Non sarebbe una vera e propria guerra, ma un “colpo”, quello che Stati Uniti e alleati starebbero per mettere in atto in Siria, il cui regime sarebbe colpevole di aver usato armi chimiche contro l’opposizione lo scorso 21 agosto a Damasco. Un colpo mirato per punire Bashar al-Assad per aver usato armi che sarebbero state messe al bando da tutti i paesi della comunità internazionale.
Quanta ipocrisia possiamo rintracciare in questa differenza di definizione tra guerra e colpo?
Quanta ipocrisia possiamo rilevare nelle parole del segretario di stato americano John Kerry che, per conto di Obama e per convincere un’opinione pubblica americana che al 60% sarebbe contraria ad un intervento, parla della necessità di reagire contro un’“oscenità morale”?
Basterebbe ricordare che sin dal lontano 1963 è in vigore in Siria uno stato di emergenza che soffoca tutte le libertà, anche mediante la tortura che, istituzionalizzata, è stata eretta a sistema di governo. E che cos’è questa, se non un’oscenità morale?
Eppure, nonostante ciò, l’amministrazione americana negli anni 2000, della “guerra globale al terrorismo” non si è fatta alcuno scrupolo nel proporre al governo siriano di partecipare al programma di subappalto della tortura definito “extraordinary rendition”, pratica messa ripetutamente in atto soprattutto dalla CIA.
Ma il regime siriano, all’ombra di un antimperialismo sempre più di facciata che di sostanza, non si è mai negato nell’instaurare rapporti con le grandi potenze. Con la Russia, che attualmente si oppone ad un intervento armato in Siria, ha stabilito relazioni bilaterali ben solide fin dagli anni ’50: negli ultimi anni ci sono stati investimenti russi in Siria a suon di miliardi di dollari e le forze armate siriane si prestano ben volentieri a fare da cavia per testare la tecnologia delle armi che la Russia continua a vendere in modo ininterrotto.
Un intervento armato in Siria risponderebbe anche alle pressioni di altri paesi della regione, come il Qatar, l’Arabia saudita e la Turchia, che non vedono l’ora di creare problemi all’Iran, che ha nella Siria l’unico alleato arabo e che gli garantisce i canali di approvvigionamento di Hezbollah, i cui combattenti, insieme alle milizie sciite, si sono subito arruolati a fianco del regime di Assad.
Anche le caratteristiche di questo eventuale intervento armato destano non poche preoccupazioni. Infatti, siccome sarà difficile ottenere una risoluzione ONU, vista l’opposizione della Russia, si profila un intervento della Nato stile “Kosovo” nel 1999, un modello di intervento che a suo tempo, alimentato da una virulenta strumentalizzazione dei fatti e da una spietata manipolazione dell’informazione e dopo nemmeno 3 mesi di bombardamenti eseguiti all’insegna del “dovere d’ingerenza umanitaria”, ebbe come risultato solo devastazione e disgregazione, contraddicendo qualsiasi autentica ragione “democratica” o “umanitaria”.
Ognuno dei protagonisti in campo, compreso il brutale regime di Assad, per decenni e decenni ha risposto solo ai propri interessi.
Ciò che auspichiamo è che finalmente siano gli interessi del popolo siriano, gli unici interessi per cui varrebbe muoversi, a prevalere. Interessi che non passano certamente per un intervento armato, che sicuramente provocherebbe per l’ennesima volta solo un massacro di innocenti.
Auspichiamo che qualsiasi risoluzione passi attraverso le Nazioni Unite mediante il massimo sforzo per scongiurare l’interventi delle armi e al fine di trovare una soluzione senza il sacrificio di altre vite umane.
Auspichiamo, inoltre, che cresca la consapevolezza che alla radice dell’attuale situazione drammatica della Siria c’è soprattutto l’indifferenza, se non un tacito avallo, verso la violenza di un regime che ha stravolto per decenni questo paese, nell’illusione che la collusione con un regime di tal genere potesse durare in eterno a garantire la stabilità di una regione come quella del Medio Oriente.