Il primo passo del Governo Letta tra contaminazioni della falde acquifere, subordinazione del diritto alla salute e mega-progetti: ecco il decreto da non fare.
In tempo di crisi, il primo passo del governo della larga maggioranza detta una lista di priorità da far tremare le gambe: diritto alla salute subordinato alla sostenibilità economica, contaminazioni delle falde acquifere “attenuate” invece che bloccate, incentivi ai mega-progetti a scapito dei trasporti pubblici. Il governo consegna un baule d’oro alle grandi imprese che, vincitrici nei confronti del temuto principio “chi inquina paga”, potranno partire in vacanza con una baule carico d’oro, tra appalti per le infrastrutture e soldi risparmiati dalle bonifiche.
Per capire nel dettaglio che cosa questo decreto detto “del Fare” stia invece cercando di “disfare” è necessario guardare punto per punto le modifiche attuate dal governo delle grandi maggioranze. Il linguaggio giuridico di primo impatto non aiuta a capire che cosa sta succedendo nel nostro paese e a quanto velocemente la logica economica si stia imponendo su numerosi settori del nostro vivere comune. Il tutto, giustificato dalla crisi e quindi fatto passare come utile e necessario al rilancio del paese.
Ma vediamo in dettaglio che cosa accade.
Via libera alle grandi opere, costose infrastrutture ad alto impatto ambientale ed inaccessibili ai più.
Il decreto stabilisce la creazione di un fondo per lo sviluppo delle infrastrutture di 2.069 milioni di € per il quadriennio 2013-2017 . Secondo il testo le sole opere finanziabili da subito con questo fondo sono alcune tra le più grandi e costose opere infrastrutturali a cui da anni numerosi comitati locali si oppongono: corridoi europei, la così blandamente definita linea ferroviaria Piemonte-Val d’Aosta – nel territorio già massacrato dalla TAV – passaggio della Pedemontana Veneta, linea di collegamento stradale a scorrimento veloce Agrigento Caltanissetta, Tangenziale Est di Milano, Terzo valico di Giovi.
Questo sviluppo infrastrutturale testimonia una volontà d’implementazione all’uso del trasporto privato e una conseguente subordinazione del trasporto pubblico, posto nella lista degli aventi diritto al finanziamento “nel limite delle risorse annuali”. Tra questi, l’apertura e l’ampliamento delle linee delle metropolitane di Roma, Milano e Napoli, attorno alle quali ruotano da anni progetti bloccati, cantieri a cielo aperto fermi e dissestati, flussi di denaro la cui trasparenza resta ancora da accertare. C’est à dire: se avanzano bruscolini a fine anno qualche cosa la facciamo.
Come se non bastasse, all’art.19 il decreto modifica la normativa in vigore in materia di concessioni e defiscalizzazioni, rendendo l’ ”equilibrio economico finanziario” l’unico criterio per selezionare le opere degne di finanziamenti o agevolazioni. L’importanza delle opere viene quindi valutato solo in termini economici, non di utilità territoriale, rispetto dell’equilibrio dell’ecosistema, emissioni, diritto alla salute, reale necessità degli abitanti, etc. La crisi sembra essere l’occasione per scavalcare diritti dei cittadini, difesa del territorio e dei beni comuni. Una manna dal cielo per i grandi imprenditori.
Contaminazione delle falde acquifere, bonifiche e rischi per la salute.
Questa attitudine sembra essere confermata dal terribile articolo 243 del Testo Unico Ambientale (decreto legislativo n.152/2006) relativo alle gestione delle acque sotterranee emunte. La redazione del nuovo articolo – che accorpa ed implementa il precedente – racchiude in se la logica puramente emergenziale della gestione del danno ambientale e la subordinazione del diritto alla salute alla sostenibilità economica.
Secondo il testo “Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalita’ generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti dalla parte terza”.
Qui risultano chiari alcuni elementi molto pericolosi. Prima di tutto, l’introduzione della contabilizzazione del costo degli interventi come fattore primario di valutazione di fattibilità delle bonifiche delle falde acquifere contaminate. Il criterio è quello della sostenibilità economica dell’intervento, che subordina la salvaguardia dello status di salute dei cittadini all’equilibrio economico. In tempo di crisi, si sa, tutto è concesso per “salvare” il paese. Ma quale parte di esso? Non lo stato di salute dei cittadini.
Nel procedimento di modifica a cui il Testo Unico Ambientale è sottoposto da anni, questo è il secondo passo verso l’introduzione dei principi di sostenibilità economica come cardine della disciplina di riparazione e bonifica ambientale. Già nel 2008, l’art.242 dello stesso stesso era stato modificato e al testo, i “costi sostenibili” erano stati introdotti tra i “criteri per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza operativa o permanente, nonche’ per l’individuazione delle migliori tecniche di intervento a costi sostenibili”. E il diritto alla salute? L’analisi del rischio ambientale? Nel testo Unico questi elementi compaiono, ma con la frase introdotta al comma 1 del nuovo testo, sembrano rendersi vani.
Con la modifica dell’art.243, viene cambiato lo scopo stesso degli interventi di bonifica da “rimozione delle fonti inquinanti” a “attenuamento della diffusione della contaminazione”, facendo irrompere sulla scena il carattere emergenziale dell’intervento.
La dicitura “attenuamento del rischio” è infatti caratteristica di una prima messa in sicurezza dei siti contaminati, secondo il Testo Unico, a cui devono però succedere la messa in sicurezza operativa ed un eventuale messa in sicurezza permanente, di cui al nuovo articolo non vi è traccia.
Nessuna prevenzione, nessun obbligo e nessuna coerenza con la definizione di “danno ambientale” inclusa nell’art.300 che definisce lo definisce come “qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale provocata (…) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente. E qui arriviamo al punto chiave del decreto beffa, dal punto di vista dei diritti dell’individuo: il rischio di compromesso dello stato di salute delle persone dovuto alla contaminazione di un territorio o delle falde acquifere.
Il trattamento di bonifica diventa quasi opzionale, solo quando non è possibile fare altro. Ma se il “rischio sanitario” resta “accettabile” le vie da percorrere meglio che siano altre, e preferibilmente sostenibili economicamente. Quando il grado degli effetti nocivi sulla salute umana si a “accettabile” resta ancora un gran mistero. Quando una malattia può essere accettabile? Non si parla più di eliminare le cause di contaminazione come obiettivo primario, ma far rientrare l’onda entro un certo limite di “diffusione” della contaminazione.
A livello giuridico, questa parte del decreto sembra cozzare con una più ampia normativa, tanto europea quanto internazionale. A seguito della dichiarazione di Rio del 1992, con il Trattato di Maastricht l’Unione Europea recepì il principio di precauzione come caposaldo della giurisprudenza in materia ambientale, ad oggi integrato nel Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea del 2009. Elencato tra gli obiettivi e i principi della politica ambientale dell’Unione, il principio di precauzione può essere invocato anche qualora il rischio non sia determinato con certezza scientifica, ma siano presenti effetti anche solo potenzialmente pericolosi per la salute e l’ambiente. Ma non solo. Volendo proprio fare le pulci, è difficile capire come la nuova normativa possano restare in equilibrio con più ampi principi di difesa dei diritti umani, quali l’art.25 delle Dichiarazione Universale secondo cui “ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia” con particolare riguardo all’alimentazione, all’abitazione e alle cure mediche.
A livello nazionale, lo stesso Testo Unico Ambientale recepisce tale principio, obbligando gli enti pubblici e privati, nonché le persone fisiche, ad agire in virtù della precauzione e ad impegnarsi alla correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente, nonché al principio di “chi inquina paga”. Dulcis in fundo, il nuovo scintillante art.243 sembrerebbe non rispettare la stessa Costituzione Italiana che all’art.2–32 diritto ambiente salubre, connubio tra ambiente e salute, che include la protezione delle condizioni indispensabili “o anche solo propizie” alla salute dell’uomo. Se la crisi ci impone tagli e riforme, non è della tutela di un diritto fondamentale quale quella della salute che possiamo fare a meno.
Addio bonifica. Benvenuta grande impresa.
Ultimo, ma non per importanza, aspetto della modifica di questo piccolo ma potente articolo, l’opzionalità della bonifica avrà delle forti conseguenze sulla responsabilità delle più grandi imprese del paese. Basti pensare a territori come Marghera, Porto Torres, Taranto, solo per fare alcuni nomi, da anni in attesa di bonifiche e risanamenti che le grandi imprese potrebbero ora non essere più costrette a mettere in atto. La speranza di un risanamento ambientale potrebbe svanire, così come l’attribuzione della responsabilità penale delle imprese contaminanti.
Di tutto ciò è necessario parlare e capire che cosa possa nascondersi dietro alcuni piccola comma che, a ben guardare, hanno il potere di sconvolgere il nostro sistema di diritti.
Il primo passo di questo governo spaventa, fa riflettere sul potere dell’economia e delle grandi imprese nel nostro paese e di come questa lunga ed estenuante crisi economica possa diventare lo strumento per far entrare nelle nostre normativi i dogmi del neoliberismo.
Matilde Cristofoli / A Sud