Mentre il Governo Renzi non sceglie ancora una strada di riduzione delle spese militari, negli Usa si riducono gli ordini di F-35. Che continuano a sperimentare problemi tecnici importanti che causano ulteriori ritardi e costi.
Su quanto è accaduto in questi giorni relativamente all’ipotizzato, e poi non annunciato, taglio dei caccia F-35 italiani si può (quasi) scomodare il grande Bardo (William Shakespeare): poco rumore per nulla.
Perché molti segnali -e qualche articolo dei principali media- hanno indicato questa scelta come parte della manovra di riduzione della spesa pubblica di Renzi, ma senza esagerare. E senza poi trovare, purtroppo, una effettiva concretizzazione a parte alcuni riferimenti generici e generali del Ministro della Difesa Pinotti (nella foto, col predecessore Mario Mauro) su una disponibilità a “rivedere, ridurre o ripensare anche grandi progetti avviati o ipotizzati, qualora mutati scenari internazionali o economici lo indicheranno come opportuno”.
Perché molti segnali -e qualche articolo dei principali media- hanno indicato questa scelta come parte della manovra di riduzione della spesa pubblica di Renzi, ma senza esagerare. E senza poi trovare, purtroppo, una effettiva concretizzazione a parte alcuni riferimenti generici e generali del Ministro della Difesa Pinotti (nella foto, col predecessore Mario Mauro) su una disponibilità a “rivedere, ridurre o ripensare anche grandi progetti avviati o ipotizzati, qualora mutati scenari internazionali o economici lo indicheranno come opportuno”.
Eppure è importante, ed è stato correttamente notato fin da subito, che anche solo una tale timida ipotesi non abbia scatenato immediate proteste e levate di scudi. Sembrerà poco ma è comunque un passo avanti, in un certo senso. E lascia aperta ancora la porta ad eventuali decisioni successive di taglio dei cacciabombardieri.
Lo scenario di una riconversione della spesa militare in utilizzi più sensati di impegno finanziario pubblico non si ferma però al solo programma Joint Strike Fighter. Come già sottolineato e proposto dal Rapporto 2014 dellaCampagna Sbilanciamoci (che tradizionalmente indica alternative concrete nella Legge di Stabilità) dal comparto militare del bilancio dello Stato si potrebbero ricavare già per questo anno oltre 4 miliardi di euro di risorse pronte ad un uso differente.
Il primo intervento è sul personale, e lo si mette in pratica da un lato portando fin da subito gli effettivi delle Forze Armate ad un livello attualmente previsto dal 2026 dall’altro eliminando l’istituto dell’ausiliaria che configura un privilegio insensato per gli Ufficiali (pagamento di indennità anche dopo il ritorno dal servizio). Da queste scelte si potrebbe ricavare un miliardo di euro.
Il secondo passo comprende l’eliminazione di tutte quelle missioni militari all’estero dalla chiara valenza aggressiva, tra l’altro il Decreto relativo è in discussione alla Camera proprio in questi giorni, con un recupero di circa 700 milioni.
Infine, l’ultimo atto è relativo ai circa 2,8 miliardi che si possono risparmiare sui sistemi d’arma: almeno 2 tolti ai fondi assegnati al Ministero per lo Sviluppo Economico in “quota investimento” per sistemi di difesa ed ulteriori 200 milioni per la seconda serie di sommergibili U212.
Sugli F-35 sarebbe poi opportuno non fermarsi all’anno in corso (e ai 540 milioni previsti dagli attuali documenti pluriennali di spesa) se consideriamo che l’importo previsto a carico dello Stato nel triennio 2014-2016 è di 1.950 milioni di euro. Si tratta quindi di uno stanziamento medio annuale di circa 650 milioni con i quali, secondo iconteggi recentemente diffusi dalla Campagna “Taglia le ali alle armi” si potrebbero creare 26.000 posti di lavoro qualificati, o mettere in sicurezza circa 600 scuole all’anno oppure non tagliare ma aggiungere risorse in più al Servizio sanitario nazionale rafforzando anche i servizi di medicina territoriale attivi su 24 ore.
Non solo l’Italia “riflette” sugli F-35
Le valutazioni precedenti, stimolate dalle decisioni e possibili strade politiche del Governo Renzi, e il tentennamento sulla riduzione dei caccia F-35 non deve però essere considerato solamente episodico e riferito ad una contingente situazione della politica italiana. Il programma Joint Strike Fighter, sferzato da analisi ufficiali negative e numerose polemiche anche negli Stati Uniti, si trova in una fase in cui tutti – dal Pentagono ai partner e clienti del programma – stanno cercando di procrastinare decisioni definitive per il rischio di rimanere “con il cerino in mano”.
Solo così si spiegano le decisioni di Washington che prevedono una consistente riduzione di velivoli da ordinare per il Fiscal Year 2015. Se infatti per l’attuale budget federale annuale (che negli Usa non segue l’anno solare) i 29 aerei pianificati per Aeronautica e Marina sono stati tutti confermati con i voti di fine 2013 (pur con qualche soldo i meno), nelle carte già presentate dall’Amministrazione Obama per il prossimo ciclo di bilancio la riduzione rispetto ai piani è di circa il 20%.
Il Documento Fiscale presentato ad inizio del mese di marzo comprende fondi per 26 velivoli della versione A (per l’Air Force), 6 F-35B a decollo corto ed atterraggio verticale per i Marines e 2 della versione C dedicata alle portaerei della US Navy. La richiesta di fondi per i soli aerei dell’Aeronautica equivale a 4,6 miliardi di dollari (oltre 170 milioni di dollari a pezzo). Con la conferma di questi numeri si concretizza quindi una richiesta totale di ben 8 aerei in meno del previsto: inoltre il nuovo piano quinquennale del Pentagono prevede inoltre un totale di 55 F-35 per l’anno fiscale 2016, sette in meno delle previsioni, e dettaglia una previsione complessiva di 96 entro il 2019.
La debolezza maggiore si ha con la versione per le portaerei della Marina: nelle nuove previsioni la US Navy ha deciso (ma solo dopo una forte pressione del Governo, perché l’intenzione era di sospendere tutto per tre anni) di ordinare 33 F-35 in meno di quanto originariamente previsto a partire proprio dal 2015 (36 F-35C invece di 69). Che siano decisioni dal possibile impatto pure sul nostro paese è chiaro, poiché sia Lockheed Martin che l’ufficio del programma JSF al Pentagono avevano sperato per diverso tempo di compensare queste riduzioni con gli ordini stranieri. Ordinativi che, secondo gli auspici, avrebbero dovuto costituire la metà o più del numero totale di F-35 del Lotto IX, quello finanziato proprio nell’anno fiscale 2015. Ma anche nei paesi partner si è schiacciato sul freno ed il totale realistico potrebbe attestarsi su 57 velivoli: sicuramente al di sotto dei 73 sperati.
Le fatiche dei cacciabombardieri
Queste decisioni sulle quantità degli F-35 da produrre per i prossimi anni sono naturali conseguenze delle enormi problematiche che il programma di questi aerei sta sperimentando da anni. Un elefante stanco troppo grosso per essere fermato ma sicuramente fuori strada. Attualmente il ritardo accumulato si aggira sui sette anni e sono 163 i miliardi dollari di sforamento dal budget iniziale.
Nonostante questo il supporto quasi cieco da parte degli alti gradi del Pentagono continua a non mancare. Secondo Frank Kendall, il numero 1 degli acquisti per l’Air Force, “il progresso è sufficiente” per aumentare la produzione l’anno prossimo, ma in una quasi comica chiosa ha avvertito che il software è in ritardo e “l’affidabilità non sta crescendo ad un tasso accettabile”.
Si tratta di questioni non marginali e casuali, che originano dall’impostazione stessa del Programma. Un’impostazione “congiunta” con un solo velivolo sviluppato in diverse versioni per le varie necessità delle diverse forze armate.
Un recente rapporto della RAND Corporation ha però cercato di verificare se effettivamente i programmi aeronautici “joint” siano davvero fonte di risparmio; lo studio ha rilevato che, sebbene risparmi vengano raggiunti nella ricerca iniziale, nello sviluppo e nei test di valutazione si verifica che la “necessità di soddisfare esigenze di servizio differenti in un singolo progetto con un disegno comune porta ad una maggiore complessità e all’aumento dei rischi tecnici di funzionalità”. Ciò che esattamente sta succedendo in questi ultimi anni con ilrisultato di un superamento dei costi e non piena soddisfazione delle esigenze di servizi distinte. Senza dimenticare un pericolo assoluto, dietro l’angolo: in caso di problema tecnico di base l’intera flotta di aerei sarebbe messa a terra.
E non stiamo parlando di ipotesi irrealistiche: negli scorsi giorni funzionari del Pentagono hanno annunciato che i test di “stress” a terra per la versione B del caccia potrebbero essere fermati per quasi un anno. Il motivo?Crepe trovate in tre delle sei paratie del velivolo durante controlli effettuati nello scorso Settembre.
Ancora una volta Frank Kendall ha cercato di gettare acqua sul fuoco per un problema che, emblematicamente, non era però stato rivelato immediatamente e nemmeno prima della conferma delle decisioni di bilancio sul Programma. “Consideriamo questo avvenimento significativo ma non certo catastrofico”, eppure sulla base di un’analisi preliminare dell’Ufficio di Programma una riprogettazione “sarà necessaria per alcune strutture dell’F-35B“. La rottura che si è verificata è dunque abbastanza rilevante, tanto dagiustificare modifiche al disegno della paratia: un nuovo difetto, che si somma a numerosi altri, che dovrà ora essere affrontato attraverso un cambiamento di produzione e un piano di retrofit. Tradotto in parole povere: allungamento dei tempi, appesantimento della struttura e della progettazione del velivolo, aumento di costi…
“Questa rottura non è stata prevista con le analisi o i modelli di simulazione messi in campo in precedenza” – ha detto Jennifer Elzea portavoce dell’ufficio test del Pentagono – “non possiamo certo sapere tutte le modifiche che devono essere apportate alle strutture fino a quando un test non è completo, per cui ai nostri occhi non è sorprendente quando si verificano evenienze come questa”. Anche Joe Della Vedova, portavoce dell’Ufficio centrale JSF, ha rincarato la dose: “Queste scoperte sono attese e previste in un progetto di e in sviluppo”.
Dichiarazioni che possono essere certamente sensate se riferite allo sviluppo tecnologico di un sistema complesso come il caccia F-35. Peccato però che, per l’impostazione a “concurrency” del Programma, tutto questo stia avvenendo con la fase di prima produzione ben avviata. Qui sta il cuore dell’insensata architettura del Joint Strike Fighter e delle problematiche ad incidenza esponenziale che si verificano continuamente ormai da troppo tempo.
Ma non è finita qui. Perché anche il Generale Christopher Bogdan, attualmente a capo del Programma, afferma come sia “la complessità del software a preoccupare maggiormente. Uno sviluppo che è sempre molto difficile: attualmente stiamo di realizzare alcuni punti del blocco finale veramente complicati”. Non a caso lo sviluppo del software appare davvero come l’aspetto più debole ed arretrato per l’eveoluzione dei caccia F-35 ed è stato aspramente criticato nell’ultimo rapporto DOT&E del Pentagono.
E a destare preoccupazioni è pure la parte non avionica del velivolo: il cuore motoristico la cui realizzazione è in capo a Pratt&Whitney, la seconda azienda di riferimento del programma dopo Lockheed Martin. Nel Dicembre 2013 una parte del motore del caccia denominato F135 ha avuto un danneggiamento durante un test a terra, e necessiterà di una riprogettazione. Nel dettaglio, si tratta del primo stadio di sviluppo del cosiddetto Integrally Bladed Rotor (IBR) chiamato “blisk” nel gergo del Programma JSF essendo una combinazione tra lame (“blade”) e dischi (“disk”). Il motore in cui si è verificata questa particolare rottura aveva raggiunto complessive 2.200 ore di test, l’equivalente di nove anni di servizio secondo i dati dell’azienda produttrice. Ovviamente, come in un disco rotto, secondo il produttore Pratt&Whitney la situazione è del tutto sotto controllo e il problema viene considerato di minore entità. Ma ciò non ha evitato la necessità di un’inchiesta interna sull’incidente e di dover immediatamente pensare ad un processo di nuova progettazione che andrà a cambiare radicalmente l’attuale impostazione tecnica del “blisk”. Un intervento che comporterà un aumento di peso di circa 2,5, un dettaglio non trascurabile per un aereo che a causa del complesso design avionico (e della natura multi-ruolo) sta già pericolosamente avvicinandosi ai limiti consentiti. Sempre in diretta conseguenza dell’impostazione “Joint” del programma, anche se il motore su cui si è riscontrato il problema era quello della versione STOVL F-35B la riprogettazione dell’IBR si renderà necessaria sui motori di tutte e tre le varianti del Joint Strike Fighter.
Esattamente come nei peggiori incubi di una flotta di aerei militari fortemente basata su un singolo modello.
Francesco Vignarca su Altraeconomia
Articolo originale: http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=4556