Dopo anni di impegno delle organizzazioni contadine e ambientaliste e, dopo l’avvio delle riforme, anche di una parte della classe politica, il Myanmar ha deciso di rivedere gli accordi per lo sfruttamento della miniera di rame di Letpadaung, presso Monywa, nella regione centrale del paese.
Contrariamente ai precedenti protocolli, che prevedevano una condivisione quasi alla pari dei proventi tra la compagnia mineraria cinese Wanbao e Meh (Myanmar Economic Holding), iniziativa gestita dai militari, ora Wanbao riceverà il 30% dei profitti e Meh il 19%. Il restante 51% finirà nelle casse pubbliche. Inoltre, l’azienda cinese dovrà mettere a disposizione tre milioni di dollari per attività di carattere sociale.
Il nuovo accordo dovrebbe mettere fine alle ripetute proteste, sovente represse con durezza e, secondo diverse testimonianze, con l’uso di gas al fosforo, dall’effetto ustionante.
L’opposizione dalle popolazioni locali sostenute da gruppi ambientalisti dura da tempo, nonostante le autorità abbiano informato che la maggioranza dalle popolazione dei 26 villaggi attorno alla miniera ha accettato di cedere circa 3000 ettari di terreno in cambio di compensi. Non tutti, però. Lo scorso anno, si erano tenuti sit-in prolungati nel sito della miniera, con la partecipazione di monaci buddisti. Le proteste dello scorso novembre, quelle di febbraio di quest’anno e le successive di aprile sono durate giorni e hanno coinvolto un gran numero di abitanti, con arresti e feriti durante gli scontri con la polizia.
Alla preoccupazione di carattere ambientale, infatti, nella vicenda si è sempre legata la scarsa entità dei compensi previsti in cambio degli espropri. Inoltre, con il tempo, Monywa era diventata il simbolo della presenza, in un paese di grande povertà, di grandi imprese economiche e immensi profitti potenziali di fatto ceduti a interessi stranieri e dei militari che dal 1962 e fino al 2011 hanno gestito il paese. Soddisfazione per il nuovo accordo è stato anche espresso dalla Lega nazionale per la Democrazia, di cui è leader e rappresentante parlamentare anche la Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi.