Mahatma Gandhi, Lettere ai pacifisti, a cura di Rocco Altieri, Collana Quaderni Satyagraha, Edizioni Centro Gandhi, Pisa 2013, pp. 220
“Noi dobbiamo usare le nostre menti
per pianificare la Pace
in modo altrettanto rigoroso
di quanto abbiamo fatto finora
per pianificare la guerra”
Martin Luther King
Il libro, a cura di Rocco Altieri, direttore del Centro Gandhi di Pisa, raccoglie la corrispondenza che il Mahatma Gandhi tenne, durante gli anni ’30 del Novecento, con due dei rappresentanti più significativi del pacifismo europeo: lo scrittore francese Romain Rolland, premio Nobel per la Letteratura e il sociologo olandese Bart De Ligt, fondatore a Parigi nel 1938 della prima Accademia della Pace. I testi che animano la corrispondenza epistolare, tradotti e offerti per la prima volta in lettura al pubblico italiano, sono documenti molto preziosi per comprendere e ricostruire la dimensione e la portata del livello di consapevolezza politica e di discussione culturale e intellettuale di queste importanti personalità storiche, impegnate a ricercare una soluzione alle atrocità della guerra, alle nefandezze del razzismo, del militarismo, delle persecuzioni, del totalitarismo, in un’epoca di crisi drammatica, nel baratro dell’umanità ormai senza speranza e senza soluzioni di verità e giustizia.
La prima parte dello studio è incentrata sulla corrispondenza tra Gandhi e Romain Rolland, unico grande intellettuale europeo a non essere contagiato dal virus del nazionalismo, perché si oppose con coraggio alla carneficina della prima guerra mondiale. Rolland era interessato all’insegnamento che Gandhi poteva trasmettere all’Europa nella pratica della non-collaborazione nei confronti del potere; ma subito emersero alcune divergenze rispetto all’opposizione alla guerra, che manifestarono aspetti e profili controversi del portato valoriale del pensiero e della statura morale del Mahatma. Romain Rolland e molti altri pacifisti europei, rimproverarono a Gandhi il ruolo avuto nell’affiancare l’esercito britannico durante la prima guerra mondiale. La domanda cruciale posta dagli interlocutori europei a Gandhi era “la nonviolenza può essere trasportata in Occidente per impedire la guerra?”. Le risposte furono evasive, dilatorie. Gandhi voleva evitare la banalità e la semplificazione della prosaica posizione dell’opposizione alla guerra. In tale discussione si inseriva Albert Einstein, icona del pacifismo mondiale, che proponeva di far leva sull’obiezione di coscienza per impedire le guerre: egli firmò e sponsorizzò il “Manifesto per il disarmo mondiale” e il “Manifesto pacifista”. Questo primo carteggio tra Gandhi e Rolland si chiude con un saggio di Aldous Huxley sulla moralità del pacifismo e con il messaggio di Maria Montessori al congresso internazionale contro la guerra e il militarismo del 1937.
La seconda parte del libro riguarda il carteggio di Gandhi con Bart De Ligt, intellettuale olandese che definì la lotta alla guerra non una semplice aspirazione sentimentale e utopistica, ma un addestramento intelligente e un lavoro di trasformazione sociale e delle strutture di potere. Egli constatò e analizzò il nesso inscindibile tra guerra e imperialismo, che doveva sfociare ineluttabilmente in un conseguente pacifismo rivoluzionario, nella resistenza nonviolenta alle dittature e alle guerre, tramite una “terza via”, una rivoluzione nonviolenta dal basso, al fine di far conoscere la libertà, la giustizia, la pace, oltre ogni violenza e illusione totalitaria. Per questi motivi valutò criticamente il ruolo del diritto internazionale nel favorire politiche antimilitariste di disarmo e di pace.
Romain Rolland e Bart De Ligt furono i testimoni della coscienza pacifista mondiale e si opposero alla guerra con coerenza e irriducibile determinazione, pagando di persona con la persecuzione e l’isolamento. In un’epoca di smarrimento, di confusione, di crisi, che sembra celebrare la morte dei “Padri” e dei “Maestri”, occorre recuperare la vocazione dello scrittore e dell’intellettuale impegnato al servizio dell’umanità, in quanto la condizione di ogni autentica vocazione non è un amore astratto per l’arte, ma l’amore per l’umanità e chi non ha in sé l’amore per gli altri non può sperare di creare un’opera d’arte valida, perché il dovere dello scrittore e dell’intellettuale consiste nel mettere la sua arte al servizio della pace. Non sono accettabili il silenzio, l’ignavia e, peggio ancora, il tradimento degli intellettuali di ogni nazione che si fecero complici attivi della guerra, accendendo la miccia del fanatismo e costruendo gli idoli della patria, della nazione, della razza e dell’eroe, al servizio della volontà di potenza degli stati, asserviti al mostro dell’imperialismo tramite la volontà di orgoglio e dominio.
Il capitalismo e l’imperialismo che fomentano le guerre si possono contrastare con lo spirito combattivo nella sua forma più pura: il potere di sostenersi e resistere, di difendersi e vincere per mezzo di forze e mezzi morali e culturali, perseverando nella verità e nella sete di giustizia sociale, tramite le pratiche nonviolente di non-collaborazione, disobbedienza civile, boicottaggio, individuale e collettivo, a ogni preparazione di guerra: lo sciopero generale, per esempio, è considerato una delle tecniche dell’azione nonviolenta, con cui il proletariato si è sempre opposto alla violenza strutturale del capitalismo.
Con la sua proposta di “Accademia della Pace”, Bart de Ligt proponeva un progetto di ricerca e formazione rivolto agli obiettori di coscienza, ai resistenti alla guerra e a tutti i volontari in servizio civile che dovevano andare a costituire “l’esercito della pace” e le “brigate internazionali” della nonviolenza. Egli anticipava così il lavoro che fu avviato alla fine degli anni 1950, tra gli altri, da Johan Galtung con i moderni “Studi di ricerca per la pace” e con la più recente “Rete TRANSCEND”, nonché con la Rete dei Corpi Civili di Pace.
Ma i venti di guerra continuano a soffiare e il lavoro svolto sinora non è stato ancora sufficiente per porre definitivamente “la guerra fuori dalla storia”.