Fallimento aziendale, Compagnia delle Opere, amministrazione straordinaria, appalti che girano, Expo 2015, software antimafia disperso. Sono questi alcuni degli ingredienti che fanno di Opera 21 una vicenda poco chiara e per nulla trasparente, dove l’unica certezza, tanto per cambiare, è che oltre 250 lavoratori e lavoratrici rischiano di pagare il conto con la perdita del posto di lavoro. Per questo mercoledì mattina, 2 aprile, saranno in sciopero e manifesteranno sotto il Palazzo della Regione a Milano.
Ma facciamo un passo indietro, per cercare di capire come siamo arrivati a questo punto. Fino al 2013 Opera 21, azienda del settore informatico, era una delle tante società del circuito Compagnia delle Opere -il braccio economico di Comunione e Liberazione-, disponeva di tre sedi italiane (Vimodrone, Roma e Napoli) e impiegava circa 450 dipendenti, di cui oltre la metà nel milanese.
Ma nel giugno dell’anno scorso la proprietà decide di chiudere e l’azienda passa in amministrazione straordinaria. Alcuni mesi più tardi, a novembre, arriva la TopNetwork S.p.A. che prende in mano l’azienda mediante un contratto d’affitto, che prevede la salvaguardia dei livelli occupazionali. In quel momento, i dipendenti di Opera 21 erano ancora oltre 300.
A questo punto arriviamo all’oggi, cioè a marzo, quando la TopNetwork invia una sua relazione a tutte le parti interessate, in cui annuncia che in assenza di elementi nuovi restituirà l’azienda al commissario straordinario. Una relazione dai toni duri, anzi, un vero e proprio atto di accusa. La TopNetwork parla di “aggressione” e sostiene di aver subito un “incontrovertibile saccheggio di clienti e di personale”. Insomma, secondo questa accusa Opera 21 sarebbe stata “depredata delle attività più remunerative”, cioè le sarebbero state portate via in modo poco corretto e in pochi mesi importanti appalti e il relativo personale specializzato.
La TopNetwork non fa molti nomi, più che altro accenna a complicità interne a Opera 21 e a “clienti disponibili all’avvicendamento, anche operanti nel settore della pubblica amministrazione”. Ma poi qualche nome lo fa: “Un esempio eclatante e ‘spudorato’ è rappresentato dalla commessa Expo 2015”. La TopNetwork non dice di che appalto si tratti, ma in cambio lo fa il Fatto Quotidiano: si tratta dell’appalto per il software Sigexpo, cioè la piattaforma informatica al servizio del controllo di legalità sugli appalti Expo, annunciata con gran clamore come “sistema innovativo” nel febbraio 2012 in occasione della firma in Prefettura del Protocollo di Legalità.
Ebbene, due anni dopo, tra una cosa e l’altra, Sigexpo non esiste ancora. Opera 21, che aveva ottenuto l’appalto in epoca ciellina, non l’aveva realizzato e ora la commessa è stata soffiata daWiit.. Ma pare che neanche loro lo realizzeranno, poichéExpo S.p.A. ha dichiarato che la Wiit c’è l’ha soltanto “temporaneamente” e che si farà una nuova procedura di gara per trovare un “nuovo appaltatore”. Chissà, forse per la fine di Expo sarà pronto…
In conclusione, non ho la più pallida idea se in questa vicenda vi siano elementi di rilevanza penale. Auspico ovviamente che la TopNetwork, considerati i toni della sua relazione, abbia presentato denuncia formale, in modo che ci possano essere gli accertamenti del caso. Anche perché altrimenti è legittimo pensare che si tenti soltanto di costruire la giustificazione per eventuali licenziamenti di massa.
E comunque sia, dal punto di vista della salvaguardia occupazionale ogni eventuale accertamento postumo di irregolarità sarebbe purtroppo irrilevante. L’hanno già dimostrato casi ben più eclatanti che abbiamo conosciuto sul nostro territorio, come l’Agile-Eutelia di Pregnana o la Lares di Paderno Dugnano, dov’era stato accertato che fossimo di fronte a autentici fatti delinquenziali da parte della proprietà, ma alla fine i lavoratori sono rimasti disoccupati lo stesso.
Per questo, a parte la necessità che si faccia celermente chiarezza e che eventuali responsabilità vadano accertate, occorre che le istituzioni, in primis Ministero e Regione Lombardia, intervengano immediatamente, cioè a partire dallo sciopero di domani, per impedire che il conto lo debbano pagare i lavoratori.