Doha, foto di Amjra
I governi di Arabia Saudita, Bahrein e Emirati arabi Uniti (Eau) hanno richiamato i loro ambasciatori a Doha, un segnale delle tensioni crescenti con la autorità del Qatar. Il gesto, che non ha precedenti nella storia delle relazioni tra i paesi della regione, è confermato da una nota dell’agenzia stampa saudita Spa e avviene all’indomani di una riunione che la stampa locale definisce “agitata”, tra i ministri degli Esteri del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) convocati a Riad.
Alla base del disaccordo, sempre più profondo negli ultimi mesi, “la violazione del principio di non-ingerenza, diretta o indiretta, negli affari interni di ciascun paese” riferisce un comunicato congiunto, secondo cui “è stato più volte chiesto al Qatar di non sostenere azioni che possano mettere a rischio la sicurezza e la stabilità degli Stati membri”.
Il riferimento, evidente, è alle campagne mediatiche condotte dall’emittente qatariota Al Jazeera nonostante l’impegno espresso dall’emiro del Qatar, sheikh Tamim ben Hamad al Thani – succeduto a suo padre Sheikh Hamad dopo l’abdicazione in luglio – nel corso di un mini vertice convocato a novembre scorso.
L’incontro, tenutosi in Kuwait, avrebbe dovuto consentire di superare i dissidi tra Riad e Doha riguardo la posizione da tenere nei confronti del nuovo potere installatosi al Cairo, dopo il golpe militare condotto dal generale Abdel Fattah al Sisi, che ha destituito il presidente islamista Mohammed Morsi lo scorso luglio. Se i paesi del Golfo, Arabia Saudita in primis, hanno appoggiato con un sostegno finanziario massiccio il nuovo corso egiziano, il Qatar si è invece schierato apertamente in sostegno dei Fratelli Musulmani, banditi nella maggior parte dei paesi del Golfo.
Creato nel 1981, nel pieno del conflitto tra Iran e Iraq, il Consiglio di cooperazione del Golfo riunisce Arabia Saudita, Bahrein, Emirati, Qatar, Oman e Kuwait che insieme controllano il 40% delle riserve mondiali di petrolio.