Foto: Dr. John Ariki
Lo scorso 6 gennaio il presidente sudanese nonché uomo ricercato con mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità Omar Hassan al Bashir ha visitato la capitale del Sudan del Sud Giuba dove si è consultato con il suo collega del Sudan del Sud Salva Kiir sulla possibilità di istituire un corpo militare congiunto dedito alla protezione degli impianti petroliferi nelle regioni di frontiera tra i due paesi.
Mentre c’è chi festeggia la probabile istituzione di una task-force pro-petrolio come storico avvicinamento tra i due nemici di sempre, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) vuole ricordare le centinaia di migliaia di persone che attualmente sono in fuga dalle violenze e dagli scontri armati in corso nel Sudan del Sud. Più che un punto di svolta nel decennale conflitto tra Sudan e Sudan del Sud sfociato in 22 anni di guerra (1983 – 2005) con circa 1,9 milioni di morti e 4 milioni di profughi, il possibile accordo sembra essere semplicemente un mezzo con cui i due capi di stato tentano di mantenere il proprio potere, indebolire i nemici interni e assicurarsi entrate in denaro. Secondo l’APM l’unico interesse in comune dei due capi di stato è quello di evitare che i ribelli attorno a Riek Machar, ex-vicepresidente di Salva Kiir, possano fermare la produzione petrolifera e con essa gli ingenti introiti che ne derivano.
Ancora una volta sembra esserci poca preoccupazione per la popolazione civile per la quale la presenza di petrolio sul territorio non ha mai significato una spinta al benessere ma piuttosto guerra e povertà. Nonostante il Sudan del Sud esporti petrolio da 14 anni, prima come regione autonoma e a partire dal 2011 come stato indipendente, il 90% della popolazione continua a vivere sotto il livello di povertà e solo una persona su cinque ha accesso ad un’assistenza sanitaria adeguata. Tuttora in Sudan e nel Sudan del Sud quattro milioni di persone sono in fuga da qualche forma di violenza.
La preoccupazione per la salvaguardia degli impianti petroliferi ha mobilitato anche la Cina che teme per i suoi importanti investimenti nell’industria petrolifera sudanese e sudsudanese. Il ministro degli esteri cinese Wang Yi si è così proposto come mediatore tra le formazioni del presidente Salva Kiir e di Riek Machar e ha partecipato lo scorso sei gennaio ai colloqui di pace in corso ad Addis Abeba.