Di David Brooks, Corrispondente.
Nella loro storia bellica gli Stati Unuti hanno utilizzato defolianti come l’Agente Arancio, fino alle bombe atomiche contro i civili. Durante l’ultimo decennio di guerre, le invasioni e altre azioni militari americane – dall’Iraq fino all’attuale Siria– sono state in parte giustificate con la necessità di eliminare l’inaccettabile minaccia dell’uso di armi di distruzione di massa. I sostenitori di queste politiche belliche però evitano di menzionare il fatto che il paese con l’arsenale più grande del mondo di questo tipo di armi, che oltretutto ha permesso ai suoi alleati di ottenerle e usarle, sono proprio gli Stati Uniti.
L’ unico paese nella storia che ha usato nel 1945 le armi di distruzione di massa più potenti, le bombe atomiche, contro due città giapponesi (ossia obiettivi civili), che ha riversato per anni sul Vietnam tonnellate di defoliante, un’arma chimica, che ha facilitato la consegna e ha aiutato nell’uso di armi chimiche il regime di Saddam Hussein nella guerra contro l’Iran negli anni Ottanta, ora insiste nel dire che possedere e usare tali armi è inaccettabile.
Mentre Washington negozia con la Russia per raggiungere l’obiettivo di annullare la capacità della Siria di impiegare armi chimiche, affermando che queste sono proibite dalla Convenzione contro le armi chimiche del 1993, entrata in vigore nel 1997 e continua a giustificare l’opzione militare secondo questa Convenzione, non dice che gli Stati Uniti non hanno ancora soddisfatto l’impegno di distruggere il loro arsenale entro il 2012.
Gli Stati Uniti mantengono un enorme arsenale di armi nucleari (l’ultima cifra ufficiale risale al 2009 ed è di poco più di 5.000, ma secondo esperti indipendenti come la Federazione degli Scienziati Americani, esse arrivano a 7.700, sufficienti a distruggere il mondo varie volte) e chimiche. Nonostante gli sforzi per distruggere il proprio arsenale di armi chimiche dopo la ratifica della Convenzione (le cifre ufficiali sostengono che ne è stato distrutto il 90%), migliaia di tonnellate sono ancora nei depositi in Colorado e Kentucky e i calcoli ufficiali per la loro eventuale distruzione rimandano al 2018 -2023.
Giovedì la Siria ha mandato una lettera all’ONU, dichiarando che intende aderire alla Convenzione. Rimangono così altri sei paesi che non l’hanno ratificata, tra cui Israele. Anche se non l’ha mai riconosciuto ufficialmente, è certo che Tel Aviv possieda armi nucleari e probabilmente anche chimiche, eppure per ora nessuno esige che il paese venga a sua volta obbligato ad accettare ispezioni e a consegnare le sue armi alle autorità internazionali.
Nonostante la retorica del governo di Barack Obama e di altri esponenti politici sostenga che gli USA non possono ignorare né tollerare l’uso di armi chimiche, sia per la violazione delle norme internazionali che per ragioni di sicurezza nazionale, non è sempre stato così. Di fatto, secondo documenti ufficiali della CIA desecretati di recente e altre prove, citate da Foreign Policy, non solo Washington non ha protestato contro un attacco con armi chimiche molto peggiore di quello avvenuto in Siria, con decine di migliaia di vittime, ma ne è stato addirittura complice.
Nel 1988, alla fine della lunga guerra tra l’Iraq e l’Iran, il governo americano ha passato a quello di Saddam Hussein varie informazioni, tra cui immagini satellitari e mappe, sull’ubicazione delle truppe iraniane, sapendo che sarebbero state usate per lanciare attacchi con armi chimiche (iprite e sarin), con la giustificazione che bisognava fare di tutto per assicurare la sconfitta iraniana. In realtà Washington era informato dell’uso iracheno di armi chimiche in quella guerra fin dal 1983. Secondo Foreign Policy questi documenti equivalgono a un’ammissione ufficiale americana di complicità in alcuni degli attacchi con armi chimiche più atroci della storia.
E non basta: i governi di Ronald Reagan e George H.W. Bush padre hanno facilitato all’Iraq l’acquisto di materiale per armi chimiche, come documentato per primo dal Washington Post in un ampio reportage del 2002. Fin dal 1983 il governo di Reagan aveva deciso di rafforzare e appoggiare il regime di Saddam Hussein, una missione affidata all’inviato speciale della Casa Bianca nella regione, Donald Rumsfeld.
Lo stesso Rumsfeld, a quel punto come Segretario alla Difesa del governo di George W. Bush figlio, si sarebbe occupato di lanciare la guerra contro il suo antico alleato Hussein, con la giustificazione che quel regime possedeva armi di distruzione di massa. Risultò poi che non disponeva più di quelle che Rumsfeld e il governo di Reagan lo avevano aiutato a ottenere.
Nel 1988 Hussein usò un’altra volta delle armi chimiche, contro i curdi dell’Iraq, ossia contro la propria popolazione. Il governo americano lo considerava ancora un alleato strategico nella regione e non lanciò un appello al mondo per condannarlo, né propose sanzioni.
Una ventina d’anni prima, nel 1970, il Senato americano riferì che gli Stati Uniti avevano riversato sugli abitanti del Vietnam una quantità di defoliante tossico equivalente a quasi 3 chili per persona, come ricorda il giornalista investigativo e corrispondente di guerra John Pilger in un articolo sul Guardian. Questa operazione non ha avuto solo un effetto immediato, ma ha prodotto generazioni di bambini con deformità fisiche, un fatto che il Segretario di Stato John Kerry potrà ricordare, come veterano decorato di quella guerra. Secondo Pilger nella guerra in Iraq gli Stati Uniti hanno utilizzato armi con uranio impoverito e al fosforo bianco.
Vale la pena di ricordare che l’uso di armi chimiche in guerra fu dichiarato illegale dal 1925 dalla Convenzione di Ginevra, dopo gli orrori dei gas usati nella Prima Guerra Mondiale.
Chris Hedges, un altro corrispondente di guerra e vincitore del Premio Pulitzer, ha dichiarato di recente che gli israeliani hanno utilizzato il fosforo bianco, che brucia il corpo senza che sia possibile fermarlo e che le forze armate del Salvador lo hanno impiegato contro la popolazione civile nel periodo in cui lui seguiva quella guerra. In questi casi però Washington non ha detto niente. “Credo che moralmente Gli Stati Uniti non possano sostenere questa posizione… In questo momento non abbiamo alcun diritto legale o morale per intervenire (in Siria) con un’azione punitiva. Non abbiamo la credibilità morale per farlo.”
Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo