da: http://informatitalia.blogspot.it/
Da qualche tempo ormai in molti sembrano appassionarsi intorno a tematiche che prima appartenevano a noiosissime discussioni accademiche o a raffinati tecnicismi delle diplomazie occidentali. Non ci stiamo riferendo alle pretestuose giustificazioni che presentarono gli USA a ragione del loro intervento militare in Iraq dando il via alla Seconda Guerra del Golfo. Nemmeno ci riferiamo al dubbio sull’esistenza nel diritto internazionale di consistenti legittimità nei recenti bombardamenti sulla Libia che portò al successivo omicidio di Gheddafi. Non appassionano per nulla i problemi di legalità nei referendum secessionisti di Kosovo, Crimea, Scozia e Catalogna così come le tensioni frontaliere nelle regioni del Caucaso. Ma potremmo allungare la lista se tenessimo conto di questioni non proprio marginali come i bombardamenti con i droni in Pakistan, la guerra in Afghanistan, la presenza cinese in Tibet e lo scandalo Snowden-NSA e Wikileaks. Tanto meno interessa il particolarissimo contenzioso giuridico tra Italia e India sulla vicenda dei due pescatori uccisi davanti le coste del Kerala.
Nulla di tutto ciò, pur appartenendo al grande tema della sovranità di uno stato, infervora gli animi come invece sembra farlo la questione della sovranità monetaria.
In un mondo in cui il denaro ha preso il posto del sovrano, appropriandosi dello jus majestatis, del fons honorum e dello jus belli e di tutti i diritti che ne discendono financo in certi casi dello jus primae noctis, non c’è da biasimare chi individua nella sovranità monetaria un tema centrale nella discussione sui modelli di sviluppo e di organizzazione della società attuale. Quindi nel riconoscere l’importanza di tale tema vale pena però capire un po’ meglio a cosa ci stiamo riferendo quando si parla di sovranità e in particolare di sovranità monetaria.
Non è difficile intuire come il concetto di sovranità derivi dalla parola sovrano. Si tratta dell’insieme dei diritti e dei doveri del sovrano. Anche se parliamo di diritti e doveri c’è da dire che fino al 1215, anno in cui Giovanni Senzaterra concesse la Magna Charta, primo esempio di costituzione scritta, la lista dei doveri di un sovrano in pratica non esisteva.
Fino alla Rivoluzione Francese il processo che portò ad un pieno trasferimento della sovranità dalle mani del re a quelle di organizzazioni statuali non fu del tutto lineare e omogeneo. Ancora oggi ci sono chiari esempi di monarchie assolute, in cui il potere legislativo, esecutivo e giudiziario sono concentrati in una sola persona come per esempio il Vaticano o l’Arabia Saudita ma quella sovranità malgrado formalmente in alcune costituzioni si affermi appartenere al popolo, di fatto è ancora è esercitata dall’apparato statale o da organismi parastatali.
Definire la sovranità come l’insieme dei doveri e dei diritti del sovrano però non ci dice ancora da dove discende questa sovranità e quale sia la sua natura.
La sovranità del sovrano discendeva non da un diritto ma da un potere. Era il potere di usare la violenza (fisica, economica, psicologica) che gli garantiva la rivendicazione di ulteriori diritti e la sua successiva legalizzazione. Fu proprio quando quel potere non era più efficace a sostenere sé stessa che quella sovranità ha cominciato a spostarsi verso altri soggetti come lo Stato.
Senza fare un’analisi storiografica dello Stato possiamo dire che una minoranza si collocò ai vertici dell’organizzazione sociale e raccolse quel potere e quella sovranità, cioè l’uso di fare violenza, e legalizzò quel potere accentratore. Questo carattere monopolistico dello Stato lo trasformò nell’oggetto del desiderio di fazioni in lotta tra loro.
Oggi, di fronte al mutare del paesaggio umano, quell’apparato statale ha perso molto del suo fascino e anzi è divenuto un ostacolo per quelle stesse minoranze che avevano contribuito a crearlo, al punto che ormai siamo in presenza di uno Stato parallelo non sottoposto alle limitazioni delle costituzioni democratiche.
Osserviamo un processo che va, da un lato, verso lo smantellamento dello Stato e dall’altra, verso la formazione di macro-regioni nelle quali la sovranità si concentra in organismi sempre più astratti. Il popolo, legittimo destinatario di quella sovranità, rimane sempre più lontano.
L’assunzione della sovranità da parte di una minoranza foss’anche quella burocratica dell’apparato statale o quella più lontana di organizzazioni parastatali del Grande Capitale, resta sempre un atto violento che legittima e legalizza se stesso, alimentando nella società l’eterno conflitto dell’assurdo desiderio di trovarsi al posto dell’oppressore.
Volendo interpretare arbitrariamente la storia umana come lotta per il superamento del dolore e della sofferenza il corrispettivo in ambito sociale sarebbe quello di riportare la sovranità in seno al popolo. Quando questa azione si porterà a compimento si costituirebbe il paradosso necessario della totale perdita di sovranità che l’individuo possa concepire. Questo perché nel vivere sociale cedere sovranità non significa perdere in libertà piuttosto è il contrario, significa liberarsi dal quel potere di usare violenza. In quel contesto gli individui, in un atto consapevole e solidale, decidono di darsi reciprocamente protezione producendo nuovi modelli di organizzazione sociale nei quali il privato non si contrappone al pubblico e l’individuo all’insieme umano.
In realtà i concetti di libertà e sovranità sono in antitesi e se qualche volta li si ritrova come omogenei o sinonimi è perché si è proceduto ad una manipolazione semantica.
E’ vero invece che nella misura in cui la sovranità diminuisce, cioè non si concentra in istituzioni lontane dal popolo, la libertà aumenta. Oppure vogliamo affermare che il massimo di libertà si manifesta nella più completa solitudine?
Cosa ben diversa dal cedere sovranità in un atto consapevole di libertà è quando una minoranza, manu militari o avvalendosi di strumenti economici o ancora attraverso la sistematica manipolazione dell’informazione, si appropria o espropria la sovranità popolare. In quel caso non c’è nessun patto sociale, c’è invece un gruppo umano che impone le sue leggi a fronte di un cosiddetto ordine pubblico.
Ritornando al tema della sovranità monetaria essa si presenta quindi come una particolare espressione del potere anche quando uno pseudo libertarismo pretende di rivendicare una fantomatica sovranità individuale.
In questo senso oggi possiamo affermare che stiamo assistendo ad una guerra economica tra bande rivali, tra aree monetarie rivali, e come in tutte le guerre del XX secolo e XXI secolo, questa sta producendo, a livello mondiale, un enorme costo in termini di vittime civili. Non ci riferiamo solo alle centinaia di migliaia di vittime dei conflitti armati ma anche e soprattutto a quelle decine di milioni di esseri umani che nel mondo, a causa di questa guerra economica e finanziaria, ha visto perdere la casa, la sicurezza e l’assistenza sanitaria, il lavoro, il minimo per la sopravvivenza alimentare e infine la propria vita.
A tal proposito quando si denunciano i difetti, gli errori e gli orrori di una certa politica monetaria in una certa area geografica si deve tener conto, da una parte, del particolare regime di guerra globale in cui si è sommersi, che certamente non giustifica l’operato di certe nomenclature finanziarie ma ci aiuta a comprendere meglio le dinamiche espansive o contrattive di certe economie, dall’altra del fatto che l’indebolimento di una certa area oggi costituisce la vittoria dell’altra. Inoltre, quando si definisce una certa moneta di una certa area geografica come arma di distruzione di massa e si arriva ad auspicare la sua definitiva messa al bando come panacea di tutti i mali, si sta procedendo su di un piano che appartiene più al fanatismo religioso che ad una logica di buon senso. Quella moneta o il denaro in generale sarebbe concepito non più come strumento di intenzioni umane ma raggiunge un tale grado di autonomia che vive di vita propria.
Infine, rivendicare oggi la sovranità politica, economica e monetaria perduta dallo Stato oltre che ridicolo perché rivendicherebbe una differenziazione i cui limiti è l’individuo isolato, non tiene conto del processo in atto che invece punta alla saturazione dell’espansionismo capitalista e quindi al collasso di tutto il Sistema.
Sarà invece proprio dalle ceneri di quel mega complesso di controllo che per la prima volta nella storia umana sorgerà la Nazione Umana Universale. Una Nazione multiforme: multiforme nelle etnie, nelle lingue e nei costumi; multiforme nel luoghi, nelle regioni e nelle autonomie; multiforme nelle idee e nelle aspirazioni; multiforme nelle credenze, nell’ateismo e nella religiosità; multiforme nel lavoro; multiforme nella creatività. Una Nazione che non avrà bisogno di uno Stato centralizzato, né di uno Stato parallelo che lo sostituisca. Non avrà bisogno di eserciti polizieschi né di bande armate che ne prendano il posto.