Bradley Manning è stato assolto dall’accusa più grave, quella di “aiuto al nemico”, che avrebbe potuto costargli l’ergastolo, ma condannato per altri 19 capi d’accusa, tra cui furto e spionaggio. Tra tutti, questi potrebbero costargli una sentenza fino a 130 anni di prigione.
Il processo entra ora nella fase finale, in cui l’accusa e la difesa potranno presentare altre prove e argomentazioni.
Il fondatore di WikiLeaks Julian Assange ha condannato dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove vive da più di un anno, il verdetto emesso dal giudice militare Colonnello Denise Lind, definendolo un “precedente pericoloso”. Ha assicurato inoltre che se necessario porterà il caso fino alla Corte Suprema. “WikiLeaks continuerà a impegnarsi finché Manning non sarà liberato,” ha dichiarato.
Secondo Widney Brown, di Amnesty International, “è difficile non trarre la conclusione che il processo a Manning serviva a mandare un messaggio: se pensi di rivelare prove del suo comportamento illegale il governo degli Stati Uniti te la farà pagare cara, senza esclusione di colpi”.
Analoga la posizione di Ben Wizner dell’ACLU (American Civil Liberties Union): “Appare evidente che il governo cerca di intimidire chiunque pensi in futuro di rivelare informazioni confidenziali.”
Per il Center for Constitutional Rights “oggi viviamo in un paese dove chi denuncia dei crimini di guerra può essere condannato a passare la vita in prigione, anche se non viene riconosciuto colpevole di aver aiutato il nemico, mentre i responsabili di quei crimini restano in libertà.”