di John Pilger
La campagna elettorale in Australia si combatte sulle vite di uomini, donne e bambini. Alcuni annegati, altri esiliati senza speranza in campi malarici. Bambini incarcerati dietro il filo spinato in condizioni descritte come “enormi generatrici di malattie mentali”. Tale barbarie è considerata premiante in termini elettorali sia dal governo australiano, sia dall’opposizione. Evocativa della chiusura dei confini agli ebrei negli anni ’30, sta distruggendo la facciata di una società pubblicizzata come benevola e fortunata.
Se un migliaio di australiani annegasse in barche che affondassero nel porto di Sidney, il primo ministro sarebbe alla testa del cordoglio della nazione; il mondo presenterebbe le sue condoglianze. In base a un conteggio, 1.376 rifugiati sono annegati dal 1998 cercando di raggiungere l’Australia, molti a portata dei soccorsi.
La politica di Canberra, nota come “stop alle barche”, evoca l’isteria e il cinismo di più di un secolo fa, quando si diceva che il “pericolo giallo” si sarebbe abbattuto sull’Australia, quasi fosse trascinato dalla forza di gravità. La settimana scorsa il primo ministro Kevin Rudd è tornato al suo periodo in cui dichiarava che a nessun rifugiato delle barche sarebbe stato permesso di approdare in Australia. Devono invece essere mandati in campi di concentramento nell’impoverita Papua Nuova Guinea, il cui governo è stato appropriatamente corrotto.
Tra di loro ci sono persone che fuggono da guerre, e dalle loro conseguenze, delle quali l’Australia e il suo mentore, gli Stati Uniti, hanno la responsabilità. Quelli che sopravvivono sono fatti prigionieri in duri gulag nelle isole più isolate della terra. Donne e bambini mandati nell’isola equatoriale di Manus hanno già dovuto essere evacuati a causa di infestazioni di zanzare. Ora Manus deve ricevere altri 3.000 rifugiati che, essendo loro negati i diritti legali, potranno trascorrervi anni. Una ex guardia dell’isola ha affermato: “E’, in realtà, peggio di una prigione … Le parole non possono descriverlo … Ho visto esseri umani così indigenti, così impotenti e così privi di speranza … In Australia la struttura non sarebbe usata neppure come canile. I proprietari sarebbero mandati in galera.”
L’Australia è firmataria della Convezione del 1951 sui Rifugiati. Le azioni di Rudd sono non solo illegali, ma indeboliscono la legge internazionale sui rifugiati e i movimenti per i diritti umani che la sostengono. Nel 1992 il governo laburista di Paul Keating è estato il primo a imporre la detenzione obbligatoria illegale dei rifugiati, in un’alleanza con i media dominati da Rupert Murdoch. La vasta Australia, scarsamente popolata, chiede “protezione” dai rifugiati e dai richiedenti asilo di cui meno di 15.000 sono stati sistemati l’anno scorso, lo 0,99 per cento del totale mondiale.
La natura punitiva e razzista di questa politica consente all’Organizzazione Australiana dei Servizi d’Informazione per la Sicurezza (ASIO) di “valutare” le persone e di incarcerarle indefinitamente, come i Tamil che fuggono dalla guerra civile in Sri Lanka. Molti non hanno idea del perché sono incarcerati e tra essi ci sono bambini.
Chiaramente Rudd spera di essere rieletto giocando questa “carta della paura”. I politici britannici si dedicano a un gioco simile, ma in Australia la razza è tutt’altro che iscritta geneticamente, come nell’apartheid sudafricano. La federazione degli stati australiani fu fondata nel 1901 sull’esclusione razziale e sulla paura di “orde” inesistenti provenienti sin dalla Russia. Una politica degli anni ’40, di “popolare o perire” ha prodotto un vivace multiculturalismo, tuttavia un razzismo rozzo e inconscio resta una corrente straordinaria nella società australiana ed è sfruttato da una élite politica con una duratura mentalità coloniale e ossequiosità agli “interessi” occidentali.
Il bando di Rudd ai rifugiati che arrivano via mare è diretto a spiazzare il suo avversario, il leader della coalizione conservatrice, Tony Abbott, un fondamentalista cattolico. Il Partito Laburista ha riportato Rudd alla guida nel mese scorso, perché l’impopolarità di Julia Gillard minacciava di distruggere il partito alle urne e, con esso, il club australiano in stile Westminster di due partiti principali dalle politiche quasi indistinguibili.
La mossa di Rudd non è stata nulla di nuovo: bandire i vulnerabili si dice conquisti voti in Australia, che si tratti di rifugiati o di aborigeni. Il suo predecessore, John Howard, ha messo al bando entrambi. Poco prima delle elezioni del 2001 Howard ha affermato che i passeggeri di una barca danneggiata avevano gettato i figli in mare e dunque non potevano essere “rifugiati veri”. In seguito è stato rivelato che la storia dei “bambini gettati in mare” era un’invenzione.
Due settimane prima dell’elezione successiva, nel 2007, Howard ha dichiarato lo stato d’emergenza nel Territorio Settentrionale e ha inviato l’esercito nelle comunità indigene impoverite dove, affermava il suo ministro Mal Brough, bande di pedofili violentavano bambini in “numero impensabile”. La Commissione Penale Australiana, la Polizia del Territorio Settentrionale e specialisti medici che avevano esaminato 11.000 bambini hanno scoperto che le accuse erano false.
Anche se Howard non ha vinto tali elezioni, la sua maligna campagna di diffamazione ed espropriazione – ha pretesto che i popoli aborigeni rinunciassero ai diritti [leasehold] sulla loro terra – è riuscita a devastare intere comunità che devono ancora riprendersi. Un’inchiesta del governo di quello che è divenuto noto come l’”intervento”, ha rilevato una “disperazione collettiva” tra gli australiani neri. L’Associazione dei Medici Indigeni Australiani ha riferito fame e denutrizione diffuse. Le lesioni autoinferte e i tentati suicidi si sono quadruplicati.
Da leader dell’opposizione all’epoca, Rudd ha offerto pieno sostegno a Howard. In seguito, da primo ministro, ha presentato pubbliche scuse emotive alle decine di migliaia di aborigeni australiani strappate alle famiglie nel ventesimo secolo, note come la Generazione Rubata. In silenzio, Rudd ha rifiutato risarcimenti di qualsiasi genere alle vittime. Se fossero state bianchi non avrebbe osato. Quando gli chiesto della cosa, ha risposto: “Queste questioni vanno valutate nel tempo”. Con l’aspettativa di vita degli aborigeni tra le più basse del mondo, le vittime di tempo non ne hanno.
Il Partito Laburista ha da allora permesso le stesse crudeltà assimilazioniste per le quali Rudd si è scusato. Nel corso di un anno, fino al giugno dell’anno scorso, 13.299 bambini aborigeni impoveriti sono stati presi alle loro famiglie, più che in uno qualsiasi degli anni famigerati della Generazione Perduta. Includono bambini esclusi dai dati di natalità. “Crediamo che sia realmente e ben in corso un’altra generazione rubata”, mi ha detto Josey Crawshaw, direttore di una rispettata organizzazione di sostegno all’infanzia con sede a Darwin. “Sono presi dalle loro comunità, spesso senza spiegazioni o un qualsiasi piano per restituirli, e sono dati a bianchi. Questa è ingegneria sociale nel suo senso più radicale. E’ orribile.” Sia per gli aborigeni, sia per i rifugiati, l’ironia è di per sé evidente. Solo gli aborigeni sono australiani veri. Il resto di noi – a cominciare dal capitano Cook – è costituito da immigrati clandestini.
Il film di John Pilger sull’Australia, Utopia, sarà nelle sale del Regno Unito in autunno.
Originale: The Guardian
Traduzione di Giuseppe VolpeTraduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0