Si registrano varie dichiarazioni sull’approvazione della mozione della lega Nord in Consiglio regionale della Lombardia sulle armi. La mozione chiede semplificazioni per la vendita delle armi ed è stata invocata per salvare i posti di lavoro di un’industri dichiarata in crisi.
“La mozione è una mossa politica per ingraziarsi le lobby delle armi. Da un punto di vista pratico, non cambia nulla: è una posizione strumentale”, dichiara Francesco Vignarca della Rete per il disarmo a Redattore Sociale. Un Consiglio regionale, infatti, non può incidere sul modo in cui un Paese recepisce un regolamento europeo. Anche l’invito rivolto con questa mozione in realtà non è efficace, soprattutto per il commercio di armi che non possono avere niente a che fare con eserciti o forze di polizia, quindi armi sportive e da collezione.
“Dal punto di vista tecnico, non cambiano i controlli, né si favorisce la vendita di armi di pregio o da collezionisti”, spiega Vignarca. Il regolamento europeo regola solo esportazioni ed importazioni extracomunitarie, senza applicarsi a collezionisti e armi antiche: non è mai stato oggetto di critiche dalla lobby degli armaioli. “Se vogliono alleggerire le pratiche, basta mettersi d’accordo con il Ministero degli Interni senza mettere mano a regolamenti europei”, aggiunge Vignarca. Secondo la Rete per il Disarmo, quel che manca davvero non è uno snellimento delle procedura ma semmai l’aumento della tracciabilità delle armi: “Ora non sappiamo esattamente che cosa viene venduto e chi lo compra”, precisa Vignarca.
Sul tema della cosiddetta crisi del mercato delle armi nella storica zona intorno a Brescia interviene Giorgio Beretta di Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa). “La “armi spa” non è per niente in crisi. Anzi, il mercato delle esportazioni dalla provincia di Brescia è in salute e verso Paesi instabili è addirittura in crescita. Si nota un deciso aumento soprattutto in zone a rischio – continua Beretta- . Questo mercato dovrebbe essere regolamentato e avere come unico scopo favorire la sicurezza, non può essere un ambito in cui creare posti di lavoro e fare business”. “Sarebbe diverso se le armi fossero tracciabili lungo tutta la filiera. Il totale delle esportazioni di armi e munizioni dalla provincia di Brescia al resto del mondo nei tre trimestri del 2013 è stato di 223 milioni di euro, in crescita rispetto ai 186 milioni del 2011 e in leggera diminuzione rispetto a 232 milioni del 2012″.
Quest’anno è l’Egitto a subire un’impennata di vendite (il valore di armi e munizioni acquistate dalla provincia di Brescia supera i 3,9 milioni di euro), insieme a Kuwait (3,9 milioni), Emirati Arabi Uniti (1,5 milioni) e Oman (1,3 milioni) e Turchia (oltre 20 milioni: è il secondo acquirente delle armi bresciane dopo gli Stati Uniti, che acquistano per 36,5 milioni di euro). In Libano, nonostante l’embargo di armi, sono state inviate dalla provincia di Brescia anche nel 2013 armi e munizioni per oltre 1,9 milioni di euro.
È lungo l’elenco di Paesi instabili, che confinano con zone di conflitto o sotto embargo con cui le aziende di armi della provincia di Brescia continuano a fare affari. “A chi vengono vendute? In che modo? Chi ha dato le autorizzazioni? Sono queste le domande a cui bisognerebbe rispondere”, prosegue Beretta. Il dato complessivo “armi e munizioni” non aiuta a fare luce. “Tutti i report che si pubblicano sull’esportazione di armi, da quello dell’Unione europea al dato Istat e alla relazione della Presidenza del Consiglio, non permettono di capire che tipo di merce è stata venduta“. Così sorge spontanea una domanda all’analista di Opal: sono tutte armi a uso sportivo per caccia o collezionismo?
Per questo la richiesta di Opal è rendere più stringente la legge 110 del 1975 che regola la vendita di armi e munizioni destinate a scopi non militari. Tra queste, ci sono anche le armi semiautomatiche, categoria borderline in quanto poco differente rispetto alle automatiche utilizzate nei conflitti.
Fonti: Rete Disarmo, Redattore Sociale