Non erano ancora sanzionati direttamente dagli Usa quando hanno incontrato a Damasco la delegazione internazionale in sostegno al movimento siriano Mussalaha (Riconciliazione). Parliamo della tivù siriana Al Dunya, del ministro della Sanità Saad Nayef e del ministro della giustizia Najim Ahmad. E’ ora proibito ai cittadini statunitensi di intrattenere rapporti economici con questi “cattivi soggetti” siriani. E’ improbabile che di rapporti in corso ce ne siano e quindi in sé il provvedimento è più politico che economico.

Ma, ad esempio, la tivù Al Dunya (privata, anti-opposizione e impegnata a contrastare Al Jazeera e al-Arabiyacon programmi tipo “sveliamo le menzogne mediatiche sulla Siria”) è stata oscurata in occidente e non può essere vista via satellite. Il che viola il diritto alla libera espressione del pensiero.

Ben altre illegalità, comunque, commette in Siria la “comunità internazionale”, o meglio il poligono (di tiro) dei buoni; senza ricevere la minima punizione.

Ce ne hanno parlato esponenti governativi e dell’opposizione patriottica, operatori umanitari locali e – a loro  modo – le vittime.

Per chi suona la campana. Le sanzioni che peggiorano le distruzioni

L’emergenza è totale. Umanitaria, occupazionale,economica. E’ un miracolo che la macchina della nazione vada avanti e che le persone che vediamo nelle strade continuino a lavorare, camminare, andare a scuola e giocare, nel caso dei bambini. Le sanzioni economiche europee contro la Siria prevedono, fra l’altro, un embargo petrolifero (fanno eccezione, da fine aprile, le regioni controllate dai “ribelli”, che possono esportare gli idrocarburi, concentrati proprio in quell’area – come i pozzi petroliferi nella Cirenaica libica, guarda caso).

Le sanzioni Usa, UE e dei paesi del Golfo colpiscono tutta l’economia siriana, aggiungendo danni a quelli della guerra. Il Pil è sceso di quasi il 30% secondo l’Economic and Social Commission for Western Asia-Escwa delle Nazioni Unite.  E per via delle restrizioni imposte alle banche siriane e alle agenzie commerciali, le istituzioni internazionali sono restie a finanziare l’importazione di derrate e questo mentre gli scontri e le difficoltà limitano la possibilità di coltivare. La produzione di cereali essenziali si è dimezzata e il paese ha perso la sicurezza alimentare, già intaccata da anni di durissima siccità.

Piove sul bagnato, anzi il contrario. Perché le sanzioni colpiscono mentre c’è più bisogno di assistenza pubblica per via degli sfollati e delle vittime del conflitto e mentre tante infrastrutture civili sono danneggiate o distrutte.

Si pensi a quelle sanitarie. Per il Ministro della Sanità “A causa delle sanzioni non riusciamo più ad avere pezzi di ricambio. Hanno come obiettivo il cambiamento di regime. Ma colpiscono la popolazione”. Secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, comunque, l’infrastruttura sanitaria ben sviluppata e lo stoccaggio di medicine accumulate prima della crisi permettono di far ancora fronte alla situazione.

Il ministro ha detto alla delegazione che 87 addetti del ministero (autisti, medici, infermieri,impiegati) sono stati uccisi, 98 feriti e 22 rapiti; che decine di ospedali e centri medici sono stati danneggiati dalla guerra (la Siria ha 124 strutture ospedaliere, 92 delle quali pubbliche, e 1.900 unità mediche sparse fra città e villaggi), che 170 ambulanze sono state distrutte. Almeno dieci fabbriche di medicinali (che la Siria esportava in 50 paesi) sono state saccheggiate. Il ministro accusa i “terroristi” (l’opposizione armata) di attaccare con premeditazione strutture e addetti.  Ci mostra un video con edifici danneggiati commentandolo: “Ospedale Al Salamiya ad Hama: danneggiato da un’autobomba. Ospedale franco-siriano a Damasco: colpito da un’autobomba. Due giorni fa l’ospedale Zahrawi è stato occupato da terroristi mentre una donna era sotto anestesia e un’altra stava partorendo. Hanno dovuto portarle via d’urgenza”. E “siamo impegnati a offrire il servizio medico a tutti senza distinzioni. Ci sono dei posti sotto assedio con donne e bambini. Facciamo del nostro meglio per cercare di consegnare gli aiuti.  Dove non possiamo, arriva la Red Crescent e alcune organizzazioni non governative”.

Domanda: ministro, lei sa che l’opposizione e anche Ong umanitarie internazionali (come Human Rights Watch) accusano il governo di fare il tirassegno aereo contro ospedali e ambulanze? “E’ un’accusa incredibile. Come potremmo distruggere delle proprietà pubbliche e a che ci servirebbe? Al contrario, cerchiamo di raggiungere tutti con gli aiuti”.  Il solito Pirandello siriano, una verità di segno opposto a seconda dell’interlocutore. Ma più tardi, un operatore locale che vuole restare anonimo ci spiegherà: “Quando un centro medico cade nelle mani dell’opposizione che ne fa una base militare, il governo si assicura che i civili siano evacuati e poi colpisce”.  E’ poi probabile che gli ospedali da campo dei ribelli siano colpiti, anche perché indistinguibili in quanto tali.

Molte industrie non possono funzionare per mancanza di pezzi di ricambio, o perché danneggiate negli scontri, spiega Marwa Eitouni, della Camera di Commercio di Damasco, che annuncia un ricorso internazionale per danni. Sembra che la principale industria della carta del Medio Oriente, a Der Ezzor, joint-venture pubblico-privata, sia stata distrutta.  Marwa partecipa alla Mussalaha, ha convinto decine di “ribelli” della sua area a deporre le armi. Un’operazione impossibile, però, con i circa 50.000 mercenari jihadisti d’importazione. E a proposito…

Invio di armi, passaggio di jihadisti ed embarghi

Lo ha detto perfino il Ministro degli Esteri austriaco, scrivendo ai paesi europei (alcuni dei quali spingono per rimuovere quella parte dell’embargo che impedisce di inviare armi all’opposizione): armare gli anti-governativi sarebbe «una violazione del diritto internazionale e delle leggi di base dell’Unione Europea“, nonché dei «principi della Carta delle Nazioni unite riguardanti il non intervento e l’uso della forza». Per non dire della violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza riguardanti al Qaeda, visto che il Fronte al Nusra, che ne è alleato, agisce fra i “ribelli”.

Il Ministro della Giustizia siriano ci ha detto la stessa cosa: “Paesi che dovrebbero seguire le regole dell’Onu e dunque perseguire pace e diritti umani sostengono i terroristi che ci invadono”. E poi, mostrando uno dei tanti video con casi di esecuzioni: “Vogliono instaurare un sistema islamico”. Il Nicaragua, dopo essere stato attaccato per anni dai terroristi della contra, foraggiati dagli Usa, nel 1986 vinse la causa per danni contro il colosso, ricorrendo alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja (quella che giudica gli stati; la Corte penale internazionale – nata ben dopo – giudica invece le persone, per crimini).

Il ministro annuncia in effetti ricorsi internazionali da parte di giuristi siriani: “Contro l’illegalità del sostegno ai terroristi i nostri giuristi stanno preparando dossier per la Corte penale internazionale, per la Corte di giustizia dell’Aja e per tribunali nazionali ed europei”.

Per assurdo, perfino organizzazioni come Amnesty International e  Human Rights Watch non chiedono ai paesi Nato e petromonarchici di non mandare armi all’opposizione, mentre chiedono un embargo alle armi all’esercito ufficiale.  Anche se inviare armi a un governo è legale, come ha sottolineato il Ministro degli Esteri russo Lavrov. Del resto, un esercito ha un compito di difesa nazionale, nel caso della Siria da combattenti stranieri e da Israele. Senza più armi, come potrebbe fare?

Durante l’incontro con la delegazione di Mussalaha, il Ministro della Giustizia ha parlato anche delle 5 amnistie promulgate a carico di prigionieri politici o anche oppositori armati che non abbiano commesso fatti di sangue (?). L’ esponente di un partito di opposizione (Third Current) ha chiesto al ministro notizie di prigionieri che “sostengono lo stato e l’esercito, sono patrioti”, eppure non si sa che fine abbiano fatto. Il ministro risponde in generale: la Croce rossa internazionale visita regolarmente le carceri. E poi, un annuncio epico se sarà rispettato nei fatti: “Alla fine della crisi, chiederò l’abolizione della pena di morte, che del resto durante questo periodo non è stata applicata finora da nessun giudice”.

Emergenza sfollati e assediati

Wasim Fares, funzionario della Mezzaluna rossa siriana (Red Crescent), sostiene che con le donazioni – soprattutto dal Comitato internazionale della Croce Rossa – l’organizzazione riesce a coprire solo il 30% del fabbisogno nell’emergenza, con i suoi  volontari senza i quali il World Food Programme o l’Alto Commissariato dell’Onu non potrebbero lavorare sul campo.  Ci sono poi gli interventi dei vari ministeri.

Diciotto volontari dell’organizzazione sono morti negli scontri (Wassim dice che nessuna delle parti li ha uccisi volontariamente e che in gran parte è successo per opera dei gruppi armati dell’opposizione). E’ talvolta difficile negoziare con i ribelli l’accesso ad aree da loro controllate. Rimane famoso il caso di Baba Amro, agli inizi dell’anno scorso. Finalmente Red Crescent e Croce Rossa internazionale avevano ottenuto da parte dei gruppi armati dell’opposizione  il via libera all’accesso al quartiere, per distribuire aiuti ai rimasti. Ma subito dopo, un altro gruppo, rivale, aprì il fuoco per impedire al convoglio di avanzare. Naturalmente la storia è stata raccontata in altro modo dai media occidentali: “Il regime proibisce l’arrivo degli aiuti umanitari” o qualcosa del genere. Un caso attuale è quello di due villaggi sciiti circondati da aree sotto il controllo dei “ribelli”, i quali impediscono l’arrivo degli aiuti; nemmeno la Red Crescent può entrare. “Ma è il governo a rifornirli direttamente, con elicotteri”.

In Siria secondo la Ministra degli Affari sociali Kinda  al Shammat  gli sfollati sarebbero quattro milioni. A questo va aggiunta la necessità di continuare con l’assistenza pubblica ai disabili, agli orfani e ad altre persone in difficoltà. Il tutto in una situazione di penuria alimentare: parte dei terreni non può più essere coltivata a causa degli scontri o della mancanza di input  legata alle sanzioni.

Spiega la ministra: gli sfollati interni sono generosamente ospitati da altre famiglie, o in edifici pubblici adattati all’uopo, soprattutto scuole. A proposito: secondo i dati forniti dal Ministro dell’Educazione tempo fa durante una conferenza stampa con organismi dell’Onu, quasi 1.500 scuole sono usate come centri collettivi che ospitano la gran parte degli sfollati. Il 10% delle scuole pubbliche e private sarebbero state parzialmente danneggiate o saccheggiate.

Nelle aree che il ministro chiama “occupate” dai ribelli, il governo non può entrare ad assistere la popolazione rimasta; ci pensano Red Crescent e organismi dell’Onu.

La politica dell’esodo

Gli spostamenti forzati di popolazioni sono un crimine, quando arrivano a essere deportazioni;  lo abbiamo visto nel caso di Tawergha, la città dei libici di pelle nera cacciati dalle bande armate di Misurata, vittoriose grazie agli alleati della Nato. Un altro crimine internazionale che nessuno ha sanzionato.

Ebbene, l’opposizione siriana e diversi governi hanno favorito in tutti i modi l’uscita dalla Siria di moltissime persone che avrebbero potuto spostarsi in luoghi più tranquilli rimanendo nel paese. I numeri ufficiali dell’esodo, gli ultimi pubblicati dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) parlano di 1,5 milioni di persone uscite dai confini siriani (fra di loro anche palestinesi e iracheni accolti dalla Siria nei decenni): 471.677 rifugiati in Giordania; 469.217 in Libano; 347.157 in Turchia; 146.951 in Iraq; 66.922 in Egitto. Queste cifre all’unità vanno forse prese con beneficio di inventario.

E’ netta l’impressione che i donatori occidentali e del Golfo vogliano concentrarsi sui rifugiati all’estero, per una questione politica. Eppure, dicono a bassa voce diversi addetti chiedendo di non essere citati, se le persone rimanessero in Siria potrebbero essere trattate molto meglio. Nel nostro piccolissimo confermiamo, avendo visto i campi dei rifugiati in Libano e il palazzo degli sfollati dell’opposizione a Homs. Sono di pubblico dominio le denunce di casi di stupri e violenze – e c’è chi dice traffico di organi, ma non ci sono conferme – successi nei campi in Turchia. Ma gli appelli a favorire il ritorno in Siria cadono nel vuoto. Conviene usare le sofferenze dei rifugiati, esibirle come prova dei “crimini di Assad”.

Ma è la guerra il crimine. E chi l’ha fomentata?

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