Un confronto caldo, competente e partecipato, allo stesso tempo.
Sin dall’introduzione, ad opera di Clara Degni del Servizio Cooperazione Decentrata, Legalità e Pace del Comune di Napoli, si è capito che l’iniziativa di presentazione del volume “Corpi Civili di Pace in Azione” e del reportage “Essere Kosovaro”, tenuta al CEICC (Europe Direct) di Napoli lo scorso 24 Luglio, sarebbe stata particolare e innovativa: a metà strada tra l’illustrazione di un progetto di ricerca-azione (il primo progetto di una amministrazione comunale finalizzato alla costruzione di Corpi Civili di Pace in area di conflitto) e il confronto sull’attualità dello scenario balcanico, in particolare kosovaro, sullo sfondo delle grandi trasformazioni che sta attraversando la regione e, insieme con lei, l’intera Europa.
Una “rappresentazione” costantemente in bilico tra i temi della cittadinanza attiva e dell’intervento civile per la prevenzione della violenza e la trasformazione dei conflitti, e quelli dell’impegno della società civile e degli attori istituzionali, in primo luogo l’Unione Europea, per la soluzione negoziata delle crisi e per la “pace positiva”.
Su questa falsariga, Luciano Griffo, in rappresentanza del Centro Europeo Informazione, Cultura e Cittadinanza, Punto Europe Direct di Napoli, ha posto l’accento sul ruolo dell’Unione Europea, sia attraverso il processo di allargamento sia mediante i programmi di mobilità transnazionale (soprattutto, ma non solo, giovanile, dal “Leonardo” al “Comenius”, passando per l’“Erasmus”), ricordando l’esigenza di innovare e diffondere pratiche di cittadinanza attiva europea, e il compito del CEICC nel promuovere informazione e conoscenza sul mondo dell’Europa e, in particolare, dell’Unione Europea.
Un punto di partenza utile alla discussione, introdotta proprio dall’intenzione di «discutere in maniera leggera di contenuti niente affatto “leggeri”» e dall’annotazione, quasi in premessa di metodo, di sapere distinguere tra l’Europa, nata e morta a Sarajevo, per riprendere l’adagio famoso di Alex Langer, uno dei principali ispiratori del movimento europeo per i Corpi Civili di Pace, e che si appresta tra un anno a celebrare il centenario della Prima Guerra Mondiale e uno degli anniversari del “lungo ventennale” della Guerra di Bosnia (1992-1995), e l’Unione Europea, la cui crisi economica e politica ne accentua ancora di più la contraddizione dell’essere, al tempo stesso, primo sostenitore umanitario al mondo (quasi 700 milioni di euro nel bilancio 2013, con cinque destinazioni prioritarie, Mali, Sudan, Rep. Dem. del Congo, Pakistan e Somalia), e artefice, attraverso gli interessi nazionali dei Paesi Membri, di vere e proprie azioni di guerra (dalla partecipazione euro-atlantica alla aggressione della Serbia alla recente iniziativa franco-britannica in Libia).
Per questo è così esigente e necessaria l’azione dei civili che, autonomamente dai governi, si impegnano, forti dell’ispirazione nonviolenza, a intervenire “sui” e “nei” conflitti, a sostegno delle vittime e a supporto degli sforzi della società civile locale per il superamento dei conflitti armati e la ricostruzione di nuovi presupposti di dialogo, fiducia, ricomposizione e, in definitiva, pace. Il volume di Gianmarco Pisa dedicato ai “Corpi Civili di Pace in Azione” (Ad Est dell’Equatore, 2013) vuole essere, proprio alla luce di questi presupposti, il “racconto” in forma di “saggio” di una azione concreta di promozione della pace e di costruzione dei Corpi Civili di Pace (specie in Kosovo) e di una indagine volta a ri-costruire terreni condivisi di sperimentazione del dialogo e per il reciproco riconoscimento tra le parti stesse del conflitto.
Paradigma e laboratorio, al tempo stesso, del conflitto etno-politico del nostro tempo, esploso in una guerra portata dai bombardieri della NATO (oltre trentamila i raid della NATO contro la Jugoslavia in 78 giorni di guerra nella primavera del 1999) con l’attivo supporto del Governo Italiano (la maggior parte dei raid partivano dalla base di Aviano) fuori qualsivoglia mandato delle Nazioni Unite, il Kosovo è tuttavia terra di storica co-abitazione di popoli e nazionalità e luogo di memorie e narrazioni, nonché di uno dei più ampi e coinvolgenti movimenti nonviolenti di riconciliazione, quello animato da Ibrahim Rugova ed Anton Cetta, che ha portato a riconciliare, superando le reciproche vendette giurate, oltre 1200 famiglie kosovare nel corso degli Anni Novanta.
Ricostruire “una storia” attraverso “le storie” diviene, quindi, importante ed il reportage di Lorenzo Giroffi, “Essere Kosovaro” (First Line Press, 2012) ne è una vivida testimonianza, da un capo all’altro del ponte della città divisa di Mitrovica e a cavallo tra le comunità che rendono viva ed unica la realtà kosovara (non solo Albanesi e Serbi, ma anche Rom, Ashkalij, Egizi, Bosniaci, Turchi e Gorani). Un “ponte di dialoghi” e di nuovi “dialoghi di pace” che meritano la nostra attenzione, in uno scenario che, dopo gli accordi serbo-kosovari del 19 Aprile e il nuovo percorso di adesione europea, dopo la Croazia, della Serbia, torna più attuale che mai.