Di Jonathan Cook
Mentre gli inviati degli Stati Uniti fanno la spola in cerca di una formula di pace che metta fine al conflitto israelo-palestinese, una faccenda presumibilmente sistemata decenni fa, si sta riaccendendo.
In quello che il mese scorso è stato pubblicizzato come un “giorno di rabbia”, migliaia di palestinesi sono scesi nelle strade per protestare contro un piano per sradicare decine di migliaia di Beduini dalle loro terre ancestrali dentro Israele, nel Negev (Naqab).
Gli scontri sono stati i peggiori avvenuti tra la polizia israeliana e la grande minoranza palestinese della nazione, fino dallo scoppio della seconda intifada 13 anni fa, con la polizia che usava manganelli, granate che lasciano intontiti, idranti, e arresti per scoraggiare future proteste.
Sembra che la situazione possa soltanto diventare più calda. Il cosiddetto Piano Prower, che è stato approvato in gran fretta dal parlamento, autorizzerà la distruzione di più di 30 villaggi beduini, trasferendo con la forza gli abitanti in edifici poveri e sovraffollati. Costruite decenni fa, queste riserve urbane languiscono nel punto più basso di ogni indice sociale ed economico.
I capi beduini, che sono stati ignorati nella stesura del piano, dicono che vi si opporranno fino alla fine. I villaggi, sebbene vengano trattati come illegali dallo stato, sono gli ultimi posti dove i Beduini restano attaccati alla loro terra a una vita pastorale tradizionale.
Il governo israeliano, però, insiste ugualmente a dire che i Beduini devono essere “concentrati” – un termine eloquente usato da Benny Begin, un ex ministro che ha aiutato a formulare il piano. Al posto dei villaggi, verrà costruita una manciata di cittadine ebree.
La posta è alta, non ultimo perché Israele considera questa battaglia come una continuazione della guerra del 1948 che ha stabilito uno stato ebraico sulle rovine della Palestina.
Avigdor Lieberman il ministro degli esteri, la settimana scorsa ha sostenuto che la lotta per il Negev dimostra che “nulla è cambiato dai giorni della torre e dello steccato” – un riferimento agli avamposti pesantemente fortificati che i Sionisti hanno costruito aggressivamente negli anni ’30 per sfrattare i palestinesi dalla terra che avevano coltivato per secoli.
Questi avamposti sono in seguito diventati comunità agricole che avevano fame di terra, come i kibbutz, che sono diventati la spina dorsale dello stato ebraico.
L’opinione del Signor Lieberman riflette quella del governo:”Combattiamo per le terre del popolo ebraico, contro coloro che intenzionalmente cercano di rubarle e di impadronirsene
Dare ai beduini l’etichetta di “occupanti abusivi” e di “intrusi” rivela molto della impossibilità di trattare il conflitto più ampio – e il motivo per cui gli americani non hanno alcuna speranza di porvi fine, finché cercano soluzioni che si riferiscono soltanto alle ingiustizie causate dall’occupazione che è iniziata nel 1967.
Doron Almog, che ha l’incarico di attuare il Piano Prower, la settimana scorsa ha osservato che i Beduini non si opponevano per salvare le loro comunità, ma per “per creare contiguità territoriale tra Hebron e la Striscia di Gaza. In altre parole, secondo l’opinione paranoica di Almog, la lotta dei Beduini per i loro diritti era in realtà una copertura per la loro ambizione di fare da testa di ponte tra la Cisgiordania e Gaza.
In verità, sia Israele che i palestinesi comprendono che la guerra del 1948 in realtà non è mai finita.
Suhad Bishara, un avvocato specializzato in problemi delle terre israeliane per conto del Centro legale Adalah, ha chiamato il Piano Prawewr “una seconda nabka” (catastrofe), in riferimento ai disastrosi avvenimento del 1948 che hanno tolto ai palestinesi la loro patria.
Israele, nel frattempo, continua a considerare il milione e mezzo dei suoi cittadini palestinesi -peraltro pacifici – altrettanto alieni e minacciosi per i suoi interessi quanto i palestinesi dei territori occupati.
Le radici del Piano Prawer, si possono far risalire a uno dei primissimi principi del Sionismo: “la giudiazzazione”. Ci sono delle città in tutta Israele, compresa Nazareth Nord, nel distretto settentrionale di Israele, Karmiel e Migdal Haermek, fondate come comunità della giudaizzazione, attigue alle grosse popolazioni palestinesi, con lo scopo ufficiale di “rendere ebraica la terra”.
la falsa premessa della giudaizzazioine, negli anni prima dello stato, era la fantasia che la Palestina era “una terra senza un popolo per un popolo senza una terra”. Il suo rovescio della medaglia era la gioiosa ingiunzione ai pionieri del Sionismo di “far fiorire il deserto”, principalmente cacciando via i palestinesi.
Attualmente, il termine “giudaizzazione”, con le sue spiacevoli implicazioni, è stato messo da parte a favore della parola “sviluppo”. C’è perfino un ministro per “lo sviluppo del Negev e della Galilea”, le due zone di Israele con grandi concentrazioni di palestinesi. I funzionari sono però interessati soltanto nello sviluppo ebraico.
La settimana scorsa, subito dopo gli scontri, il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato documenti fatti trapelare che dimostrano che l’Organizzazione mondiale sionista – un braccio non ufficiale del governo – stava tranquillamente facendo resuscitare il programma di giudaizzazione nella Galilea.
Nel tentativo di portare altri 100.000 ebrei nella regione, si devono costruire altre città, soltanto per loro, sparpagliate in un’area vasta il più possibile contravvenendo al piano generale nazionale di Israele, che richiede costruire in modo più intensivo all’interno di comunità esistenti per proteggere le scarse risorse della terra.
Tutta questa generosità verso la popolazione ebrea di Israele è a spese dei cittadini palestinesi della nazione israeliana. A loro non è stata mai concessa neanche una sola nuova comunità fin dalla fondazione di Israele avvenuta 60 anni fa. E le nuove città ebraiche, come si sono lamentati i sindaci arabi la settimana scorsa, si stanno costruendo con l’intenzione di confinarveli.
Per i funzionari, la nuova spinta alla giudaizzazione riguarda l’asserire la “sovranità di Israele” e il “rafforzamento della nostra “presa” sulla Galilea, come se gli abitanti attuali – i cittadini israeliani che sono palestinesi – fossero un gruppo di stranieri ostili. Haaretz, più onestamente, ha definito questa politica come “razzismo”.
La giudaizzazione licenza il conflitto tra israeliani e palestinesi in termini a somma zero, e quindi lo rende irrisolvibile. Quando considera i suoi cittadini palestinesi, Israele non parla di integrazione e neanche di assimilazione, ma della loro condizione duratura di “quinta colonna” e quella dello stato giudaico come “tallone di Achille”. Il motivo è che se questi principi di giustizia e di uguaglianza si facessero mai rispettare, i palestinesi in Israele potrebbero fare da porta attraverso la quale milioni di palestinesi esiliati potrebbero ritrovare la strada per tornare in patria.
Se si revocasse la politica della giudaizzazione, la minoranza palestinese potrebbe porre fine al conflitto senza violenza, semplicemente abbattendo l’impalcatura delle leggi razziste che hanno bloccato qualsiasi possibilità di ritorno per i Palestinesi fin dalla loro espulsione di 65 anni fa.
Ecco perché il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, chiede come parte degli attuali negoziati di pace che i palestinesi santifichino il principio della giudaizzazione riconoscendo Israele come stato ebraico. E’ anche il motivo per cui i colloqui sono destinati al fallimento.
Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale Martha Gellhorn per il Giornalismo. I suoi libri più recenti sono: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” [ Israele e lo scontro di civiltà: Iraq, Iran e il piano per rifare il Medio Oriente] (Pluto Press) e Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” [La Palestina che scompare: gli esperimenti di Israele di disperazione umana] (Zed Books). Il suo nuovo sito web è: www.jonathan-cook.net.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/Israel-s-war-on-the-bedouin-proves-1948-setteld-m nothing-by-jonathan-cook
Originale: Jonathan Cook’s ZSpace Page
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY – NC-SA 3.0