Slavko Goldstein, importante storico bosniaco (di Sarajevo), ha suscitato dibattito in occasione della presentazione statunitense (10 Novembre) del suo libro 1941: The Year That Keeps Returning (1941: l’Anno che Continua a Tornare). La tesi da lui sostenuta è nota e vale la pena ripercorrerla: il regime fascista ustascia è traditore dell’unità dei popoli slavi del sud, Gavrilo Princip non fu un terrorista, il movimento della “Giovane Bosnia” non fu un movimento terrorista, il giudizio va contestualizzato e la lettura dominante di quella vicenda storica, specie di parte occidentale, è parziale e va rivista.
Il libro è, peraltro, interessante per la sua struttura, una sorta di “diario storico” in cui lo sguardo personale del protagonista diventa l’occasione per una visione d’insieme dell’anno fatale 1941. E’ questo l’anno in cui gli ustascia, i nazionalisti filo-fascisti croati, furono installati al potere dagli occupanti nazisti della Jugoslavia. Il 10 Aprile 1941, quando le truppe tedesche entrarono a Zagabria, i nazisti furono accolti come liberatori da ampia parte dei croati. Tre giorni dopo, Ante Pavelic, capo ustascia e futuro capo dello stato fantoccio indipendente di Croazia, rientrò dall’esilio in Italia e il padre di Goldstein, titolare di una libreria progressista a Karlovac – bella antica città a ca. 60 km. dalla capitale – fu arrestato insieme con altri serbi e croati, comunisti e simpatizzanti “jugoslavi”.
L’idea jugoslava, non essendo né nuova né episodica, era un’idea per molti aspetti rivoluzionaria e “sovversiva”. A causa della sua attività irredentistica ed anti-asburgica, potenza occupante, Gavrilo Princip fu espulso dalla scuola, si unì al movimento “Giovane Bosnia” e divenne un “combattente per la libertà”. A sua volta, il movimento “Giovane Bosnia” non aveva solo un’aspirazione irredentistica, ma fu anche una delle prime prove sul palcoscenico della storia dell’idea panslava, l’ideale di unire tutti gli slavi del sud in virtù delle loro connessioni e delle loro affinità, l’ideale della Jugoslavia.
Inquadrare correttamente il fatto storico serve a dare una lettura corretta dell’intero processo, che attraversa le guerre balcaniche ed arriva al “lungo dopoguerra”, passando attraverso l’omicidio dell’arciduca della potenza occupante, Franz Ferdinand. Serve inoltre ad evitare pericolose forzature e strumentalizzazioni della storia, come quelle che sono, in larga misura, dietro alle controverse celebrazioni del centenario della prima guerra mondiale e del cosiddetto “Peace Event” di Sarajevo 2014. Possiamo giudicare un omicidio politico con sguardo negativo, ma sarebbe sbagliato dimenticare che tali pratiche di azione erano comuni nei movimenti patriotici dell’epoca, ha ammonito Goldstein.
“Il terrorismo va condannato sul piano morale e politico e, dal punto di vista storico e fattuale, va considerato come la manifestazione di una strategia politica e definito come la concretizzazione di una azione individuale a fini politici, determinata da organizzazioni clandestine attraverso l’uso della violenza contro le persone o contro le proprietà, con lo scopo di fare pressione sull’ordine costituito per conseguire determinati obiettivi di natura politica o sociale”. A differenza della storica canadese, Margaret Macmilan, che aveva sommariamente derubricato la vicenda di Gavrilo Princip e il movimento della “Giovane Bosnia” come “terrorismo punto”, quella vicenda comincia qui ad assumere finalmente una dimensione più complessa e ragionata, fuoriuscendo dal pregiudizio politico e dalla condanna morale per inscriversi più correttamente nel suo contesto e nella sua dinamica.
Si tratta di un interrogativo molto impegnativo ed esigente, soprattutto per quanti si professano o si considerano progressisti, nonviolenti, rivoluzionari. Il ripudio della violenza da parte della nonviolenza viene fatto non in nome della remissività o della acquiescenza, ma in base ad una critica alla efficacia della violenza come mezzo politico di massa e in nome della ricerca di una “forza più potente”. La condanna morale non è semplice mozione da anime belle, ma presuppone una profonda consapevolezza sociale e politica. E la valutazione politica viene dopo, non prima, l’analisi storica.