Sabato 1° marzo 2014 h.14,30 Piazzale Loreto
Quattro anni fa la grande partecipazione allo sciopero dei migranti del primo marzo sorprese molti e molte, forse persino le quattro donne che l’avevano ideato. Centinaia di migliaia di uomini e donne, migranti e italiani vecchi e nuovi, riempirono le strade di una sessantina di città. Fu un successo, un salutare grido collettivo di ripudio del razzismo.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da allora e nel frattempo la crisi e le politiche d’austerità hanno scavato in profondità, sconvolgendo le vite di autoctoni e migranti. Paradossalmente oggi le campane xenofobe sembrano suonare con meno vigore rispetto al 2010. Probabilmente i quotidiani proclami leghisti, postfascisti e a volte persino democratici erano diventati troppi e con l’incalzare della crisi sociale hanno finito per produrre un effetto overdose. A Milano, dove si erano inventati addirittura la vergogna del coprifuoco in via Padova, un anno dopo il primo sciopero dei migranti gli elettori avrebbero votato in massa per voltare pagina e farla finita con la politica dell’odio.
Ma non illudiamoci troppo, perché l’acqua continua a scorrere sotto i ponti. Le pubbliche lacrime per i morti al largo di Lampedusa o per l’infamia dei centri di detenzione chiamati Cie durano il tempo che durano e non si traducono mai in fatti concreti e tangibili, mentre a destra in molti pensano che stia tornando il tempo dei vecchi amori. La Lega che governa la Lombardia annuncia nuove discriminazioni negli accessi ai servizi e Salvini in Europa stringe apertamente alleanze con i neofascisti francesi del Front National. D’altronde, in giro per l’Europa l’effetto overdose non c’è mai stato e xenofobia, razzismo ed estrema destra non hanno fatto che crescere in questi anni. E vi risparmio l’elenco che tutti conoscete.
Insomma, momenti come il primo marzo, finiti negli ultimi anni un po’ nell’ombra, diventano di nuovo importanti, molto importanti, perché sarebbe un grave errore aspettare passivamente che il peggio si materializzi. Anzi, il peggio va combattuto sul nascere, da subito. Ovunque, anche a Milano.