altri giornali hanno affermato che in quel paese non c’è libertà di stampa. Anche La Jornada ha intitolato: “Solo una persona su sei vive in un paese con libertà di stampa: rapporto”.
In tutti i casi, a prescindere delle particolarità di ciascun paese e le condizioni reali che sussistono, in Messico e Honduras, ad esempio, l’informazione (quella dei giornalisti e non degli imprenditori dei media), i giornali, la radio e la televisione riportarono esattamente i risultati di Freedom House. L’operazione ha rivelato se stessa.
Per quanto riguarda l’Argentina, Clarín ha privilegiato l’autoreferenzialità ed ha titolato: “Un rapporto sulla libertà di stampa mette in guardia circa gli attacchi contro Clarín”. Tuttavia nella stessa nota lascia intravedere la trama nascosta di queste relazioni: “Il rapporto è stato predisposto dall’organizzazione indipendente Freedom House, ma ha avuto l’eccezione di essere distribuito nell’ambito del Dipartimento di Stato e tra quelli che lo hanno esposto vi era un funzionario del governo di Barack Obama”. L’eccezione in questo caso, è la regola.
Persecutori della libertà: confessione di parte
Freedom House è nata nel 1941 a Washington, dove ha tuttora la sua sede. Inoltre dispone di uffici a New York, Belgio, Giordania, Kirghizistan, Messico e Sud Africa. Si presenta come un’organizzazione indipendente di “vigilanza” dedicata alla divulgazione della libertà nel mondo. Tuttavia i suoi legami con la politica estera degli Stati Uniti e le fondazioni di grandi corporazioni o di filantropi del mondo finanziario rivelano che i suoi interessi sono lontani da quelli espressi.
I legami con il Dipartimento di Stato nordamericano sono espliciti. Attualmente, il presidente della Freedom House è David J. Kramer, un ex funzionario del Dipartimento di Stato, dove George Bush Jr. nel 2008 lo nominò Sottosegretario di Stato per la Democrazia, i Diritti Umani e il Lavoro. Il suo predecessore era William Taft IV, pronipote dell’ex presidente degli Stati Uniti William Howard Taft e compagno di studi dell’attuale Segretario di Stato John Kerry.
Freedom House fa una sua classifica dei benefattori stilata secondo la quantità delle loro donazioni. Secondo quanto pubblicato sul loro sito web, il Dipartimento di Stato è tra i primi, i “Freedom Trailblazer” (in inglese, “precursori della libertà”), contribuiscono con 250.000 dollari o più (il massimo non è pubblicato). Un altro “precursore della libertà” è l’Agenzia statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID, acronimo inglese), un’agenzia del governo degli Stati Uniti denunciata per degli interventi che, in molti paesi, andavano oltre la semplice collaborazione per lo sviluppo. L’USAID è stata estromessa dalla Bolivia dal presidente Evo Morales accusata di usare i propri fondi per cospirazioni destituenti e destabilizzanti.
Quelli che contribuiscono con somme che vanno dai 100.000 ai 250.000 dollari sono i Freedom Champion (“paladini della libertà”). Tra questi figurano la Fondazione Ford e Google, la quale ha recentemente rivelato che spiava le mail dei suoi utenti. Vi è anche la Fondazione Leon Levy, finanziere e filantropo di Wall Street. Tra quelli che forniscono sovvenzioni in altre categorie troviamo anche Facebook, Yahoo, Disney, AT&T, Goldman Sachs e diverse fondazioni.
Secondo Freedom House i finanziatori variano di anno in anno. Nel 2012-2013, hanno avuto l’appoggio dalla Broadcasting Board of Governors, che conta tra i suoi membri il Segretario di Stato Kerry, la Banca Mondiale e anche la società Lockheed Martin, il più grande produttore di armi al mondo e principale imprenditore nel settore della difesa del governo degli Stati Uniti.
La lista dei finanziatori della Freedom House rivela l’inganno della loro facciata apartitica e indipendente.
Freedom House Argentina
Nel suo rapporto del 2014, Freedom House sostiene che la libertà di stampa in Argentina è parziale ed ha collocato il paese al numero 106 su 167 con un punteggio di 51 (l’assegnazione del punteggio è spiegata più in basso) come il Malawi e la Nigeria. Nel 2013 Freedom House presentò ogni paese con una breve introduzione sulla propria storia. Nel caso dell’Argentina, riportò che si rese indipendente dalla Spagna nel 1816, senza citare la Rivoluzione di Maggio del 1810. Da lì fece un salto al 1955 riportando che Juan Perón capeggiò un regime autoritario populista fino alla fine del suo governo, senza menzionare che fu rovesciato da un golpe militare. Continuò riportando che a partire dal 1955 si succedettero delle dittature dell’“ala militare di destra” fino al 1983, le quali si alternarono a diversi governi costituzionali. Infine, riportò che il ritorno della democrazia pose fine alla “guerra sporca che fu condotta contro dissidenti reali o sospetti da parte del regime di militari di estrema destra”. La relazione del 2013 fa un resoconto dal 1989 al 2012, dove si afferma che la libertà di espressione era garantita dalla legge, senza menzionare la Legge sui Servizi di Comunicazione Audiovisiva (LSCA). Eppure la relazione continua affermando che la presidente Cristina Fernandez de Kirchner limita la libertà di stampa nella pratica. L’unica menzione della Freedom House sulla LSCA viene fatta in relazione alle presunte pressioni fatte alla Corte Suprema di Giustizia per risolvere la causa presentata dal Grupo Clarín, nella quale si istituì finalmente la piena costituzionalità della norma. Nella relazione del 2014 ad ogni paese è dedicato un breve paragrafo. Quello dedicato all’Argentina riporta che la libertà di stampa nel paese è parziale in quanto i media sono di parte e vi sono continui attacchi retorici e verbali del governo nei confronti dei media; viene inoltre citata la costituzionalità della LSCA.
In breve, più che una mancanza di conoscenza della storia Argentina, rivelano una posizione ideologica che non solo accredita la Dottrina della Sicurezza Nazionale, ma nasconde il ruolo degli Stati Uniti nella promozione di colpi di stato militari e le complicità sociali, comprese e quelle con i media e nascondono anche il cambiamento di paradigma nella pluralità comunicazionale che implica la LSCA.
Freedom House spiega la metodologia usata per confezionare le loro classifiche e punteggi. I paesi ricevono un punteggio da 0 a 100 attraverso 23 domande divise in sottotemi giuridici, economici e politici. Con questo metodo, il punteggio più alto corrisponde ad una minore libertà di stampa. Per formare la loro base di dati ricevono informazioni da individui e organizzazioni di ogni paese, in particolare quelli che fanno parte della rete di Scambio Internazionale per la Libertà di Espressione (IFEX, acronimo inglese). Secondo l’IFEX, la compongono 88 organizzazioni in tutto il mondo. In Argentina gli unici a farne parte sono il Forum di giornalismo argentino (Fopea, sigla spagnola) e l’Associazione per i diritti civili (ADC). È tutto collegato.
Tutti uniti trionferemo
La riproduzione e la circolazione delle relazioni di Freedom House e di altre organizzazioni che svolgono attività simili funziona attraverso reti che raccolgono centinaia di imprenditori dei media. I quali hanno costruito diverse organizzazioni per la coordinazione comune delle loro linee editoriali ed dei loro interessi economici. Alcune di queste, che comprendono giornali, radio o televisioni, sono, fra le altre, la Società interamericana della stampa (SIP), la Global Editors Network (GEN) , l’Associazione Internazionale di Radiodiffusione (AIR), l’Organizzazione delle Associazioni di Televisione via cavo in America Latina (TEPAL, sigla spagnola). A livello locale, un esempio è l’Associazione degli Enti Giornalistici Argentini (ADEPA, sigle spagnola).
La verità è che al di là delle sigle, i membri si ripetono da una all’altra e coordinano il loro lavoro difendendosi reciprocamente. Un chiaro esempio è stata l’udienza convocata dalla Corte Suprema per la LSCA, dove fu chiaro il ruolo di queste organizzazioni: la SIP supportò sistematicamente il Gruppo Clarín nella sua critica alla LSCA: la AIR, la TEPAL e la ADEPA furono amicus curiae del Gruppo Clarín. Nel caso della GEN (creata nel 2012, riunisce editori di giornali di tutto il mondo), il suo primo presidente, rieletto nel nel 2013, fu Ricardo Kirschbaum, editore generale del quotidiano Clarín. È tutto collegato.
La trama nascosta di Freedom House e di queste organizzazioni rivela che i suoi membri, i suoi finanziatori e il suo ruolo nel corso della storia accredita una nozione ristretta della libertà di stampa, vincolata alla difesa degli interessi corporativi nascosti sotto un velo apartitico e di presunta indipendenza.
Traduzione dallo spagnolo di Corrado Bagnariol