“Ho tre sfide da rivolgere a coloro che hanno proposto l’accordo commerciale transatlantico. Se le rifiutano, rifiutano la democrazia.”
Di George Monbiot per The Guardian
Niente minaccia la democrazia come lo strapotere delle corporazioni. In nessun ambito esse agiscono tanto liberamente quanto in quello degli accordi tra nazioni, in quanto qui non c’è concorrenza. Ad eccezione del Parlamento europeo, non esistono altri casi di democrazia transnazionale. Tutti gli altri organismi sovranazionali, il Fondo Monetario, la Banca Mondiale, le Nazioni Unite, le organizzazioni commerciali ecc, lavorano sul principio della democrazia fotocopiata (il presunto consenso viene trasferito, copiato, verso istituzioni più remote e sempre meno trasparenti) o dell’assenza totale di democrazia.
Quando tutto è stato globalizzato, tranne il nostro consenso, sono le corporazioni a riempire il vuoto. In un sistema che nessun governo ha interesse a riformare, il potere globale è spesso poco distinguibile da quello delle corporazioni, esercitato attraverso accordi presi dietro le quinte tra burocrati e lobbisti.
Così sono iniziati i negoziati per il TTIP, il Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti. Il TTIP è un accordo tra Unione Europea e Stati Uniti descritto come “l’accordo commerciale più importante del mondo”. I lobbisti delle corporazioni si sono segretamente vantati che “contribuiranno insieme alla stesura delle regole” di questo accordo. Ma, dopo che alcune di queste regole sono trapelate, provocando l’indignazione della gente, gli attivisti della democrazia hanno iniziato a fare qualche concessione.
I negoziati sono appena ripresi e sentiamo di non volerne essere tagliati fuori.
Questo accordo ha poco a che vedere con la rimozione delle tasse commerciali (dazi). Come dichiara il responsabile per i negoziati dell’Unione, l’80% riguarda “ discussioni sulle regole che tutelano la sicurezza, la salute delle persone, l’ambiente, sicurezza finanziaria e protezione dei dati”. Discutere sulle regole significa allineare quelle delUnione con quelle degli Usa. Ma Karel De Gucht, il commissiario europeo al commercio, afferma che gli standard europei “non sono negoziabili”, e che non esiste nessun principio di “dare/avere”.
Un accordo internazionale senza uno scambio? Questo è un concetto da fiaba. Un accordo con gli Stati Uniti che non preveda una negoziazione? Questa non è una fiaba, questa è follia.
E’ impossibile allineare le norme da entrambe le parti dell’Atlantico senza negoziare. L’idea che le regole che governano le relazioni tra economia, cittadini e ambiente saranno negoziate dal basso verso l’alto, assicurando che le protezioni più forti in assoluto del blocco commerciale saranno applicate universalmente, non è credibile quando i governi di entrambe le parti dell’Atlantico hanno promesso di smembrare ciò che chiamano burocrazia. Ci saranno trattative eccome. E ci saranno accordi sul dare e avere. Il risultato sarà che molto probabilmente le regole saranno livellate. Credere che le cose andranno in modo diverso, significa vivere nel mondo dei balocchi.
Lo scorso mese il Financial Times scriveva che gli Stati Uniti stanno utilizzando questi negoziati per “spingere su un cambiamento fondamentale nel modo in cui le regole sono dettate in Europa per consentire ai grandi gruppi di ottenere dei vantaig”. Al principio, De Gucht ha detto che era “impossibile”. Poi ha smentito dicendo di “essere pronto a lavorare in quella direzione”. Menomale che non dovevano esserci tornaconti.
Ma non è la sola concessione che la democrazia deve fare affinché le corporazioni possano prendere. L’aspetto più pericoloso è l’insistenza da entrambe le parti su un meccanismo chiamato investor-state dispute settlement, ISDS, ovvero la risoluzione delle dispute tra uno stato e un investitore che consente alle corporazioni di denunciare i governi ad arbitrati off shore bypassando così i tribunali nazionali. Inserita in altri accordi commerciali, questa norma è stata introdotta per consentire ai grandi gruppi di evitare leggi che possano danneggiare la loro attività e il loro profitto: il pachaging semplice per le sigarette, regole finanziarie più limitanti, standar più severi sull’inquinamento dell’acqua e sulla salute, abbandono di combustibili fossili nel terreno.
All’inizio, De Gucht ci ha detto che non c’era niente di cui discutere. Ma a Gennaio, l’uomo che non fa accordi di dare/avere ha fatto una brusca inversione di marcia e ha promesso una pubblica consultazione di tre mesi sul ISDS a cominciare dai primi di Marzo. I negoziati sono ripresi lunedì ma nessuna traccia di consultazione fino ad ora. E resta ancora un grande quesito: una spiegazione credibile del perchè sia necessario questo meccanismo. Come ammette il ministro britannico che promuove il TTIP, Kenneth Clarke, “è stato creato per promuovere gli investimenti iun paesi in cui le regole sono imprevedibili”. Ma allora perchè inserirlo in un accordo tra Usa e Ue? Una relazione commissionata dal governo britannico ha rivelato che “sarà molto improbabile che l’ISDS incoraggi gli investimenti” e che produrrà “pochi vantaggi, o nessuno” per la Gran Bretagna. Ma potrebbe consentire ai grandi gruppi di entrambe le parti dell’oceano di citare qualsiasi governo si metta di mezzo.
A differenza di Karel De Gucht, io credo nel principio del dare/ avere. Quindi, invece di negare l’idea di per sé, qui ci sono alcune sfide da porre ai negoziatori che determinano la loro volontà di tutelare la democrazia.
Prima di tutto, le trattative tenutesi tra le parti saranno rese note solo dopo essere già state discusse. Sarebbe bello, se invece di trattarci come dei cretini accondiscendenti, ci dessero la possibilità di discutere di quelle posizioni e di poter considerare il loro impatto.
Secondariamente, ogni capitolo dell’accordo dovrebbe essere soggetto a un voto separato da parte del Parlamento europeo. Ad oggi, il parlamento sarà invitato unicamente ad adottare o rifiutare l’intero pacchetto, ma di fronte ad una complessità tale, questa è una scelta insensata.
Terzo, il TTIP dovrebbe contenere una clausola di provvisorietà. Dopo cinque anni potrebbe essere riconsiderato. Se si dovesse dimostrare fallimentare nelle promesse di un miglioramento economico o se dovesse di fatto ridurre la sicurezza pubblica o la previdenza sociale, dovrebbe essere cancellato. Capisco che questo possa suonare come minimo inconsueto, la maggior parte degli accordi di questo genere ha una “validità indeterminata”. Ma si può definire tutto ciò democratico?
Quindi, questa è la mia sfida a De Gucht e Clarke e agli altri che vogliono tapparci la bocca e farci ingoiare la pillola. Perchè non fare queste modifiche? Se le rifiuterete, come potrete continuare a parlare di tutela della democrazia e pubblico interesse? Che ne dite di un pò di dare e avere?
Twitter: @georgemonbiot. La versione totale può essere trovata qui: Monbiot.com
Tradotto da Eleonora Albini