In occasione della Giornata Mondiale dei Popoli Indigeni (9 agosto), l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) vuole ricordare la difficile e pericolosa situazione degli attivisti per i diritti umani indigeni. In molti paesi del mondo gli Indigeni che lavorano per il rispetto dei diritti delle proprie comunità corrono grandi pericoli. Perseguitati per il loro impegno da polizia, autorità, latifondisti e/o multinazionali, gli attivisti indigeni per i diritti umani sono troppo spesso vittime di arresti arbitrari, persecuzioni, torture e omicidi. I popoli indigeni normalmente non possano contare su lobby che difendano i loro interessi nei paesi in cui vivono e quindi i crimini commessi contro di loro restano perlopiù impuniti. La Dichiarazione dell’ONU per la Tutela dei Difensori dei Diritti Umani del 1998 impone esplicitamente la protezione degli attivisti per i diritti umani, ma la dichiarazione resta disattesa dalla maggior parte dei governi. Lo scorso 21 marzo 2013 il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU ha emesso una risoluzione votata all’unanimità in cui viene riaffermato l’obbligo a tutelare gli attivisti e difensori per i diritti umani. La maggior parte dei governi continua inoltre a ignorare la Dichiarazione Generale dell’ONU sui Diritti dei Popoli Indigeni, approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 2007.
I territori indigeni sono interessanti per governi e multinazionali per lo sfruttamento delle materie prime e dei legni pregiati o per l’espansione dell’industria agraria. Ma anche taglialegna illegali o trafficanti di droga sono interessati ai territori indigeni e minacciano le comunità che vivono nei territori presi di mira. Gli attivisti e le persone che diventano testimoni di violazioni o che semplicemente rivendicano il rispetto dei loro diritti, come ad esempio Benki Piyako del popolo degli Ashaninka nella regione di frontiera tra Perù e Brasile, rischiano la vita. I conflitti latenti da decenni se non addirittura da secoli come ad es. in Cile tra Mapuche e latifondisti continuano a causare morti e feriti, arresti arbitrari e condanne ad hoc di innocenti.
Da anni molte organizzazioni di Adivasi, come vengono genericamente chiamati i circa 85 popoli tribali indigeni dell’India, si impegnano per migliorare l’istruzione delle persone e quindi la possibilità di difendersi dai soprusi per vie legali. Il loro lavoro si scontra con l’opposizione della società, degli esponenti politici e soprattutto degli esponenti dell’economia e gli attivisti per i diritti umani si ritrovano sommersi da un mare di processi e iter giudiziari. La situazione dei difensori dei diritti umani non migliora in Russia dove i rappresentanti delle organizzazioni indigene lamentano i soprusi e la violenza delle autorità in nome di una non meglio precisata “sicurezza nazionale” ogniqualvolta le organizzazioni indigene tentano di opporsi a mega-progetti di sfruttamento sui loro territori o semplicemente chiedono maggiore democrazia e trasparenza.
Il semplice fatto di non conoscere singole situazioni di violazioni e soprusi non può giustificare l’indifferenza dei governi europei che anzi, proprio nei casi di accordi commerciali e di rapporti bilaterali sarebbero tenuti a esigere la tutela dei difensori dei diritti umani e il rispetto dei diritti umani dei popoli.