Lascia di stucco leggere, oggi, di scontri a sfondo etno-linguistico a Vukovar, Croazia. Eppure, è ciò che sta succedendo lungo il limes balcanico, oggi nel cuore stesso dell’Unione Europea. Una vicenda, per molti aspetti, surreale e dolorosa, eppure concretissima e tragica, che affonda le radici nella disgregazione della Jugoslavia, all’indomani della caduta del Muro di Berlino e alla vigilia dei secessionismi “a catena” tra le varie repubbliche jugoslave, che portarono alla disgregazione e alla guerra.
La secessione unilaterale (indipendenza) della Croazia viene proclamata il 25 Giugno 1991 dal parlamento nazionale. Al contempo, si attivano i circuiti dell’imperialismo occidentale, filo-sloveno e filo-croato, animati in primo luogo dalla Germania, dagli Stati Uniti e dal Vaticano, e comincia una campagna di disinformazione, volta a mascherare il profilo reale del secessionismo sloveno-croato ed a creare l’immagine del nemico presso le opinioni pubbliche occidentali, in modo da alimentare il consenso intorno alla dissoluzione della Jugoslavia e alla liquidazione dello stesso gruppo dirigente socialista.
Alcuni esempi della sistematica campagna di disinformazione sono la ventilata notizia di un mai verificato “bombardamento” di Ljubljana, Slovenia, da parte dell’esercito federale (peraltro immancabilmente definito “serbo”, da ben prima che le compagini non serbe cominciassero ad abbandonare la JNA), per non parlare delle “dichiarazioni” della cosiddetta diplomazia occidentale: come quella, tragicamente famosa, di Otto d’Asburgo (15 Agosto 1991) per la quale «i croati, che sono nella parte civilizzata (sic) dell’Europa, non hanno niente a che spartire con il primitivismo serbo nei Balcani» (“Le Figaro”).
Se l’intervento armato della JNA in Slovenia contro la secessione era durato pochi giorni, in Croazia, abitata da un numero più consistente di nazionalità non-croate, l’intervento armato si trasforma in una vera e propria guerra e le rivendicazioni nazionali contrapposte inaugurano la triste stagione della “pulizia etnica”: oltre 25 mila serbi sono scacciati dalla Slavonia Occidentale; le milizie e i paramilitari nazionalisti croati accendono la pulizia etnica anche a Vukovar, abitata da migliaia di serbi; Vukovar diviene città martire e l’intervento successivo della JNA ne porta la distruzione e la “contro-presa”.
È questo lo sfondo del rancore che ancora anima il rapporto serbo-croato, in particolare nei luoghi caldi del post-conflitto, proprio come Vukovar. Con l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, come suo 28. stato membro, la Croazia è stata “sollecitata” ad approvare nuove norme a tutela delle minoranze, tra cui quella, lanciata già nel 2002, in base alla quale vengono re-introdotti la lingua serba e l’alfabeto cirillico in via ufficiale in circa venti comuni in cui i serbi costituiscono più di un terzo della popolazione. Non si tratta di un “diritto nazionale”, dunque, prende vigore esclusivamente a livello locale e municipale ed a Vukovar, secondo il censimento del 2011, circa il 35% della popolazione è serbo.
Ecco la cornice dei recenti “scontri di Vukovar”. I cartelli bilingue in alfabeto latino (croato) e cirillico (serbo) installati dall’amministrazione comunale, sugli edifici pubblici, del fisco e della polizia, sono stati letteralmente presi d’assalto lo scorso 2 Settembre ed ancora nei giorni a seguire da veterani di guerra e ultra-nazionalisti croati, che evidentemente hanno considerato un affronto il riconoscimento europeo del diritto di una minoranza, peraltro la più consistente, in territorio croato. Un atto grave, con scontri prolungatisi per l’intera giornata e almeno quattro agenti di polizia rimasti feriti negli scontri.
Come se non bastasse, un esponente di primo piano del governo croato, il ministro Arsen Bauk, tra l’altro responsabile dell’introduzione del bilinguismo e delle norme a tutela delle minoranze, giustificando le proteste anti-serbe, ha detto di auspicare che l’introduzione delle norme a tutela della minoranza serba e dell’alfabeto cirillico siano applicate “in modo corretto”, tale da adeguarsi alla situazione attuale della città e “a tutto ciò che Vukovar ha attraversato durante la guerra”. Inoltre, ha sottolineato la facoltà del Comune di Vukovar di limitare l’applicazione della legge nei luoghi dove ci siano meno serbi, all’interno della stessa municipalità. Insomma, un “diritto” riconosciuto ma limitato, soggetto a ben altre ragioni di convenienza e opportunità, nulla a che fare col carattere “universale” e “indivisibile” dei diritti fondamentali.
Fa riflettere la dichiarazione del leader dei veterani di guerra croati, uno dei protagonisti dell’assalto, Tomislav Josic, che ha promesso in una conferenza stampa a Vukovar che la “resistenza” sarebbe continuata almeno per tutta la settimana. “I nostri amici provenienti da tutta la Croazia verranno e ci aiuteranno ad abbattere tutti i cartelli”. “Il cirillico, a suo tempo, è entrato a Vukovar sui carri armati, ora è in arrivo con le forze di polizia e la burocrazia”, ha aggiunto. Ha la nuova Croazia “europea” la forza per liberarsi dal suo passato e da quelle formazioni che la tengono, evidentemente, ancora “in ostaggio”?