Il 2013 è stato un anno particolarmente buio per la libertà di stampa in molti paesi del sud del mondo da una parte per “l’impatto negativo dei conflitti armati” e dall’altra per “un’interpretazione troppo ampia e abusiva del concetto di protezione della sicurezza nazionale, anche in alcune democrazie”. A fotografare lo stato mondiale della libertà di stampa è l’organizzazione Reporter senza frontiere (Rsf) nel suo rapporto annuale. Paese più pericoloso al mondo per l’esercizio della professione è la Siria (177° posto), da tre anni teatro di un conflitto nel quale finora hanno perso la vita 130 operatori dei media. In coda alla classifica, dal 178° al 180° posto, si sono confermati Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea, definiti “i peggiori buchi neri dell’informazione”.
La situazione globalmente stabile nella regione Asia-Pacifico si è invece globalmente deteriorata in Africa, sulla scia del conflitto in Centrafrica, che ha perso 43 posti al termine di un anno segnato da “violenze estreme, attacchi e intimidazioni ai danni dei giornalisti e dei civili in generale”. Altrettanto negativo è stato l’andamento in Mali, dove il perdurare dell’instabilità nelle regioni settentrionali dell’Azawad “blocca una vera ripresa per i media”, dopo 18 mesi di conflitto armato. In Kenya a far indietreggiare la libertà di stampa sono state iniziative parlamentari definite “pericolose” e la risposta delle autorità in relazione alla copertura mediatica dell’attentato al Westgate di Nairobi. Anche il Ciad ha fatto passi indietro con un’impennata di arresti e condanne a carico di giornalisti, soprattutto dopo il presunto mancato colpo di stato dello scorso maggio. Altri paesi, tra cui il Burundi, hanno approvato leggi controverse sulla stampa che ledono alla libertà di informazione.
Incerta è stata l’evoluzione dell’Egitto: la destituzione del presidente Mohammed Morsi ha “liberato una parte dei media, prima messi a tacere dalla Fratellanza Musulmana”, ma i progressi in termini di libertà sono stati subito ipotecati da quello che Rsf presenta come “una caccia ai giornalisti vicini alla confraternita”. E’ invece salito nella classifica, al 42° posto, il Sudafrica, dove il presidente Jacob Zuma si è rifiutato di firmare una legge sui media considerata restrittiva.
Contrastante l’andamento in America Latina che registra da una parte progressi significativi – Panama, Ecuador, Bolivia e Repubblica dominicana – e dall’altra un calo vertiginoso in Guatemala, dove nel 2013 è raddoppiato il numero di aggressioni ai danni di giornalisti e quattro professionnisti sono stati assassinati.