foto: Deutsche Welle
Nell’inaugurare il terzo governo di larghe intese, nell’imporre al paese un presidente del consiglio votato solo all’interno di primarie di un partito – e pazienza per i restanti 47 milioni di elettori e elettrici – Renzi ha puntato tutto su immagine e comunicazione per nascondere la vaghezza programmatica che caratterizza il suo iperliberismo. Vaghezza programmatica che non impedirà, purtroppo, che i vari ministri da lui scelti ad hoc e con i grossi portatori d’interessi che li sostengono, prendano iniziative che contribuiranno al peggioramento delle condizioni del paese reale. Che dovrà svegliarsi dal torpore, e non cedere al tormentone dell’unico salvatore della patria che media mainstream e pensatori più o meno indipendenti ci stanno propinando h24. Una via d’uscita dalla crisi e una politica alternativa a quella che questa crisi sistemica ha provocato, e nel cui alveo si colloca con 20 anni di ritardo il Blair nostrale, esiste eccome. Ma passa per altre vie, per altre scelte, per altri governi e per altre persone.
Chi rassicura chi
La scelta di due ministeri chiave come Finanza e Sviluppo economico rivelano la direzione in cui si muoverà la politica economica del governo Renzi.
Piercarlo Padoan è un bocconiano (ancora una volta) molto in linea con le posizioni del Fondo Monetario Internazionale di cui è stato direttore per l’Italia, e per anni capo economista dell’Ocse. Indicando Padoan, già presidente della Fondazione ItalianiEuropei di D’Alema, Il rottamatore ha pescato la figura chiave del suo governo proprio nel think tank del rottamato per eccellenza.
Grande sostenitore delle politiche dell’austerità e del ‘consolidamento fiscale’, ha idee precise (beato lui) su come affrontare la crisi: apertura di zona di libero commercio tra Stati Uniti e Europa, risanamento delle banche, diminuzione Cuneo fiscale e qualche rimpianto per l’Imu. Ancora nel 2013 dichiarava al Wall Street Journal: ‘il consolidamento fiscale sta producendo risultati, il dolore sta producendo risultati’, e invitava a procedere nella stessa direzione, usando però toni più morbidi.
Aggiungiamo che Padoan è stato l’uomo che ha gestito per conto dell’FMI la crisi argentina: nel 2001 Buenos Aires fu costretta a dichiarare fallimento dopo che le politiche liberiste e monetariste imposte dal Fondo (quindi, suggerite da Padoan) distrussero il tessuto sociale del Paese. Dunque una sicurezza per chi crede nella continuità dei governi precedenti e nell’allineamento a FMI e BCE. Molto meno per il 99% che subisce questa crisi.
Altre importanti rassicurazioni, a Confindustria e allo stesso Berlusconi, arrivano dalla nomina di Federica Guidi a ministro allo Sviluppo economico. Ex presidente Giovani industriali, ha avuto dal padre la Ducati Energia, schierata per la totale abolizione dell’articolo 18 e addirittura del contratto nazionale di lavoro per sostituirlo con quello “individuale”. E’ stata ‘sfilata’ da Renzi al Cavaliere che ripetutamente le aveva chiesto di prendere la tessera di Forza Italia. Presente a una cena a Arcore pochi giorni fa, la sua scelta deve tranquillizzare proprio sui suoi affari privati lo stesso B., preoccupato oggi più che mai che il web possa essere favorito rispetto alle sue Tv, e che infatti ha perfidamente sibilato “abbiamo un ministro anche se siamo all’opposizione”. Chissà se la Guidi confermerà come vice alle comunicazioni Catricalà, amico di Gianni Letta? E come si pensa di affrontare il colossale conflitto di interessi della stessa neoministra? Il gruppo di famiglia opera in particolare nel settore energia, meccanica di precisione, elettronica, fornendo enti locali e municipalizzate oltre a grandi gruppi a maggioranza azionaria dello stato come Enel, Poste e Ferrovie. Può bastare un documento di dimissioni dalle cariche nelle varie aziende di famiglia?
Chi accontenta chi
Accontentata Scelta Civica, che si era fatta sentire non poco per essere stata esclusa, e allora ecco in extremis, spuntare Stefania Giannini, promossa da segretario per il ministero dell’Istruzione a Ministro. Docente universitaria ma, come ha tenuto a precisare (che non ci siano equivoci!), lei si sente “ministro politico e non tecnico”. Ha già esternato su meritocrazia, sulla valorizzazione delle scuole private, e ha dichiarato che “applicare nel nostro settore principi di revisione della spesa pubblica è ancora possibile e significa selezionare la tipologia dei tagli, indicando le priorità di investimento”. L’era dei tagli a scuola e università pare non essere finita.
Accontentato il Nuovo Centro Destra con 3 ministeri, con Lupi alle Infrastrutture dove gestirà anche la milanese Expo 2015 e che, portandosi avanti con il lavoro, il 17 febbraio aveva riconfermato per tutto il 2014 a capo della struttura tecnica di missione che cura le grandi opere Ercole Incalza, indagato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e all’abuso nel processo Tav a Firenze. Inoltre, proprio su richiesta di Alfano, la riforma elettorale concordata con B. sembra rinviata sine die, se posticipata all’abolizione del senato che gli stessi senatori dovrebbero votare.
Accontentati i cuperliani con l’Agricoltura al bersaniano Maurizio Martina; scontentato invece, ma neanche tanto – Civati, a cui Renzi ha sfilato, a sua insaputa, per gli Affari regionali Maria Teresa Lanzetta.
Accontentata l’UDC con il ministero all’Ambiente a Gianluca Galletti, nuclearista convinto.
Accontentato il potente e finora apparentemente lontano mondo delle Cooperative, nominando Giuliano Poletti ministro del Lavoro. Presidente dell’Alleanza delle cooperative, in potenziale conflitto di interesse per l’intreccio imprenditoriale politico che a lui fa capo e i contenziosi sul tema del lavoro (si è appena schierato con Granarolo contro i lavoratori nella causa della logistica). Che fare con le innumerevoli cause di lavoro proprio nel mondo delle due coop rosse e bianche? E che dire del conflitto di interessi di un membro del governo che dovrà decidere sui cantieri Tav appaltati alle Coop rosse (Torino-Lione e Firenze)?
Accontenta i vertici delle Forze Armate con la nomina di Roberta Pinotti alla Difesa. La ministra, quando era presidente in quota PD della Commissione Difesa alla Camera, dichiarò di preferire a presidente della equivalente Commissione in Senato il faccendiere De Gregorio a Lidia Menapace, colpevole di avere “un valore distorto della divisa e delle Forze Armate” perché proponeva la dismissione delle Frecce tricolore. Siano avvertiti i pacifisti e dintorni.
Saltata all’ultimo tuffo la nomina alla Giustizia di un magistrato come Nicola Gratteri, uno dei simboli della lotta alla ‘ndrangheta, per far posto a un uomo del PD come Andrea Orlando, non a caso considerato “ottimo” da Berlusconi, perché favorevole alla sua idea di giustizia. La sua nomina sarebbe stata un segnale forte delle intenzioni del nuovo governo, ma qui pare che anche Napolitano abbia detto la sua, e alla fine hanno prevalso altre logiche.
Accontenta i ‘traghettatori’ dalla vecchia alla nuova DC nominando Franceschini alla cultura.
Accontenta infine se stesso nominando Delrio, Boschi, Madia e Mogherini, che agli Esteri sostituisce la troppo autonoma Emma Bonino, saltata non tanto per demerito ma evidentemente per lasciare allo stesso Renzi la regia della politica internazionale.
Donne chi?
Una parola sulla parità numerica tra uomini e donne. Incassiamo il fatto che venga oggi considerato vincente proporre un numero paritetico di donne e uomini al governo di un Paese come l’Italia, che il Global Gender Gap Report 2013 mette al 71° posto in classifica su 136 ma solo per la presenza di donne in Parlamento, mentre se si guarda l’economia e il mondo del lavoro, siamo al 97° posto. E così via su altri aspetti della società.
Ci auguriamo comunque che questo numero paritetico di donne al Governo sia un punto di non ritorno.
Ma non basta e non può bastare. Le donne non devono essere esibite in una foto di gruppo per dimostrare quanto politicamente corretto sia un premier. Si potrà parlare di un Governo all’altezza dei tempi in merito alla parità di genere se adotterà misure finora inedite in Italia per una lotta alla discriminazione e alla misoginia sommersa che tuttora permea la cultura italiana, se saprà introdurre fin dall’inizio del percorso educativo e scolastico valori di equità, rispetto e autodeterminazione. Cioè se saprà andare in controtendenza rispetto a quel che è avvenuto in Italia negli ultimi 30 anni. Ma non troviamo nessun personaggio del governo che questi valori abbia incarnato e niente del profilo biografico del primo ministro lascia presumere che questa, che sarebbe una vera rivoluzione culturale, appartenga all’era di Renzi.