I soldi per uscire dalla crisi ci sono. Sono i nostri, 235 miliardi di euro, il risparmio postale di 24 milioni di italiani. Li raccoglie Cassa depositi e prestiti, nata per essere la “banca degli enti locali”. Ma che cosa ne fa oggi?
Sono passati dieci anni esatti dalla privatizzazione di Cdp. “La posta in gioco” spiega che cosa è diventata e come impiega i soldi del risparmio postale di 24 milioni di comuni cittadini, giovani, lavoratori, pensionati. Uno strumento indispensabile per chi vuole capire fino in fondo “che fine fanno i soldi”.
Era il novembre del 2003, e il ministro del Tesoro Giulio Tremonti decise la trasformazione di Cassa depositi e prestiti in società per azioni, e la sua parziale privatizzazione.
Una vera “rivoluzione”, a partire dalla quale Cdp – l’acronimo con cui è conosciuta – ha preso a comportarsi sempre più come un “fondo sovrano”, forte – a differenza del sistema bancario – di una straordinaria liquidità, garantita dal risparmio postale degli italiani: 24 milioni che detengono un libretto di risparmio postale o hanno investito in Buoni fruttiferi postali
Pochi di loro però sanno che oggi Cdp utilizza quelle risorse come un qualsiasi investitore, attraverso società di gestione del risparmio e fondi d’investimento partecipati dalla società.
Dopo dieci anni esatti, “La posta in gioco” fa il punto su ciò che è successo in questi anni: i limiti all’impiego delle risorse di Cdp a favore degli enti locali, tradizionali beneficiari dei prestiti della Cassa; e l’ampliamento dei margini d’azione di Cdp, chiamata in causa per ogni foglia che si muove nell’economia italiana, basti pensare ai recenti casi Alitalia e Telecom.
Ma non solo: suggerisce infatti possibili strategie per la trasformazione e la “risocializzazione” di Cassa depositi e prestiti, verso una nuova finanza pubblica e sociale.
Spiega Luca Martinelli, giornalista di Altreconomia:”Dall’housing sociale alle autostrade, dalla banda larga alla grande distribuzione organizzata, dagli aeroporti ai servizi pubblici locali, oggi Cdp è un ‘fondo sovrano’ che allarga le maglie della propria azione a un numero imprecisato di settori dell’economia italiana. Credo che – pur restando gli stessi i suoi ambiti di ‘manifesto interesse’ – sia possibile calibrare in modo diverso la sua azione: se interessano ad esempio gli acquedotti, deve promuovere un ‘fondo’ per l’ammodernamento della rete, garantendo prestiti a tasso agevolato ai soggetti pubblici, non favorire la privatizzazione delle società di gestione; se interessa la distribuzione del cibo, può articolare programmi a favore dei numerosi esempi di filiera corta e Piccola distribuzione organizzata che si sono sviluppati sul territorio, non diventare azionista di una società che costruisce e gestisce iper e supermercati”.
“Non è vero che i soldi non ci sono, come la litania della politica ci ricorda ogni giorno – aggiunge Antonio Tricarico, responsabile del programma Nuova finanza pubblica di Re:Common – ma ci sono e sono tanti, ed appartengono alle famiglie italiane. Il risparmio postale se gestito in altro modo dalla Cdp ci può davvero portare fuori dalla crisi promuovendo un’economia diversa, più equa e giusta sui territori. Ma per ottenere ciò questa volta spetta ai cittadini fare cassa, chiedendo dagli sportelli postali al Parlamento di risocializzare questa istituzione cruciale fuori da una logica di mercato dando voce in capitolo ai risparmiatori su come i loro risparmi debbano essere investiti per l’interesse pubblico, la difesa dei beni comuni e dei territori.”
Quei soldi, i nostri risparmi, potrebbero essere utilizzati per uscire dalla crisi.
La posta in gioco è il futuro del Paese.
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