Con queste parole, il Presidente Rafael Correa ha risposto oggi (23 gennaio n.d.t.) alla domanda rivoltagli dalla giornalista di Pressenza-IPA durante la conferenza stampa concessa alla stampa estera. La domanda era riferita al nuovo modello produttivo e al suo contributo al senso che il Presidente Correa ha dato costantemente a buona parte delle politiche economiche del governo della rivoluzione cittadina: l’essere umano al di sopra del capitale.
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“Non ci sbagliamo, non ci sarà politica sociale duratura, senza una buona base materiale che la sostenga”, ha affermato e poi ha spiegato, in maniera sintetica, quali sono state le tre grandi tappe del suo governo. Nella prima è stata messa l’enfasi in una riforma istituzionale per cambiare i rapporti di forza tra i poteri; ne è derivata la Costituzione del 2008. Nella seconda, si è puntato a recuperare la fiducia della gente, concentrando gli sforzi su sanità, inclusione sociale, educazione, condizione lavorativa e in molti altri campi delle politiche sociali, dove si sono avuti notevoli progressi.
Ora in questa terza tappa è necessario “garantire la sostenibilità di questa nuova istituzionalità e della politica sociale a favore dell’essere umano, dello Stato popolare che ha sconfitto, anche se ancora non del tutto, lo Stato borghese”. Correa ha affermato che è necessario guardare alla base produttiva “ma in senso umanista, non con i criteri neoliberali di liberalizzazione dei salari e competitività in base alla forza lavoro. No, bisogna fare cose nuove e migliori”.
Il Presidente ha messo in guardia dai pericoli del “volontarismo incompetente”. “L’umanesimo senza visione, senza tecnica, può portarci verso la catastrofe. Possiamo essere umanisti ma allo stesso tempo molto pragmatici. Non c’è politica sociale duratura senza una base materiale adeguata, che deve mantenere tratti umanisti”, ha affermato con forza il Presidente, e ha sintetizzato il senso del nuovo modello produttivo con queste parole: “fare cose nuove e migliori, più valore aggiunto, salari più elevati, migliori condizioni di vita per la nostra classe lavoratrice, creare delle eccedenze sociali per sostenere gli obiettivi sociali raggiunti e garantire i diritti stabiliti dalla nostra costituzione e l’azione di governo”.
Alle domande sui negoziati con l’Unione Europea, Rafael Correa ha risposto che sono in corso e che, come ci si aspettava, le difficoltà si sono presentate sulle relazioni commerciali. Questo processo è iniziato su basi ancora più rigide di quelle richieste dal NAFTA, ma l’Ecuador non si è piegato a queste pretese. Poi la linea dell’Unione Europea si è ammorbidita e quindi si è tornati al tavolo dei colloqui ma “abbiamo una linea rossa che non siamo disposti ad oltrepassare”. Questa è un’arte, ha detto il Presidente, “né troppa liberalizzazione che metterebbe in ginocchio la nostra economia, né troppo protezionismo che aumenterebbe l’inefficienza”.
In relazione al Sistema Interamericano dei Diritti Umani, il Presidente ha affermato con forza che è “impresentabile che la sede della Commissione Interamericana dei Diritti Umani risieda in un paese che non ha firmato il Patto di San José. Questo ha un solo nome: neocolonialismo”. L’Ecuador continuerà a dire ai quattro venti quello che pensa, manterrà i suoi principi, “non si tratta di vincere o perdere, si tratta della nostra sovranità e pertanto non escludiamo di uscire da questo Sistema”. Il Presidente ha espresso desiderio e interesse per l’avanzamento dei nuovi processi d’integrazione e dei suoi organismi e meccanismi perché l’America Latina “non ha più bisogno di caporali”. Abbiamo bisogno del nostro spazio per elaborare e risolvere i nostri conflitti, senza “dover andare a Washington a discuterli”.
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D’altro canto, Rafael Correa ha riconosciuto che i rapporti tra l’Ecuador e gli Stati Uniti sono tesi e ha osservato, dal suo punto di vista, l’ottusità della politica USA verso i paesi dell’America Latina e in particolare verso i governi progressisti. Il Presidente ha criticato duramente l’utilizzo dei fondi di cooperazione dell’agenzia USAID (che non è più attiva in Ecuador), gli attentati al diritto internazionale e ai diritti umani, le pratiche di spionaggio e, in definitiva, la doppia morale della politica internazionale: “Noi non esiteremo a difendere i nostri principi, e se questo crea tensione nelle relazioni con gli Stati Uniti, me ne rammarico”. Sempre su quest’argomento, Il Presidente Correa ha riferito che è in suo possesso la relazione riguardante la presenza di circa 50 militari nell’Ambasciata statunitense e che il governo dell’Ecuador sta affrontando la questione. Il Presidente ha anche riferito che il governo ecuadoriano non ha avuto nessuna spiegazione da parte dell’Ambasciata degli Stati Uniti sull’appoggio della CIA al bombardamento di Angostura, trattandosi di “materia di intelligence”; anche quest’ultimo elemento ha aumentato le tensioni bilaterali.
Toccando altri argomenti, il Presidente ha tracciato un bilancio positivo della campagna “La Mano Nera di Chevron in Ecuador”, rilevando peraltro i molti ostacoli che permangono nell’obbligare questa multinazionale a rispondere dei danni causati nell’Amazzonia ecuadoriana; ha definito l’elezione di Papa Francesco come “una grande speranza”; ha parlato della situazione di Julian Assange sottolineando il ruolo decisivo di Gran Bretagna e Svezia nella risoluzione della questione; ha evidenziato l’alto valore della cooperazione con Cuba. Rispetto al narcotraffico il Presidente Correa ha ammesso il fallimento delle strategie di lotta portate avanti finora e la necessità di esaminare tutte le altre possibilità.
Traduzione dallo spagnolo di Valerio Marinai