Fortress Europe si presenta con questo sottotitolo:
Sei anni di viaggi nel Mediterraneo lungo i confini dell’Europa. Alla ricerca delle storie che fanno la storia. La storia che studieranno i nostri figli, quando nei testi di scuola si leggerà che negli anni duemila morirono a migliaia nei mari d’Italia e a migliaia vennero arrestati e deportati dalle nostre città. Mentre tutti fingevano di non vedere.
E’ il blog dove Gabriele Del Grande riunisce i suoi testi e l’osservatorio sulle vittime della frontiera da lui fondato.
Gabriele, ci puoi spiegare meglio il lavoro che fai?
Viaggio, incontro, ascolto, leggo, penso, studio. E poi scrivo. All’estero mi definisco un giornalista. Nel paese delle caste e delle tessere che è l’Italia, non sono nemmeno un pubblicista, ma una semplice partita Iva. Ad ogni modo, il risultato è lo stesso. Cercare storie, metterle in fila, e provare a raccontare la Storia. Con cura, preparazione e passione. Fortress Europe è una ricerca che dura da sette anni. Da un lato i numeri delle statistiche sui morti lungo le frontiere europee e dall’altro il lavoro di reportage e narrazione. Con un’attenzione maturata negli anni alla ricerca di linguaggi nuovi, di parole nuove, di sensibilità nuove. Perché non c’è bisogno solo di vertenze sui diritti, ma soprattutto di una nuova estetica che ci aiuti a riumanizzare ciò che certo giornalismo e tanta politica ci hanno abituato a considerare come la spazzatura dell’umanità.
Come stanno cambiando i flussi negli ultimi tempi? E’ possibile fare una stima delle vittime? Chi sta pagando un prezzo più alto?
I flussi migratori, nel mondo, seguono i flussi del denaro, degli investimenti, del mercato del lavoro. E in questi anni di crisi sono flussi in uscita. La principale rotta migratoria in Italia, ma anche in Spagna e in Grecia, da un paio d’anni è la via del ritorno. Se ne sono andati in centinaia di migliaia dal Sud Europa, compresi molti nostri concittadini andati a cercare lavoro all’estero. Il loro spostamento non fa rumore perché hanno le carte in regola. Così come non fa rumore lo spostamento della maggioranza dei lavoratori emigrati in Italia, che sono europei – albanesi, rumeni, bulgari, polacchi. Non fanno rumore perché da diversi anni si muovono in regime di semi o totale libera circolazione. Arrivano in autobus, in aereo, in macchina, senza più bisogno del visto di ingresso… Eppure i riflettori della stampa sono accesi solo su Lampedusa. Come se quegli sbarchi fossero la causa della migrazione. Mai equazione fu più errata. L’immigrazione in Italia arriva dall’est e ormai viaggia con il passaporto. Lampedusa è piuttosto la conseguenza delle politiche frontaliere dell’Europa. Sì, perché la stessa UE che ha avuto il coraggio di aprire alla libera circolazione con l’Est, ancora oggi non si azzarda a semplificare le inaccessibili procedure per il rilascio di visti turistici, familiari o per lavoro. E la conseguenza è che una parte degli esclusi da quei visti decide di affidarsi alle reti del contrabbando. Che siano lavoratori in cerca di un salario o famiglie in fuga dalla guerra siriana, poco cambia. Il problema è lo stesso: l’inaccessibilità ai visti europei.
Chi fa i soldi con questa faccenda dell’immigrazione clandestina?
Sicuramente il contrabbando libico ed egiziano fa molti soldi. Come pure fanno molti soldi i funzionari delle ambasciate italiane. Perché è vero che è difficile avere i visti, ma la corruzione aiuta molto. Tra il contrabbando e la corruzione, credo che il giro d’affari, soltanto per l’Italia, si aggiri su svariate decine di milioni di euro l’anno, che poi ricadono a cascata su vari gruppi criminali locali e su vari funzionari corrotti. Non c’è un’unica grande organizzazione. Non si tratta di cifre astronomiche, ma magari aiuterebbero a risanare l’Alitalia o qualche compagnia di navigazione italiana. Se soltanto l’Italia e l’Europa ragionassero in termini di mobilità e non di criminalizzazione del viaggio. A Lampedusa sbarcano 30.000 persone ogni dodici mesi. Farle viaggiare in aereo, su voli diretti in mezza Europa, sarebbe logisticamente molto più semplice di quanto non sia trasportare i 18 milioni di turisti che ogni anno visitano Roma. E sarebbe più redditizio che non finanziare le missioni militari di pattugliamento nel Mediterraneo. Poi se vogliamo continuare la lista di chi ci guadagna, dovremmo metterci l’italiano medio. Non il grande capitale, perché quello deve fare le cose in regola. Ma l’italiano medio… Che sia l’azienda agricola del sud, la famiglia di classe media che ha bisogno di un’assistenza domiciliare, il proprietario di una seconda casa che affitta in nero, le aziende edili del nord e tanta imprenditoria straniera che esattamente come quella italiana conosce bene le regole dello sfruttamento… Tutta questa gente guadagna dalla ricattabilità di chi è tenuto nella clandestinità dalle nostre leggi sulla migrazione, sebbene lavori (in nero) e abbia una casa (in nero)…
Ci sono cittadini nel mondo che diventano di serie A ed altri che non giocano nemmeno il campionato: le categorie stanno cambiando? E, se sì, in funzione di quali fattori?
I cittadini dei paesi più potenti, economicamente e militarmente, godono del diritto alla mobilità. Sia esso in qualità di turisti (e dunque consumatori), o di lavoro e investimento (e dunque di produzione economica). Ai cittadini dei paesi più deboli e isolati è dato muoversi soltanto in qualità di manodopera a basso costo e solo su richiesta del datore di lavoro nel paese di destinazione. Ogni anno, decine di migliaia di giovani si ribellano a questa logica e attraversano le frontiere senza documenti, rivendicando il proprio diritto alla mobilità. La conseguenza è un sistema repressivo messo in atto in molte parti del mondo dai paesi ricchi lungo le loro frontiere con le zone più povere. Su quei confini si contano migliaia di morti ogni anno. Siano essi nel deserto tra il Messico e gli Stati Uniti, nel Mediterraneo, nel Sahara, o nel Pacifico al largo dell’Australia…
Il mondo e i suoi equilibri però stanno cambiando in fretta. La ricchezza si sta redistribuendo e i paesi emergenti hanno ormai un peso ineludibile. Basti pensare a quanti portoghesi stanno emigrando nelle ex colonie, Angola e Brasile, per beneficiare del boom economico di questi paesi. O quanti nordafricani stanno emigrando nei ricchi paesi arabi del Golfo, senza parlare di tutta la migrazione interna cinese e indiana. Voglio dire che il mondo non gira intorno all’Europa. E prima l’Europa si libererà dai fantasmi dell’invasione che non c’è, prima potrà risalire sul treno della contemporaneità, dal quale sembra aver deciso di scendere…
Quali sono le leggi internazionali che impediscono la libera circolazione delle persone? Quali quelle che la favoriscono? La libera circolazione risolverebbe il problema? In tutto?
Non ci sono leggi internazionali che vietino la libera circolazione. Al contrario la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 parla di diritto a lasciare il proprio paese. Il problema è a livello di giurisdizione nazionale, di leggi sull’immigrazione. Tuttavia bisogna distinguere tra diritto alla mobilità e leggi sull’immigrazione. È legittimo che uno Stato abbia le sue politiche migratorie, tuttavia la mobilità deve essere garantita, o quantomeno facilitata. L’Europa non può convivere con le fosse comuni lungo i suoi confini e allo stesso tempo scommettere sulla libera circolazione nei Balcani e negli stati orientali del vecchio continente. La libera circolazione risolverebbe in toto il problema dei morti sui confini europei. Il mercato del lavoro si autoregolerebbe, regolando i flussi in entrata e in uscita dei lavoratori stranieri in base alle esigenze del mercato, come già avviene di fatto, sebbene sul mercato nero. Diverso invece sarebbe l’effetto sull’asilo politico. È chiaro che ci sarebbero molte più domande di protezione internazionale. Ma davvero l’Europa potrebbe lamentarsi? Voglio dire, davvero in nome di un principio di ordine borghese delle nostre città, possiamo chiudere gli occhi davanti ai drammi del mondo? Davvero possiamo sbattere la porta in faccia ai profughi di guerra siriani o somali perché non vogliamo vedere i loro figli nelle nostre scuole? Io non so che farmene di un’Europa che pretende di vivere sotto la campana di vetro mentre la casa del vicino brucia. Delle due l’una: aprire la porta o dare una mano a spegnere l’incendio.
Quali sono per te le istituzioni che stanno lavorando peggio sul tema?
L’Europa, come pure l’Italia, è un soggetto pieno di contraddizioni. L’Europa di Frontex (Agenzia comunitaria per il coordinamento del pattugliamento delle frontiere esterne) ha incoraggiato i respingimenti in Libia fatti dall’Italia nel 2009, dopo un accordo bipartisan firmato con Gheddafi prima dal governo Prodi (2007) e poi dal governo Berlusconi (2009), eppure l’Europa della Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per quegli stessi respingimenti. L’Europa di Frontex ragiona con i paesi del Mediterraneo soltanto in termini militari, navi da guerra, respingimenti, carceri nel Sahara, esternalizzazione, eppure l’Europa della Commissione Europea ha firmato negli anni passati accordi di liberalizzazione dei visti (e dunque della mobilità) con diversi paesi dei Balcani e con i nuovi stati membri dell’Europa dell’Est. Forse sta a noi far prevalere la parte sana dell’Europa, contro quella in preda ai fantasmi dell’invasione e dello scontro di civiltà.
I CIE, comunque si giri la frittata, sono luoghi di detenzione; immigrazione = reato, immigrato = detenuto. Essere Umano = viaggiatore. Possiamo tornare a quest’ultima uguaglianza? Cosa serve per te, nelle leggi e nella testa, per farlo?
Basterebbe molto poco nelle leggi. E non sarebbe la prima volta. Fino al 2006, il 30% dei reclusi nei CIE (centri di identificazione e espulsione) erano rumeni, in perfetta coerenza con i dati sulle presenze in Italia dei rumeni, come prima comunità immigrata. Dal 2007, di rumeni nei CIE non se ne vedono più, eccezion fatta per alcuni ex detenuti condannati per reati gravi ed espulsi dopo aver scontato una pena in carcere. Basterebbe riscrivere la legge sull’immigrazione per introdurre i visti per motivi di ricerca di lavoro, reintrodurre la figura della sponsor, semplificare i ricongiungimenti e prevedere una sanatoria permanente e individuale, come in Spagna, per cui chi ha un contratto e una casa possa regolarizzare la propria posizione. Al resto però deve pensare l’Europa, con una progressiva semplificazione dei visti e magari con dei programmi speciali per i cittadini provenienti da paesi in guerra come la Siria e la Somalia, o l’Afghanistan, verso cui servirebbe maggiore solidarietà. Se l’Europa non trova il coraggio per farlo adesso, forse non lo farà più. Perché la pressione migratoria non è mai stata così bassa. La crisi ha reso l’Europa poco attraente. E proprio adesso dovremmo provare un altro sistema, visto che quello delle navi da guerra in vent’anni ha prodotto soltanto migliaia di morti, ma non ha cambiato niente.
C’è qualche storia particolare che pensi sia utile e bello raccontare?
Vorrei raccontarvi tutte le storie degli amici siriani con cui sono in contatto in questi giorni. Sono in Egitto, in Turchia, in Libia. Stanno provando inutilmente a chiedere i visti nelle nostre ambasciate. E io già sto in pensiero, perché so che prima o poi tenteranno la via del mare, dopo l’ennesimo rifiuto e non so se li rivedrò mai più. Perché questo non è uno scherzo, né un esercizio di statistiche tra esperti. E’ in gioco c’è la vita e la morte di migliaia di persone.