Venti anni dopo il genocidio, che ha sterminato in pochi mesi oltre un milione di ruandesi, è doveroso rievocare e trasformare la memoria in una forza positiva che possa fare convergere il passato al presente in maniera da seminare un nuovo coraggio e nuove speranze contagiose. Parliamo del coraggio di spingere tutti insieme il mondo verso la tutela dei diritti umani e di sensibilizzare le popolazioni e i potenti del mondo verso una civiltà nonviolenta, perché solo di nonviolenza potrà nutrirsi realmente il senso della vita.
La vicenda ruandese si erge a simbolo di un’epoca insensata, quella che stiamo vivendo, che ha posto la barberie e la disumanizzazione al centro della scena mondiale come forme e modelli di consenso e di appropriazione. Violenza e sopruso, piloti indisturbati del mondo moderno, tracciano inevitabilmente la rotta del declino sociale e l’appiattimento a un’epoca di profondo stallo che segna il disfacimento del valore dell’amore e lo smarrimento dell’Umanità; sintomi e piaghe di gran lunga più pericolosi della crisi congiunturale e di quella economica che oggi sono sulla bocca di tutti.
Abbiamo contattato Sulah Nuwamanya,, responsabile dell’area Partnership Development and Communications di ActionAid Ruanda, per avere una testimonianza da parte di chi vive la quotidianità ruandese adoperandosi in prima linea per garantire l’inclusione e la giustizia sociale.
Siamo a 20 anni dal drammatico genocidio, come sono stati vissuti questi vent’anni in Ruanda e che tracce rimangono di quell’assurdo periodo storico?
Nel 1994, in Ruanda, con un atto premeditato nell’arco di 100 giorni furono uccise oltre un milione di persone dalle milizie estremiste degli Hutu. Oltre il 20% della popolazione venne uccisa in un vero e proprio genocidio contro i Tutsi. Si è trattato di uno dei momenti più significativi per il continente africano e probabilmente uno dei maggiori crimini contro l’umanità del ventesimo secolo che ha avuto ed ha tuttora un’enorme eco a livello mondiale. Vent’anni dopo, il genocidio continua a condizionare il Ruanda, la politica ed anche la psiche del popolo ruandese. Il paese fu ridotto al lastrico, l’intero tessuto socio-economico e politico fu distrutto; le donne e i bambini in particolare furono lasciati a farsi carico del peso di una società devastata. Tuttavia è importante guardare anche a ciò che è stato ottenuto dopo il risveglio da una tale tragedia, così come è ugualmente importante focalizzarsi su ciò che occorre ancora fare. Il Ruanda ha ottenuto successi ragguardevoli negli ultimi anni, come la riduzione della povertà in concomitanza con una forte crescita economica. Grazie agli aiuti internazionali inoltre si è assistito a un impressionante progresso di servizi essenziali come la salute, l’istruzione, l’agricoltura e lo sviluppo delle infrastrutture.
Violenza, indigenza, povertà, violazione dei diritti umani, fame, tensioni sul territorio congolese, cosa rimane concretamente di tutto ciò oggi?
Ci sono ancora milizie armate nelle Repubblica Democratica del Congo dove covano ideologie di genocidio che rappresentano tuttora fattori destabilizzanti nell’intera regione. ActionAid lavora proprio nelle aree del Ruanda, del Congo e del Burundi ed è convinta che le Nazioni Unite e l’Unione africana dovrebbero prendere la leadership ed esercitare una maggiore influenza sugli attori coinvolti. In Ruanda, nessuno vuole che si ritorni alle uccisioni. C’è troppo da perdere. Per questa ragione sono state messe in piedi iniziative miranti all’unità, alla smobilitazione e al reintegro delle forze armate ufficiali in maniera da incoraggiare tutti i ruandesi a lavorare insieme e riconciliarsi. Siamo convinti che ci sia una connessione tra il sostenere i diritti e rispondere ai bisogni base e che per il progresso i ruandesi debbano potere scegliere liberamente un sistema politico democratico ed beneficiare di un sistema giudiziario imparziale
Continuando a parlare di presente, che Ruanda è quello attuale?
Il Ruanda di oggi è un paese trasformato rispetto al genocidio del 1994 dal quale è fuoriuscito in frantumi. Negli ultimi vent’anni si è assistito a una crescita annua di oltre il 5% trainata soprattutto dall’export del caffè e del the e dal turismo. Ciononostante, la povertà rappresenta ancora un serio problema e il Ruanda è dipendente dagli aiuti. Nel 2014 circa il 45% dei ruandesi vive sotto la soglia della povertà rispetto al 60% del 2004. Gli aiuti del governo sono calati dall’85% del 2000 al 40% se prendiamo in conto il budget statale del 2013-2014. La maggior parte della popolazione vive come piccolo proprietario terriero in condizioni di sussistenza e di questa porzione di popolazione l’85% è rappresentata da donne che sopravvivono coltivando piccoli appezzamenti di terra per sfamarsi. Ma allo stesso tempo si è fatto tanto e adesso è importante rafforzare l’impegno nei confronti dei giovani e delle loro famiglie che vivono in una tremenda povertà. E’ importante sostenere i diritti delle donne che sono maggiormente impattate dalla povertà così come i sopravvissuti al genocidio.
Il Ruanda è un paese giovanissimo con un’età media di quasi 19 anni e con due terzi della popolazione al di sotto dei 15 anni. Una popolazione più votata al futuro che a rievocare un passato così triste?
Il Ruanda è un paese molto giovane e proprio per quello il suo futuro dipende dal supporto ai bisogni delle nuove generazioni, dalla protezione dei loro diritti e dalla capacità di fuoriuscire dalla povertà e da ogni forma d’ingiustizia. Guardando indietro alle atrocità subite la gente si incupisce, ma la maniera con cui si guarda avanti è positiva. C’è un aumento di ottimismo tra i ruandesi. Il paese ha svoltato e specialmente i giovani vogliono sentirsi parte di un Ruanda unito e sostenibile.
Pensi che il mondo occidentale e il resto del mondo abbiano imparato qualcosa dalla vicenda ruandese e pensi che la memoria del genocidio possa tracciare in qualche maniera un cammino di costruzione della moralità su scala planetaria?
Il mondo sembra avere imparato qualcosa da quanto accaduto in Ruanda e crediamo che adesso il genocidio rimbombi nelle menti delle persone come garanzia che ciò che accaduto non possa accadere mai più e che non accada mai in nessuna parte del mondo. Durante il genocidio, le Nazioni Unite e paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il Belgio furono criticati per la loro inoperosità e per il fallimento nel consolidare le forze e il mandato dell’UNAMIR (United Nations Assistance Mission for Rwanda). Alcuni attivisti di pace e altri osservatori criticarono il governo francese per il fatto di sostenere il regime del genocidio. Il genocidio ha avuto un profondo impatto sul Ruanda ma anche sui paesi vicini. Il pervasivo ricorso allo stupro è culminato con la diffusione dell’infezione dell’HIV, alla nascita di bimbi figli della violenza e dal proliferarsi di madri infette; molte famiglie furono guidate da bambini orfani o da vedove. La decimazione delle infrastrutture e della popolazione del paese hanno mutilato l’economia. Ciò che è accaduto non deve mai più accadere non solo in Ruanda ma in nessun’altra parte del mondo. Ciò che è accaduto è stato totalmente folle e credo che il mondo abbia appreso la lezione.