Aumento della repressione e dei processi antiterrorismo: per fermare realmente la violenza ci vuole un cambio politico
Paesaggio dello Xinjiang, Turkestan orientale. Foto: archivio GfbV.
In seguito a un attacco di militanti Uiguri a una colonna di polizia avvenuto lo scorso 14 febbraio nel distretto di Uchturpan nella prefettura di Aksu e in cui hanno perso la vita 15 persone tra cui 11 Uiguri, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) si appella alla comunità internazionale affinché si impegni nei confronti delle autorità cinesi per porre fine alla persecuzione della minoranza musulmana degli Uiguri. Per l’APM, l’aumento della violenza anche da parte degli Uiguri è conseguenza diretta della forte repressione e persecuzione che gli Uiguri subiscono. Da gennaio 2013 gli scontri tra forze di sicurezza cinesi e Uiguri nella provincia dello Xinjiang hanno causato almeno 254 morti, di cui 39 solo nei primi due mesi del 2014.
Decine di blogger, giornalisti, scienziati e attivisti per i diritti umani uiguri sono in carcere per motivi politici. Gli arresti arbitrari e di persone note come quello dell’economista Ilham Tohti, arrestato lo scorso 15 gennaio 2014 e di cui si sono perse le tracce, o quello dell’attivista per i diritti umani uiguro Abduweli Ayub non fanno altro che innalzare i toni dello scontro e alimentare la violenza. Il 39enne padre di famiglia Abduweli Ayub è stato arrestato in agosto 2013 a Kashgar perché raccoglieva soldi per una scuola uigura indipendente. La scuola dovrebbe dare alla popolazione uigura la possibilità dell’insegnamento nella propria lingua e quindi la sopravvivenza della lingua uigura anche in ambito pubblico dove è invece sempre più soppiantata dal cinese Han. Abduweli Ayub è stato arrestato insieme ai suoi collaboratori Dilyar Obul e Muhemmet Sidik. Tutti e tre gli attivisti sono detenuti nel carcere di Urumchi e rischiano una lunga detenzione.
Secondo le stime di diverse associazioni per i diritti umani, i processi per “minaccia alla sicurezza statale” tenuti nella regione autonoma dello Xinjiang sono aumentati circa del 10% rispetti all’anno prima, raggiungendo i 296 procedimenti penali. In nessuna altra regione cinese ci sono così tanti procedimenti per presunti crimini legati alla sicurezza dello stato come nello Xinjiang. A confronto, in Tibet, che pure è scosso da rivendicazioni per il rispetto dei diritti umani, culturali e religiosi, nel 2013 sono stati accusati di “minaccia alla sicurezza dello Stato” 20 persone. Il 60% dei processi a sfondo politico si svolgono nella città di Kashgar, il tradizionale centro uiguro.
Secondo l’APM, l’unico modo per garantire la pace nella provincia dello Xinjiang è quello di avviare un dialogo con la minoranza uigura del paese. Ma difficilmente le autorità cinesi risulteranno credibili se non libereranno prima tutti gli attivisti, giornalisti e semplici cittadini arrestati per motivi politici e non annulleranno le massicce limitazioni alla libertà religiosa degli Uiguri.