Lo spettacolo che ci sta offrendo l’Ucraina è quello di sempre: un popolo martoriato da giganti in guerra fra loro per la conquista del potere. Due i contendenti in campo. Da una parte la Russia interessata a mantenere l’Ucraina nella propria sfera di influenza economica e militare. Dall’altra il capitalismo familiare ucraino che si sente più sicuro gravitando nell’orbita dell’Unione Europea. Nel mezzo il popolo, che come sempre non è interessato a scontri di religione o crociate linguistiche, ma a vivere in pace e dignità.
Purtroppo la storia ci dice che del benessere popolare non importa niente a nessuno. Peggio ancora il popolo è costantemente sfruttato e derubato per consentire al potere di turno di costruire le proprie fortune. Ovunque è grande lo scontento popolare che se venisse convogliato nella giusta direzione rappresenterebbe un grave pericolo per la stabilità del potere. Per cui è sapientemente manovrato per indirizzarlo verso falsi nemici che non solo distolgono l’attenzione dai veri carnefici, ma innescano zuffe fra poveri. La strategia è quella di aizzare l’odio da stadio, per cui se il nemico non c’è lo si inventa inducendo la gente a dividersi artificialmente in base alla squadra del cuore. Ma se si è in una situazione di mescolanza linguistica, etnica o religiosa non c’è bisogno di inventarsi nulla di artificiale. Per creare fazioni in contrapposizione fra loro basta soffiare sulle differenze e fare credere che i nemici responsabili del proprio malessere sono tutti gli altri che parlano altre lingue o professano altri credi.
Chi torna dall’Ucraina senza posizioni precostituite, racconta che il vero problema del popolo ucraino è liberarsi dalla corruzione dilagante e dall’oligarchia ladrona che annienta i diritti. Ma tutto è stato ridotto a una questione di tipo linguistico ed etnico, per cui il paese è non solo in piena guerra civile, ma a serio rischio di diventare teatro di guerra di fronte a una Russia che invade.
E l’Europa? Il rischio per lei è di trovarsi difronte a due alternative ambedue drammatiche: assistere inerme all’invasione russa o coinvolgersi militarmente. In realtà avrebbe una terza opzione che però presuppone la consapevolezza che le armi non hanno mai risolto nessun problema, ma solo portato morte e distruzione. A maggior ragione non rappresentano la soluzione in un contesto come quello ucraino. L’unico intervento serio che la comunità internazionale potrebbe svolgere in questa situazione, come in quella siriana e quella palestinese, è l’invio di forze civili di interposizione e intermediazione. Decine di migliaia di persone disarmate che hanno come unico scopo quello di stemperare le tensioni facendo da cuscinetto fra le parti in attrito e facilitando il dialogo. Esperienze in tal senso sono già state portate avanti dai Berretti bianchi, un movimento di volontari italiani già intervenuti in numerose zone di guerra fra cui il Kossovo, l’Iraq, la Palestina con l’obiettivo di facilitare la convivenza e una soluzione non violenta del conflitto.
Da tempo numerosi europarlamentari europei chiedono all’Europa di giocare un ruolo in tal senso. Infaticabile animatore di questa proposta è stato l’eurodeputato verde Alex Langer che già nel 1995 lanciò l’idea di un Corpo di Pace Civile Europeo per rispondere alle situazioni di crisi in alternativa alla scelta ipocrita del peace-keeping militare. Perché in situazioni di tensione e conflitti cosiddetti etnici o a valenza nazionalistica o religiosa, non servono bombe, ma capacità di mediazione, flessibilità, dialogo, comunicazione.
Questo progetto deve assolutamente essere ripreso nella prossima legislatura, e gli europarlamentari che verranno eletti nella lista Tsipras dovranno farne un punto di impegno assoluto. Perché la guerra agli eserciti non si fa solo opponendosi alle spese militari, ma anche costruendo sistemi alternativi di difesa popolare nonviolenta.