Dopo anni di lavoro di “fiction”come attrice, Teresa Dossi ha deciso di lavorare con la realtà realizzando documentari.
Belonging (Appartenenze) girato tra il 2009 e il 2012, si muove sul binario dell’inchiesta e al contempo s’impadronisce dell’insegnamento di Cesare Zavattini, pedinando protagonisti e comprimari di questa storia tormentata. La storia dei tibetani in esilio. Ne esce un materiale ricco, doloroso e ottimista insieme, che alterna momenti di vita quotidiana piena di serenità e di gioia a testimonianze sulla dura condizione umana di una comunità in esilio.
Teresa, come è nata questa storia?
Seguo la causa tibetana da circa 25 anni; ho iniziato il mio sostegno con l’adozione a distanza di due bambine, che negli anni si sono succedute con altre per vari motivi.
Adesso da qualche anno sono sempre le stesse: una vive a Moussorie e l’altra a Daramshala e sono stata a conoscerle con immensa gioia. Da circa sette anni ho deciso di realizzare documentari. Fare solo l’attrice non mi bastava più e avvertivo la necessità di confrontarmi con la realtà utilizzando quello che era il mio bagaglio artistico.
Ho frequentato l’accademia di Belle Arti a Firenze. Il mio primo amore è stato la pittura, la ricerca delle immagini. Poi sono passata a scenografia, dove potevo unire anche il mio amore per il Teatro.
I primi due anni da professionista ero con la compagnia degli “ Associati” dove lavoravano Giancarlo Sbragia, Sergio Fantoni, Valentina Fortunato, Ivo Garani, Puecher e per me è stato un periodo importantissimo in quanto ero impegnata come costumista, scenografa e attrice. Così, finiti i due anni “faticosissimi” decisi di seguitare a fare l’attrice, la costumista e scenografa soltanto per lavori miei.
Per tanti anni ho recitato in Teatro, Cinema, Televisione e Radio.
Nel 2009 ho deciso di fare un doc-film sui profughi tibetani che vivono in India. Viaggio da sola. Sono stata nelle zone concesse ai rifugiati dal governo indiano dopo l’occupazione cinese del Tibet.
Nel 1959 non solo il Dalai Lama ha lasciato il Tibet, ma moltissimi tibetani sono fuggiti. L’India è stata generosa, dando loro vastissime aree dove hanno potuto ricostruire la loro vita. Sono partita per l’India con riferimenti di luoghi e di persone “lasciandomi cullare dall’Universo” ed è stato così che ho incontrato i personaggi giusti per il mio film ed ho iniziato a fare le riprese. E’ dal 1950 che va avanti questa presenza invasiva cinese in Tibet. Ho trovato in India tibetani che sono nati in Tibet e moltissimi in India. Quello che mi ha colpito è la mancanza di risentimento verso gli invasori, la ricerca continua di pace, verità, compassione, tolleranza e soprattutto una grande gioia di vivere.
La diaspora tibetana è complessa e dolorosa. Cosa hai provato?
I miei sentimenti nei loro confronti sono di grande ammirazione e di amore verso una popolazione che vorrebbe ritornare nel proprio paese senza pretese, solo per poter vivere la loro realtà di tibetani.
Qual è il tuo modo di lavorare?
Dopo aver deciso il tema del documentario faccio una ricerca sul web per cercare personaggi e indirizzi di località dove andare. Fino ad ora tutti i miei documentari (Indiatà, Gangour, Belonging) sono stati girati in India.
Qual è l’obiettivo di questo lavoro?
L’obiettivo di questo mio ultimo lavoro ( Belonging) è ricordare il dramma tibetano per non dimenticare e far prendere coscienza del perdono, del valore della consapevolezza, dell’appartenenza, per comunicare fatti accaduti e presenti attraverso racconti di persone che li hanno vissuti.
Come è cambiata Teresa girando questo documentario ?
Tutto quello che facciamo, pensiamo, vediamo contribuisce a creare in noi piccoli o grandi cambiamenti. Sicuramente anche questa esperienza è stata motivo di crescita per acquisire maggiore consapevolezza e tolleranza. L’incontro con i vari personaggi – un reduce scampato ai massacri dell’invasore, un monaco insegnante che aiuta i ragazzi durante le loro vacanze scolastiche a studiare il tibetano per poter trasmettere la cultura tibetana alle nuove generazioni, la testimonianza di Palden Gyatso, il monaco imprigionato per 33 anni e torturato, il poeta che con la propria poesia comunica tutto il dramma del popolo tibetano, l’italiano che con una vera adozione regala la libertà ad un ragazzo tibetano, l’attivista con il racconto appassionato della sua vita – hanno inciso profondamente sulla mia sensibilità.
Come e dove lo si può vedere ?
A partire dall’aprile 2014 ci saranno molte proiezioni in Italia; inoltre ho realizzato il DVD che si può ordinare sul sito: www.teresadossi.com .