La crisi e la congiuntura economiche attuali fanno passare in secondo piano le rivendicazioni di benessere in ambito lavorativo per le gravi condizioni di precarietà.
Quando si supererà questa situazione di stallo permarrà comunque negli individui la stagnazione di questi diritti, valori e rivendicazioni e occorrerà riconsiderarli nuovamente.
Gli ambienti lavorativi, come le fabbriche, le scuole e tutte le organizzazioni operative, in seguito alla congiuntura negativa che investe ogni ambito sociocomunitario, oltre che l’economia mondiale, si tramutano in contesti di forti tensioni, contraddizioni e frustrazioni, dove il soggetto non viene valorizzato e abituato a migliorarsi a perfezionarsi, ripensandosi e riconsiderandosi quale indispensabile elemento per una complessiva e globale progettualità creativa, al fine di realizzare spinte innovative e propulsive all’interno delle dinamiche produttive.
Attualmente i contesti aziendali e professionali, i ritmi di lavoro, i rapporti interpersonali, minati dalla competizione, dall’arrivismo, esacerbati dalla lotta per la sopravvivenza, l’ insoddisfazione, il fenomeno del mobbing, favoriscono automaticamente negli individui patologie di forte stress e tensione come nevrosi psicosi e altri disagi psichici e i livelli di disagio, di sofferenza, di malessere e stanchezza possono essere analizzati e risolti con pratiche e approcci di narrazione personale, tramite l’intervento autobiografico del racconto di sé e l’analisi delle esperienze e di vissuti esistenziali.
Dunque si trova spazio nel mondo del lavoro per la parola benessere?
E’ possibile che la nostra identità professionale contribuisca alla crescita della nostra identità personale e alla conseguente innovazione e valorizzazione della personale e collettiva progettualità, di quello che realizziamo e produciamo?
In anni contrassegnati dalla precarietà contrattuale e dall’impossibilità di realizzare progetti di vita talvolta elementari, porsi simili domande potrebbe apparire un’azione contraddittoria e controcorrente.
Partendo dalla consapevolezza che ancora oggi il lavoro è vissuto come fonte di sofferenza e di mortificazione del proprio io, per le condizioni di precarietà dello stesso, occorre ricercare e trovare strategie per non rinunciare a scoprire la propria soggettività, anche attraverso le difficoltà professionali, nel lavoro che dovrebbe diventare occasione di benessere e cura del profondo, come percorso di autosviluppo e prova da cui apprendere.
È possibile imparare l’arte di essere felici lavorando?
I contesti aziendali e professionali attuali, le continue innovazioni tecnologiche, i conseguenti cambiamenti delle mansioni del soggetto, i rapporti interpersonali difficili minati dall’istinto di competizione e prevaricazione per la sopravvivenza che spinge tutti contro tutti per rendersi sempre più concorrenziali sul mercato del lavoro, le nuove forme di organizzazione, la precarietà, la flessibilità e la necessità di un continuo adattamento all’estrema mutevolezza e instabilità del mondo del lavoro destabilizzano equilibri che credevamo acquisiti e favoriscono sempre più frequentemente l’insorgere, negli individui, di disagio, insofferenza e sofferenza, malessere e insoddisfazione e preoccupanti patologie psichiche.
Il soggetto si ritrova così all’interno del proprio mondo introspettivo che diviene il luogo privilegiato di costruzione dell’identità professionale.
Risulta possibile superare l’isolamento, la solitudine, la tensione, il dolore e sviluppare armonicamente l’io professionale anche tramite approcci consulenziali basati sul metodo di narrazione delle storie di vita, di analisi e autoanalisi dei vissuti esperienziali, verso una cultura del benessere negli ambiti lavorativi, ponendo particolare attenzione alla costruzione dell’identità professionale e delle conseguenti pratiche psicopedagogiche consulenziali di cura e assistenza.
La dimensione individuale e l’identità personale, subiscono spesso traumi e frustrazioni in ambito lavorativo, dovuti a cause, situazioni e circostanze che si evolvono e sviluppano per problemi generati da eventi e contesti presenti nel proprio impiego.
Il soggetto sviluppa capacità di adattamento e competenze di flessibilità in ambito lavorativo, dove non esiste un luogo effettivo per ripensarsi, nell’impossibilità di pensarsi e riflettere sui propri percorsi perché privi di riconoscimenti e di identità.
Occorre invece un’attenzione alla soggettività per lo sviluppo del benessere nella cura di sé e dell’altro.
Attualmente l’individuo è chiamato a gestire un iter ipercomplesso di lavori pluralistici con ripercussioni sul proprio impiego e sull’identità personale.
L’io, in ambito lavorativo, vive l’incertezza, l’erranza, il paradosso, il mutamento.
Freud in un breve saggio del 1919 “Il perturbante” individua processi di rimozione, dove il lavoro risulta un luogo senza fissa dimora in cui l’identità personale non riesce a riconoscersi.
La metablessi del lavoro consiste nel continuo mutamento di circostanze a cui l’individuo è sottoposto nel disagio post moderno dell’io che, secondo Luhmann, consta in una perdita di orizzonte di senso.
La stress economy provoca dimensioni e situazioni di emergenza e spaesamento che si basano sulla pedagogia della mortificazione dell’educazione al sacrificio dell’individuo.
Sembra proprio che nelle professioni sia necessario apprendere dal dolore oltre il sacrificio e la sofferenza, dove l’esperienza del dolore si qualifica come esperienza pedagogica e formativa, attraverso molteplici diverse narrazioni dell’esperienza traumatica.
La resilienza è la capacità, la forza di chi riesce a superare le avversità, le frustrazioni, i duri colpi inferti dalla vita lavorativa.
Le caratteristiche della resilienza sono il guardarsi dentro tramite l’introspezione, in un coinvolgente distacco nell’interazione con gli altri per l’amore di sé.
Gli strumenti dello sviluppo della resilienza consistono nelle reti di supporto sociale che attribuiscono la capacità di dare senso alla vita con autostima, nella consapevolezza dell’autoinganno, che conduce all’autoironia per sviluppare la cultura del benessere nelle organizzazioni.
La pedagogia eudaimonica consiste nell’arte di educare al benessere in ambito lavorativo, in cui occorre comprensione nell’avvicinarsi agli stati d’animo, ai sentimenti, all’emotività degli operai, degli impiegati, dei tecnici, dei docenti per riuscire ad orientare, a istruire, a formare i lavoratori, uomini e donne, nella postmodernità, attraverso principi di eudaimonia politica di attenzione agli stati d’animo, alle predisposizioni emotive per elaborare e incrementare atteggiamenti e situazioni di benessere in ambito lavorativo.
La modernità e la postmodernità incontrano varie tipologie e categorie di narrazioni che presentano l’esigenza di un fervore interpretativo, riflessivo, in un’analisi ragionata sui propri fondamenti, sulle attività e gli obiettivi all’interno dell’organizzazione operativa, in formazione e in fase di comunicazione e di sviluppo, dove subentra inevitabilmente, a causa delle circostanze avverse, l’aumento del dolore intrapsichico, autobiografico che tocca la nostra riflessività, l’io, l’individualità, in rapporto all’organizzazione, alla propria identità e all’apprendimento interpsichico ed intrapsichico.
La valutazione dell’apprendimento in contesti lavorativi consiste in una produttività educativa di positivismo sperimentale, pragmatismo e complessità dei processi educativi con l’influenza di un approccio fondato sul costruttivismo.
L’apprendimento sistemico e contestuale caratterizza tutto il corso di una vita umana ed è un evento epistemologico e narrativo.
La pedagogia trasformazionale di Merizow consiste in una riflessione inerente il processo di elaborazione di schemi di significato.
Il principio di prestazione e di efficienza è incarnato dal potere imperante in un management patologico e straordinario che presenta il paradosso colossale tra principio di piacere e principio di prestazione e di efficentismo estremo.
Il lavoro dovrebbe costituire un’occasione di realizzazione autobiografica in base a valori e principi di eticità e molteplicità, dove la valutazione non può prescindere dalla progettualità, dall’etica, dall’incontro con il molteplice e con la complessità.
L’eterovalutazione comprende una questione relazionale che include il rapporto interpersonale fra l’io valutato e l’io valutatore.
La valutazione eterorelazionale avviene in comunità di apprendimento tramite un principio epistemologico di tipo ermeneutico e riflessivo.
La valutazione riconoscente è un racconto che non volgiamo a noi stessi e con cui noi stessi in seguito raccontiamo di altri agli altri.
Nelle organizzazioni lavorative e operative si vive costantemente in apprendimento.
Kolb individua diverse tipologie di apprendimento, nell’area delle conoscenze, dei comportamenti, degli atteggiamenti e dei valori, in cui l’apprendimento risulta un processo dinamico di realizzazione del sé, nel movimento circolare dell’esperienza.
Secondo Merizow, l’apprendimento adulto è una pratica trasformazionale, influenzata da Freire e dal pensiero costruttivista, per cui l’apprendimento riflette schemi e modelli di significazione della realtà.
Le comunità discorsive sono basate su modalità dialogiche e dialettiche umane con cui è possibile familiarizzare in una dimensione costruttivista, narrativa e affettiva del vivere organizzativo.
La funzione pedagogica della narrazione di storie di vita nell’ambito delle organizzazioni consente di liberare il proprio potenziale creativo e la sensazione di angoscia esistenziale.
La personale individualità, narrando se stessa, sotto il dominio della pratica, della prestazione creativa, si confronta con la trasformazione di sé.
Infatti quando apprendiamo oltrepassiamo dei limiti.
Per esempio nel Don Giovanni di Kierkegaard il lato demoniaco nell’apprendimento si dimostra come una dimensione di piacere che culmina nell’espansione della sensibilità dell’io.
Il Lifelong learning consiste nell’apprendimento continuo, lungo tutto l’arco dell’esistenza.
In passato, le organizzazioni operative lavorative promettevano sicurezza, stabilità e ricerca di identità.
Attualmente vivere in dinamiche apprenditive nell’ambito dei contesti organizzativi, significa mettersi in discussione quotidianamente.
Le organizzazioni sono comunità discorsive in cui risulta necessario imparare da soli, con gli altri, secondo un nuovo sistema di riconoscimento delle donne e degli uomini che vivono la dimensione organizzativa, quale dinamica del soggettuale, in una complessità che si compie nel definitivo completarsi della condizione post moderna, tra la ricerca di sicurezza e la perdita di identità.
Il ciclo della vita diviene stocastico e probabilistico con la possibilità di vivere più organizzazioni e apicalità esistenziali.
Il modello di apprendimento di Knowless è basato sulla responsabilità del discente in cui la dinamica apprenditiva coinvolge l’esperienza passata e futura dei processi esperienziali dell’individuo.
L’apprendimento si compie tramite un processo autobiografico, dove l’introspezione soggettiva diviene apertura relazionale e rivalutazione del dialogo e dell’ascolto secondo una comprensione eterobiografica, attraverso l’amore per se stessi, con gli altri, quale valore di percorsi di riflessività con la finalità di portare le organizzazioni a divenire più attente e sensibili all’enigma del soggetto, dell’individualità che presenta una propria progettualità creativa.