di Valerio Colombo
Intervento alla Tavola rotonda “Nuovi Umanesimi per il nuovo millennio” – Libreria Assaggi 23 ottobre 2013
Siamo in crisi e continuano a definire questa crisi come “economica”, tuttavia approfondendo l’analisi risulta evidente che l’aspetto economico della crisi attuale ne è solo la crosta superficiale.
Viviamo in un’epoca caratterizzata dal dominio incontrastato dell’economicismo, per cui non risulta tanto strano che crisi questa debba essere classificata, in prima battuta, come “economica”.
Proviamo a vedere il tema da un altro punto di vista, per esempio quello politico.
Così come ho più ampiamente esposto nel mio intervento dell’anno scorso al simposio di Attigliano è possibile intravedere un processo di tentativo evolutivo in quello che è successo dalla costituzione degli stati moderni in poi:
Si tratta di un processo di “cessione di sovranità” che porterà fino alle democrazie moderne.
In questo modo, anche grazie alla Rivoluzione Francese e a quella Industriale, tutto comincia a cambiare: appaiono gli Stati Moderni e arriviamo all’avvento dell’Economicismo (soprattutto con la rivoluzione Industriale).
Gli ultimi due secoli, dopo la rivoluzione Industriale e l’instaurarsi del Capitalismo e della dialettica Capitalismo – Marxismo, portano a far sì che lo Stato Sovrano sia sempre meno centrale nella vita dei paesi e che sia sempre più predominante il capitale.
È Proprio un “Paradigma” così come lo era stato il Teocentrismo del Medioevo.
Arriviamo a un dominio totale dell’Economia come sistema: il mondo viene visto come un sistema economico: la dialettica tra Capitalismo e le correnti politiche che hanno dominato il campo del marxismo, travisando il pensiero di Marx verte, in ultima sostanza, su chi debba detenere il controllo del capitale.
È un vero e proprio “Mito” che pervade una civiltà che nel frattempo si espande a livello globale con il colonialismo prima e con la globalizzazione poi, schiacciando di fatto altri modelli trattati addirittura come “primitivi”.
Un Mito che oggi è in profonda crisi proprio nel momento in cui è maggiormente diffuso e creduto, tanto che ha bisogno di una struttura di “miti” corollari per riuscire a sostenersi.
Nel corso del ventesimo secolo, infatti, accade una cosa nuova nel processo umano: la scienza e la tecnologia si evolvono a tal punto da rendere disponibili risorse che sarebbero ampiamente sufficienti al sostentamento dignitoso di tutta l’umanità.
Ciò mette in crisi l’economicismo proprio nel suo fondamento di base: l’economia è infatti una disciplina specializzata nel gestire la scarsità di risorse e in una situazione contraria di abbondanza, risulta molto meno necessaria!
Ed ecco allora che verso la seconda metà del XX secolo in un vero e proprio riflusso della Storia appaiono nell’orizzonte culturali dei nuovi Miti a sostegno dell’economicismo:
il primo è proprio il mito della scarsità delle risorse che viene utilizzato proprio come giustificazione per ostacolare ed impedire il processo di diffusione della sovranità e dell’uguaglianza sociale di cui si parlava prima.
Nino Galloni: La Moneta Copernicana – i falsi limiti dello sviluppo i veri fondamenti della sovranità, cap. 7 “Perché è naturale la diffusione della sovranità”:
“Il concetto di scarsità o la sua artificiosa riproposizione è alla base di sottrazione di sovranità ai componenti della compagine sociale per privilegiare solo una parte o pochi od uno soltanto.
La scarsità può, beninteso, risultare una circostanza oggettiva e veritiera; se ciò accade o le risorse scarse devono venire razionate ovvero gestite in modo escludente (anche con l’uso della forza); il più delle volte identificando un criterio, una giustificazione al loro venir distribuite o concentrate in modo non equo.
La vera scarsità determina una limitazione della stessa crescita demografica ovvero alla sopravvivenza (o alla permanenza) di una parte della comunità; il concetto di sovranità diffusa, invero, si associa a quello di abbondanza (come opposto alla scarsità) ed è per definizione refrattario a quello di limitazione. […]“
E più avanti
“Oggi le tecniche disponibili, se ragionevolmente utilizzate, garantirebbero una situazione di abbondanza decisiva per il pieno ripristino della sovranità di tutte le persone.”
E più avanti ancora l’autore definisce come fondamento della sovranità “l’appartenenza alla specie che è capace di trasformare la Natura, collaborando con essa, dotata com’è del suo particolare tipo di intelligenza.
Quindi l’appartenenza alla specie che è capace di modificare e trasformare l’ambiente determina la condizione di sovranità che da tale punto di vista, appare comune a tutti i pari appartenenti stessi.
La negazione dell’anello che lega l’intelligenza scientifica [tecnica e sociale] al superamento delle condizioni di scarsità consente di sottrarre la sovranità all’insieme del corpo sociale per attribuirla ad un solo individuo, ad una casta , ad una speciale (apparentemente speciale) categoria…”
Queste parole risuonano in modo sorprendente con quelle scritte da Silo, nel documento del Movimento Umanista (lettere ai miei amici – parte di opere complete volume I ediz. Multimage)
“Gli umanisti non hanno bisogno di grandi discorsi per mettere in evidenza il fatto che oggi esistono le possibilità tecnologiche per risolvere, a breve termine e per vaste zone del mondo, i problemi della piena occupazione, dell’alimentazione, della salute, della casa, dell’istruzione. Se queste possibilità non si tramutano in realtà è semplicemente perché la speculazione mostruosa del grande capitale lo impedisce.”
In questo breve intervento, in cui non pretendo assolutamente di esaurire questi temi ma solo di lanciare alcuni spunti di riflessione per approfondimenti futuri vorrei mettere in evidenza la relazione intima che c’è proprio tra economia e sovranità: questa relazione è la moneta e proprio attraverso l’espropriazione progressiva della sovranità monetaria i mercati stanno svuotando gli Stati Nazionali della loro sovranità costituendo una sorta di para stato superiore non soggetto ad alcun controllo democratico.
“Luca Fantacci” Nel suo “La Moneta, Storia di una istituzione mancata” cerca di approfondire proprio la “natura” sociale della moneta, mettendola in una prospettiva storica che parte dall’antica Grecia (e anche prima). Riferendosi ad Aristotele si mette in evidenza che quando parliamo di moneta parliamo per prima cosa di una ISTITUZIONE (Nomisma) (pag. 38) “La moneta in quanto misura del bisogno è fondamento di ogni compagine politica […] in quanto misura del valore”
La moneta prima di essere mezzo di scambio è misura “istituzionale” del valore. Una misura che non è scientifica, ma è sociale; basata sui valori fondanti di una comunità e sui bisogni che essa identifica al suo interno.
(p .41 misura prima che mezzo) “A differenza del mezzo di scambio, la moneta come misura del valore è sempre esistita. In questo senso non c’è economia senza moneta. […] la moneta è presente come misura del valore, anche quando non esiste un mezzo di scambio generale. […] La moneta in quanto misura della distribuzione, è il sociale nell’economico”.
In questa prospettiva risulta evidente la distorsione del concetto di moneta, e la sua mitizzazione, la sua elevazione a valore in sé e soprattutto la sua economicizzazione (con l’eliminazione degli aspetti sociali e politici che determinano i “valori” di una comunità) in uno scientismo-tecnicismo assolutamente fasullo che quando parla di moneta lo fa come se si trattasse del carburante dell’umanità invece che di un semplice strumento organizzativo- distributivo. In sostanza stiamo parlando dell’istituzione della religione del “Dio Denaro”.
Questa digressione mi è servita per mettere in evidenza quale può essere una sorta di piattaforma di lancio per un nuovo paradigma sociale. Anzi Sociale-Politico in cui ogni essere umano possa partecipare alla sovranità: noi umanisti parliamo a questo proposito di “Democrazia Reale”
Thomas Hirsch nel suo “La Fine della Preistoria”:
“In una democrazia reale il protagonista è il popolo.
[…] Questi stessi popoli, calpestati dai tiranni, maltrattati dai potenti, traditi dai loro dirigenti e sfiniti dalle dure esigenze della vita, si rialzeranno dall’attuale prostrazione per costruire un nuovo ordine, forse mai tentato su questa scala nel corso della storia umana.
Quando si parla di democrazia, la si associa sempre alla rappresentatività, come se là esistesse una frontiera insuperabile per l’immaginazione, che sembra incapace di spingersi oltre tali limiti. […] Come abbiamo già detto, però, l’umano è storico e pertanto sempre in processo, in continuo divenire. Ogni costruzione umana verrà sempre spinta verso un’inesauribile metamorfosi e niente può essere considerato definitivo. Così le soluzioni a certi problemi sociali, che furono utili in un certo momento storico, non lo sono più allorché le condizioni cambiano; a quel punto sarà necessario cercare risposte nuove. Se in epoche di vigliaccheria come la nostra si tende a nascondere la testa sotto la sabbia e si aspira invano ad inchiodare la ruota della storia, un cambiamento di mentalità comporterà la riconciliazione con la temporaneità e l’accettazione delle difficoltà come una sfida permanente. Quali innovazioni dunque saremo in grado di proporre, per superare la dura prova che oggi la democrazia deve affrontare?
[…]
In realtà la democrazia recupererà la sua anima quando il popolo smetterà di essere una semplice comparsa e tornerà a svolgere un ruolo da protagonista. Questa energia collettiva si manifesterà in tutta la sua pienezza solo quando tale partecipazione sarà sinonimo di decisione, cosa che diventerà effettiva se si avviano alcune trasformazioni di fondo del sistema democratico, volte ad attribuire alla comunità organizzata livelli di decisione ogni volta più alti. Silo, uno dei creatori del pensiero del Nuovo Umanesimo, ha detto:
Il punto è che al progressivo decentramento ed alla progressiva diminuzione del potere statale deve corrispondere la crescita del potere della totalità sociale. Una forma di governo autogestita e controllata in modo solidale dal popolo, che non sia sottomessa al paternalismo di una fazione, sarà l’unica in grado di garantire che il grottesco Stato attuale non venga sostituito dal potere senza freni di quegli stessi interessi che un tempo gli hanno dato origine e che oggi lottano per eliminarlo.1
Se in altri momenti le difficoltà operative potevano servire come giustificazione per impedire questi cambiamenti, oggi i progressi della tecnologia informatica permettono un’amministrazione efficiente e sicura di tale processi di partecipazione collettiva permanente.
La formula di uno Stato forte e un popolo debole sfociò fatalmente nei totalitarismi, che calpestarono la libertà attraverso la violenza istituzionale. Uno Stato debole e un popolo debole hanno creato un vuoto di potere e questo ha permesso l’irruzione di un illegittimo stato parallelo in mano al potere finanziario internazionale, che mantiene “sequestrate” le società mediante l’imposizione di condizioni di violenza economica generalizzata. Uno Stato e un popolo forti potranno almeno neutralizzare il parastato e stabilire tra di loro un equilibrio dinamico di poteri. Nella misura in cui le comunità coordinate in modo adeguato andranno aumentando il loro potere reale, il dominio statale diminuirà in proporzione e l’organizzazione collettiva si avvicinerà sempre di più a quell’ideale di democrazia diretta descritto tante volte dai sognatori di tutte le epoche, dall’Atene di Pericle in poi. E quando i popoli saranno capaci di prendere tutte le decisioni rispetto a ciò che li riguarda direttamente, allora la libertà non sarà più una parola, ma una realtà sociale, a lungo desiderata e conquistata a caro prezzo.”
Ed ecco che emerge proprio una ridefinizione di comunità politica in cui si rimette al suo posto l’idolo Denaro, asservito alla giustificazione della disuguaglianza in quanto valore in sé, e natura della massima forma di violenza attuale: quella economica.
Come dice il giovane filosofo Diego Fusaro è necessario superare quello che lui chiama “cretinismo economico” e ristabilire una nuova supremazia della Politica con la P maiuscola. Nuova perché non si tratta di ripristinare nulla ma di mantenere una volta per tutte la promessa di Democrazia fatta nel corso del XX secolo e mai mantenuta finora dalla storia.
Guillermo Sullings nel suo breve saggio “La nuova sensibilità e i nuovi paradigmi di un’Economia Umanista.” (che sarà presto pubblicato in Italia nell’appendice del Saggio Oltre il capitalismo, economia mista)
“Gli umanisti partono da un paradigma totalmente opposto: gli umanisti affermano che ogni essere umano, per il semplice fatto di essere nato, deve avere uguali diritti ed opportunità.”
Uguali diritti ed opportunità, un paradigma a partire dal quale dovrà derivare tutto il resto dei paradigmi di una nuova economia. Una nuova economia in cui lo Stato abbia un ruolo da protagonista nel garantire un’equa distribuzione della ricchezza, salute ed educazione gratuite e accessibili a tutti, la tecnologia posta al servizio dell’insieme della società e non di pochi che si arricchiscono, l’accesso al credito senza interessi, la proprietà partecipativa dei lavoratori nelle imprese e il reinvestimento produttivo dei profitti.
E parlando di Stato, nel saggio Oltre il capitalismo, Economia Mista, si parla di “Stato Coordinatore”:
In una democrazia partecipativa lo Stato non sarà un ente slegato dagli individui, ma diventerà una sorta di Stato Coordinatore, una specie di intelligenza sociale che veglierà sugli interessi dell’insieme. Il governo non sarà il bottino degli arrivisti, ma lo strumento dell’organizzazione sociale, gestito da rappresentanti autentici e volontari.
Il concetto di Stato Coordinatore come intelligenza collettiva eliminerà le contraddizioni tra gli interessi dello Stato e quelli degli individui. Da questo punto di vista, ogni intervento dello Stato nell’economia sarà da considerare come la necessità di ordinare il funzionamento economico a partire da una visione più ampia di quella specifica di aziende e singoli, ma proprio con lo scopo di favorire, in modo equo, il funzionamento economico degli individui e delle aziende.>>
Stiamo parlando appunto di una vera e propria rivoluzione copernicana nel concetto stesso di Stato, che richiederà forme organizzative estremamente complesse e raffinate, ma che soprattutto richiederà che gli individui scelgano di operare anche una rivoluzione interna che metta profondamente in discussione i valori su cui si fonda il paradigma attuale; sarà necessaria la messa in discussione la necessità della violenza intesa come proiezione intenzionale di un essere umano su un altro…
In sostanza si tratta di una rivoluzione sociale che ha bisogno che nuovi umanesimi si diffondano in tutti i campi dell’esistenza umana.
1 Opere Complete. Vol. 1. Umanizzare la Terra, Il Paesaggio Umano. Silo. Multimage, 2000.