Immagine: Ipra-peace.com
Nota come IPRA, fondata nel 1964 a Londra, e il sottoscritto, 34enne a quel tempo, unico fondatore ancora in vita. L’IPRA ruota ogni due anni da un centro di ricerche per la pace all’altro, ed è ora in mani turche molto competenti. E che cos’è più naturale che tenere il 50° anniversario del fulcro degli studi per la pace in quel fulcro del mondo, Istanbul, dal 10 al 14 agosto di quest’anno!
Oggi è difficile crederci, ma avviare l’IPRA fu problematico quanto lanciare studi per la pace in generale. Agli establishment occidentali non piaceva la “pace”; il loro tema preferito era la sicurezza, l’assenza di violenza contro di sé in particolare e le proprie élite più ancora. Gli studi sulla sicurezza divennero una paranoia occidentale accademicamente istituzionalizzata. E agli establishment dei movimenti per la pace non piacevano gli “studi”: che c’era mai da studiare? Ciascuno conosceva l’unica risposta giusta!
Come un governo mondiale (che tipo di governo?), un diritto mondiale (a favore-sfavore di chi?), il disarmo (pistole, coltelli, forbici? – e come la si mette con la facilità di riarmo?), la democrazia ovunque (e quando si fanno guerra fra di loro, e contro le non-democrazie; che genere di democrazia, fatta solo di elezioni nazionali multi-partitiche?), la fine del capitalismo, la fine del socialismo (e in quanto ai conflitti non-economici, per l’identità per esempio?); la psicoanalisi, almeno dei capi (di che genere? e come si tratterebbero i non-psicanalizzati?). E così via.
Forse una certa ricerca potrebbe servire, come avvenuto per la sanità? Per esempio, l’esplorazione di tutte le istanze di cui sopra, e le loro combinazioni? Nel lontano 1964 non c’era granché di più che tre centri di studi accademici per la pace: il Peace Research Institute di Oslo-Norvegia (PRIO), focalizzato anche su Gandhi e la nonviolenza; il centro di Ann Arbor, Michigan-USA, più concentrato sulla teoria dei giochi e sui modelli matematici; e l’approccio polemologico associato a George Bouthoul a Parigi-Francia, focalizzato sulla guerra.
Erano tutti e tre presenti a Londra; l’Ann Arbor guidato dall’infaticabile Elise Boulding che ebbe un ruolo importante nel mantenere viva l’IPRA durante alcune crisi, il PRIO guidato da me, e la polemologia gestita dall’istituto di Groningen, Paesi Bassi, diretto da Bert Röling, il giudice più giovane del Tribunale di Tokyo, che divenne il primo Segretario generale dell’IPRA, molto competente. I francesi avevano effettivamente un approccio molto speciale. Il loro ministero degli esteri era interessato meno alla pace e più al francese come lingua ufficiale all’IPRA alla pari con l’inglese, pienamente disponibile a coprirne tutte le spese inerenti. Noi dicemmo di no, dato l’interesse francese concentrato sulla guerra anziché la pace, e sugli studi strategici anziché quelli per la pace (la situazione è pressoché invariata 50 anni dopo). Al contrario dell’Unione Sovietica che aveva almeno un concetto: la “coesistenza pacifica” di Litvinov fin dagli anni 1930.
Si era concordi che dovessimo incontrarci più sovente per confrontare gli appunti e che dovessimo arrivare a più centri per la pace sparsi per il mondo. Come? Un modello che si ripresentò spesso era un Pugwash sociologico – le conferenze trasversali alle superpotenze e allo spartiacque fra i blocchi contro le armi nucleari. Li conoscevo con molto affetto e simpatia, erano brillanti scienziati nucleari – fra i quali tedeschi ed ebrei che avevano lavorato a una bomba contro Hitler e la vedevano dirottata per uccidere i giapponesi – brillanti sì, ma non in sociologia. Quell’ampliamento del Pugwash arrivò, ma il punto focale era ancora il patrocinio difensivo, mentre noi sentivamo il bisogno di ricerca, invece. Soprattutto per il pluralismo, far confluire concetti e ipotesi e approcci differenti in dialoghi di reciproco arricchimento.
L’altro modello era fondare l’IPRA e richiedere l’affiliazione al Consiglio Sociologico Internazionale dell’UNESCO, insieme a psicologi, sociologi ecc. Particolarmente importante fu un alto funzionario UNESCO, Saul Friedman, molto dedito agli studi sulla pace. John Burton, l’ex-capo del gabinetto esteri australiano, fu vistosamente assente dalla fondazione dell’IPRA. Il suo approccio era la diplomazia. Era contro la sociologia, opinione che in seguito cambiò. I primi incontri furono nei Paesi Bassi, in Svezia, Cecoslovacchia e Jugoslavia – un paese membro NATO, un altro dell’Organizzazione del Trattato di Varsavia per l’Amicizia, la Cooperazione e la Mutua Assistenza, spesso chiamato Patto di Varsavia, due neutrali-nonallineati. L’IPRA ebbe un ruolo di forum accettabile a molti durante la guerra fredda proprio perché non vi era alcun processo decisionale che creasse divisioni.
L’IPRA era libera dai condizionamenti del sistema statuale, dai dualismi Est-Ovest e Nord-Sud, ma non dal sistema dei movimenti per la pace con le loro posizioni a fattore singolo, sovente quanto mai moralistiche. In altri termini, il livello fattuale era basso, quello morale alto. Gradualmente ciò è cambiato, ma c’è voluto tempo per identificare problemi da indagare mediante la ricerca e una metodologia per esplorarli. L’IPRA 50enne è molto diversa dai primi decenni: accademicamente più profonda, più pluralistica negli approcci. Ha molto da contribuire a un mondo con tanta violenza, per lo più da parte di stati e governi, ma anche da entità non-statuali, non-governative. Il loro obiettivo è la vittoria, sicché dettano soluzioni. Gli studi per la pace hanno prodotto conoscenze nella risoluzione dei conflitti, a differenza del perseguimento diplomatico degli interessi nazionali, nella speranza di raggiungere qualche equilibrio. Statisti e statiste del mondo, venite all’IPRA, noi siamo pronti.
I problemi di salute erano in mano a un’altra grossa istituzione: la chiesa. Il problema era morale, non fattuale: la malattia come castigo per il peccato, e il peccato come opposizione al Potere Supremo, il Signore. Gli studi sulla salute introdussero fatti e nessi empirici, ma rimase un aspetto morale: dobbiamo volere la salute, non solo sapere come arrivarci. I problemi della pace sono tuttora per larga parte in mano a un successore della chiesa, lo stato. Secondo il quale il problema è morale più che fattuale. Una guerra aggressiva può essere null’altro che un castigo per il peccato di superbia, nell’opporsi ai superpoteri o ad altri signori della guerra. Gli studi per la pace hanno introdotto fatti e nessi empirici, con un aspetto morale: dobbiamo volere la pace, non solo sapere come arrivarci. L’IPRA è internazionale: nessun paese detta alcunché. È per la pace, da parte della pace, di pace. E associativa; i vostri nuovi amici vi aspettano.