Il 22 giugno scorso l’economista Nino Galloni ha partecipato a Milano al workshop organizzato dal Partito Umanista “La guerra dell’euro. Comprenderla per difenderci.” Gli abbiamo fatto alcune domande; qui di seguito le sue risposte.
Ci sono sempre più iniziative autonome e locali di svincolo dall’economia asfissiante imposta dalla speculazione finanziaria; il movimento scec, genuino clandestino, le reti di baratto, gli ecovillaggi ecc. : che sta succedendo? Qual è la tendenza?
Di monete complementari ce ne sono parecchie, quasi tutte in grado di funzionare: dipende dagli obiettivi. Ad esempio, gran parte della disoccupazione dipende dalla concorrenza sleale dei prodotti a basso costo (inquinati, frutto di lavoro minorile, ecc.) della cosiddetta globalizzazione; quindi se produttori che sarebbero fuori mercato con le logiche demenziali correnti – nel comparto alimentare, ma non solo – si organizzano con una moneta alternativa e fra di loro si scambiano beni e servizi economizzando le loro scorte di euro. ecco che abbiamo occupazione derivante da minori importazioni non necessarie.
Si può uscire dall’euro senza farsi male? E’ l’euro il problema?
Il problema sono le regole che ci stanno portando alla catastrofe. L’euro è nato male ed è gestito peggio (scarso nell’economia reale e illimitato per le speculazioni bancarie), ma non sarebbe un gran problema restarci con regole diverse (soprattutto deficit spending per investimenti pubblici e welfare efficace), oppure abbandonarlo per tornare alle monete nazionali o, anche, ammettendo una doppia circolazione. La cosa migliore sarebbe mettersi d’accordo.
Ci spieghi meglio le relazioni tra economia e ecologia?
C’è un’ecologia neo-malthusiana che applica equazioni lineari per descrivere il consumo delle risorse e il peggioramento dell’inquinamento in proporzione all’andamento della crescita; ci può essere un’ecologia che considera non lineare la funzione della crescita – io sono fra questi – perché i processi produttivi (se non ci sono le distorsioni delle lobbies più o meno potenti) al loro crescere finiscono per dover economizzare le risorse scarse o pregiate e dover ridurre l’inquinamento per unità di prodotto. Quindi, se si ostacola o si distorce lo sviluppo, ci si ritrova più inquinati e impoveriti, se ci si muove su logiche di sviluppo irresponsabile pure. La decrescita non è mai felice; occorre la crescita felice, ovvero uno sviluppo responsabile nei limiti delle esigenze – che non sono solo materiali – di tutta la popolazione.
La compartecipazione delle imprese, soprattutto piccole e medie tu la vedi come una parte della soluzione?
Assolutamente sì.
Lo Stato dovrebbe riprendere a battere moneta?
Lo Stato o chi per lui, ovviamente. La moneta illimitata non è la soluzione, come dimostra l’esperienza giapponese. La parte più iportante, attorno al 95%, è credito, ma le banche, oggi, sono universali e credono (sbagliando) di guadagnare di più dalle speculazioni finanziarie. Occorre ritornare con urgenza alla netta separazione tra i soggetti speculatori e le banche di credito.