“Noi possiamo avere la democrazia, o possiamo avere la ricchezza concentrata nelle mani di pochi, ma non possiamo averle entrambe”, così scriveva Louis Breandeis, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti dal 1916 al 1939.
Una grande e semplice verità, facilmente comprensibile da ciascuno, che restituisce concretezza alla parola Democrazia, sottraendola a dibattiti spesso astratti e sottomessi alle esigenze contingenti di una specifica fase politica. E la Costituzione è la pietra fondante della nostra convivenza democratica.
L’iniziativa del 12 ottobre e il percorso individuato sono quindi utili e necessari, ma dobbiamo fare molta attenzione a non essere vissuti come “elitari”; dobbiamo evitare che i milioni di persone che ogni giorno lottano per la sopravvivenza, per arrivare a fine mese, per pagare l’affitto, le bollette e il mutuo si sentano estranei a questa battaglia, la vivano come qualcosa di completamente avulsa dalla propria drammatica quotidianità.
Dobbiamo rendere esplicito il collegamento tra la difesa della Carta Costituzionale e il diritto al lavoro, all’assistenza sanitaria e all’istruzione, diritti garantiti dalla Costituzione. Dobbiamo in tutti i modi avere la capacità di rendere comprensibile a chiunque che la lotta per una giustizia sociale fondata sulla redistribuzione delle ricchezze rappresenta la miglior modalità per applicare la Costituzione che, non a caso, ha come riferimenti il diritto al lavoro, alle cure e allo studio.
La nostra campagna in difesa della Carta Costituzionale deve certamente rivolgersi a tutti, ma con la capacità di individuare riferimenti precisi nelle classi subalterne; in poche parole dobbiamo far vivere, alle persone alle quali ci rivolgiamo, la materialità della Costituzione.
Una Costituzione, la nostra, già più volte calpestata: sospesa a Genova in quel drammatico luglio 2001, ignorata dieci anni dopo, quando 27 milioni di persone votarono in difesa dell’acqua pubblica e stracciata le tante volte che la nostra bandiera ha sventolato su carri armati e cacciabombardieri.
Il ripudio della guerra è un elemento cardine e oggi più che mai attuale della nostra Carta Costituzionale; sbaglieremmo a ritenere che sia ormai archiviato il rischio di un ulteriore ampliamento del conflitto in Siria e a non considerare come la guerra sia prepotentemente tornata ad essere per molti governanti la continuazione delle politica con altri mezzi. La nostra campagna deve coinvolgere tutto il mondo pacifista e anche i tanti, singoli e associazioni che si sono mobilitati raccogliendo l’appello del Papa.
Sono tempi difficili, non raramente abbiamo l’impressione che rischi di prevalere una depressione collettiva; i nostri avversari ci descrivono come dei conservatori, isolati, con gli occhi rivolti al passato. Non perdiamoci d’animo, torniamo con la mente alle parole di Bertolt Brecht nella famosa poesia “A chi esita” “Su chi contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? Questo tu chiedi. Non aspettarti nessuna risposta oltre la tua.” La posta in gioco è grande.
L’appello lanciato da Rodotà, Landini, don Ciotti, Zagrebelsky e Carlassare s’intreccia con la consapevolezza di molti: lo scardinamento dell’art.138 ha l’obiettivo di consegnare il testo costituzionale alle decisioni delle temporanee maggioranze parlamentari.
Sullo sfondo il timore, non certo infondato, che il governo Letta punti a trasformare l’attuale assetto istituzionale in senso presidenzialista o comunque attraverso un rafforzamento ulteriore dell’esecutivo (le formule utilizzate sono infinite: cancellierato forte, repubblica semipresidenziale ecc.) destinato inevitabilmente ad allontanare ancor più la popolazione dalla partecipazione e ad esasperare la delega e la personalizzazione della politica che in Italia ha già prodotto immensi danni.
Senza pensare a quali rischi esporremmo noi stessi e le future generazioni in un paese che non è riuscito in vent’anni nemmeno ad approvare una legge sul conflitto d’interesse, pietra d’angolo per evitare una pericolosa concentrazione di potere.