Femminicidio e violenza non devono esssere trattati come mero problema di ordine pubblico.

Intervento in aula del Consiglio Comunale di Firenze

La violenza sulle donne e il femminicidio sono le risultanti di processi culturali e politici che vedono ancora oggi nella nostra società le donne discriminate e vittime di stereotipi di genere duri a morire, in uno squilibrio di potere che produce desiderio di controllo e di possesso da parte del genere maschile. Non è quindi da trattare come semplice problema di pubblica sicurezza.

Si devono affrontare le radici della violenza sulle donne sia da un punto di vista culturale – a partire dalle scuole dove va introdotta una cultura che metta in discussione gli stereotipi di genere – sia sul piano del sostegno dei Centri antiviolenza, investendo seriamente sulla prevenzione e sulla protezione delle vittime, in un percorso che metta loro a disposizione strumenti concreti come una casa e un lavoro. Altrimenti si fa solo retorica.

Il decreto legge 93/2013 varato dal governo Letta in agosto e diventato legge lo scorso 11 ottobre, che ha certo il merito di affrontare una piaga sociale non più occultabile, ha suscitato molte perplessità nelle associazioni di donne che lavorano sul campo per la sua forte impronta securitaria. Nell’art 7 ad esempio si sono messe insieme norme antifemminicidio e norme per reprimere il dissenso: tutti come fenomeni di particolare allarme sociale. Come se una legge pensata solo per punire i responsabili potesse rappresentare un deterrente reale alla violenza maschile in un contesto su cui non si agisce sulla prevenzione, e come se si trattasse di emergenza e non di problema radicato profondamente nella nostra cultura. (Titolo significativo: “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di Commissariamento delle Province”).

E’ grave anche che gli stanziamenti siano così inadeguati alle esigenze reali: 27 milioni in 3 anni per tutto il territorio nazionale, quando i centri antiviolenza e le Case rifugio sono gli unici soggetti che in costante carenza di fondi portano avanti misure di protezione. Delle 3 P la legge si occupa esclusivamente della terza: la punizione. Mentre manca un adeguato sostegno finanziario per Prevenzione e Protezione.

Inoltre la Legge fa rientrare il contrasto alla violenza di genere in un quadro in cui le donnne sono definite come “soggetto debole” da tutelare addirittura da loro stesse, togliendo loro anche il diritto dell’autideterminazione. Ad esempio si impedisce loro di revocare la querela. Ma in mancanza di tutela, protezione, casa e lavoro la impossibilità di revocare la querela può diventare un boomerang per le donne che non vedono alternative alla loro situazione e che rinunceranno a denunciare. Sappiamo peraltro che molte donne sono state uccise dopo aver anche ripetutamente denunciato.

Siamo stanche di sentir ripetere ogni 25 novembre dati agghiaccianti che continuano a salire ( ogni due giorni in Italia una donna viene uccisa da un uomo, quasi sempre ex partner o conoscente: il 75% delle violenze si consuma in famiglia; vioenza come causa prima di morte o invalidità per donne tra i 16 e i 44 anni…). Si blocchino i tagli a servizi sanitari, si tutelino pensioni e posti di lavoro- tutte misure che rendono le donne sempre più dipendenti – , si attivino programmi nelle scuole, si finanzino i Centri antiviolenza e si sostenga il loro lavoro prezioso.