Nel suo discorso al Deutsche Welle Global Media Forum l’imprenditore cileno Roberto Bleuh ha puntualizzato: «Considerando i tempi di crisi dell’economia, riteniamo giusto e necessario includere il lavoratore nella proprietà dell’azienda, in modo che esso sia parte dell’azienda non solo attraverso il salario, ma anche partecipando ai profitti e soprattutto nella gestione dell’azienda stessa». Si riferiva ad un modello economico basato sui principi del nuovo umanesimo.
Mentre il governo britannico sta studiando il modo di promuovere un modello di azienda che preveda la compartecipazione dei lavoratori nella proprietà, sulla scia del successo della John Lewis Partnership, varie ricerche svolte in questi ultimi anni confermano che questo modello di organizzazione della produzione si dimostra anche più resistente in tempi di crisi economica. Studi precedenti avevano già evidenziato come il modello delle cooperative, nelle quali gli investimenti sono diretti a migliorare sia la produzione che la situazione dei lavoratori, sia non solo più resiliente nelle crisi, ma anche un modello più giusto e più umano.
Uno studio pubblicato nel gennaio 2010 afferma: “Una ricerca della Cass Business School, sponsorizzata dalla John Lewis Partnership, analizza varie imprese in cui i lavoratori sono soci, confrontando le loro performance prima e durante la recessione. Basato su un’indagine approfondita dei dirigenti e un’analisi dei dati finanziari di oltre 250 aziende, lo studio evidenzia che le aziende con lavoratori-soci:
• creano nuovi posti di lavoro più rapidamente rispetto alle imprese convenzionalmente strutturate; reclutano più impiegati a un ritmo più veloce e ricompensano i dipendenti con salari più alti
• sono tuttavia altrettanto redditizie delle aziende convenzionali
• sono più resistenti: le loro performance sono più stabili su interi cicli di business, hanno migliorato i propri risultati rispetto ai mercati in tempi di recessione
• sono anche più solide: le imprese con dipendenti-soci mostrano un minor rischio di fallimento”.
Attualmente, il settore rappresenta il 3% del PIL del Regno Unito, nonostante le dichiarazioni del governo negli ultimi due anni a favore della promozione di questo modello come sistema per contribuire a stabilizzare l’economia. Il modello era stato preso in considerazione nel processo di privatizzazione delle poste, ma sembra esserci una resistenza innata nel sistema, in quanto la partecipazione dei dipendenti all’azionariato non corrisponde all’etica del guadagno veloce favorita dalle scuole di management aziendale e di economia, etica che inoltre attrae più facilmente i prestiti bancari.
Inoltre, “al momento, redditi come la quota utili annuale distribuita ai dipendenti di John Lewis subiscono un prelievo fiscale che arriva fino al 40%, lo stesso livello del resto della loro retribuzione, mentre i dividendi degli azionisti di società quotate sono tassati al 20% e non sono soggetti alla contribuzione sociale.”
Nondimeno dovremmo considerare come positivo il fatto che almeno qualche notizia su queste forme alternative di economia stiano raggiungendo i mass media a sfidare la solita litania del “non ci sono alternative”…
Traduzione dall’inglese di Giuseppina Vecchia