“Quando potremo tornare?”
Questa domanda dolorosa, pronunciata da rifugiati di ogni tempo, è stato di nuovo posta, questa volta al premio Nobel per la pace Mairead Maguire presso il centro di smistamento dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati a Zahleh, in Libano, città che si affaccia sull’ampia valle della Beqaa, ora punteggiata di accampamenti di rifugiati a perdita d’occhio. La delegazione del movimento Mussalaha sta spendendo più tempo di quanto previsto nel Libano a causa dei ritardi nel rilascio dei visti per la Siria. Tuttavia, se quello che vogliamo è vedere gli effetti della guerra, il Libano ha molto da mostrare. Ci sono un milione di profughi siriani in Libano, la cui popolazione è di soli 4,3 milioni. Molti appartengono a minoranze siriane, attirate in Libano dalla presenza di grandi comunità cristiane e sciite.
La maggioranza dei campi non riesce a soddisfare le norme minime di igiene e abitabilità. L’Alto Commissario ONU per i rifugiati (UNHCR) sostiene di non riuscire a tenere il passo con il gran numero di arrivi, ma ci sono buoni motivi per pensare che stia tergiversando per fare pressione sui donatori al fine di ottenere ulteriori fondi e forniture. A sua volta, il governo libanese non vuole incoraggiare un maggiore afflusso ed è quindi lento nell’accogliere gli arrivi. Hanno entrambi le loro ragioni, ma i profughi diventano pedine in questi giochi burocratici e di potenza, che non fanno altro che aumentare la loro sofferenza.
Qui, in questo centro che domina la valle, c’è un arretrato di lavoro di oltre quattro mesi. Un uomo mi ha detto che lui e la sua famiglia, tra cui un neonato, hanno vissuto per più di due mesi nello spazio ricavato tra due auto, con due sedie e, come tetto, qualunque telo riuscissero a trovare. Altri vivevano in venti in un magazzino, dove di notte la maggior parte dello spazio veniva occupato da materassi. Molti,, abbandonati a loro stessi, devono negoziare le loro sistemazioni, arrangiandosi ovunque possibile con qualunque risorsa si trovino ad avere.
La maggior parte degli uomini e alcune donne non vogliono essere fotografati, ma ai bambini non dispiace. Diversi abitanti di Qusayr, città sul confine libanese, hanno raccontato che quando le dimostrazioni hanno avuto inizio, due anni fa, erano non-violente e i funzionari locali provvedevano persino a tenere sgombre le strade per il loro passaggio. Tuttavia, man mano che sono diventate più violente, il governo centrale non è riuscito ad agire e la città alla fine è stato invasa da elementi locali armati e da combattenti stranieri provenienti dalla Cecenia, dall’Azerbaigian e da altri paesi. Solo dopo che la popolazione ha cominciato a fuggire le truppe siriane hanno infine preso a sedare la rivolta, cosa che a quanto pare non è ancora stata compiuta completamente.
Non ho alcun modo di valutare l’accuratezza di queste storie, né posso generalizzare, ma almeno la mia modesta abilità nella lingua araba mi permette di intavolare conversazioni con chi voglio, e qui in Libano non ci sono guardiani del governo. Tuttavia, vogliamo incontrare anche chi ha una storia molto diversa da raccontare, e madre Agnès-Maryam ha previsto questa possibilità nel nostro programma, inserendo anche Jabhat al-Nusrah, l’affiliato di al Qaeda, con il quale nessuno di noi si aspettava di riuscire a parlare.
Devo ammettere che il movimento Mussalaha si è rivelato superiore alle nostre aspettative, e che questo è in gran parte dovuto alla leadership di Madre Agnès, una suora più dura di quanto si potrebbe mai pensare di incontrare, coraggiosa, instancabile e inarrestabile. La pazienza non è il suo forte, ma la compassione certamente sì, indipendentemente dall’identità della persona nel bisogno. Per questo motivo, il Mussalaha si è guadagnato il rispetto, talvolta concesso a malincuore, di una gamma molto ampia di comunità dentro e fuori la Siria. Anche se il Mussalaha ha un forte orientamento cristiano, il suo presidente, il Dr. Hassan Yaacoub, è un politico sciita appartenente al partito, in maggioranza cristiano, del generale Michel Aoun, alleato con il partito di Hezbollah. Immagino sia perdonabile se state pensando che tutto questo non concorda affatto con le idee che vi eravate fatte finora.
Abbiamo anche avuto numerosi incontri con i capi delle varie comunità religiose in Libano, tra cui le più importanti confessioni cristiane, come pure i leader spirituali sciiti e drusi. Essendo ognuno di loro in contatto con i membri siriani della propria fede, avevano tutti molto da raccontarci. Il loro messaggio: in primo luogo smettere di combattere, poi sedersi insieme, promuovere il proprio programma con mezzi pacifici ed essere pronti al compromesso. Purtroppo, il gran mufti della Comunità sunnita in Libano ha dovuto far marcia indietro sul pianificato incontro con noi. Abbiamo ragione di credere che avrebbe potuto trasmettere lo stesso messaggio, ma la sua comunità è divisa su alcune di queste questioni, il che gli rende difficile esprimersi in questo momento.
Se è deplorevole che l’ex membro del Congresso Dennis Kucinich non si sia unito a noi, tuttavia la presenza del premio Nobel per la pace Mairead Maguire – un’altra donna compassionevole e senza paura – oltre a dare forza ispiratrice e risalto al nostro gruppo, ci fornisce anche quella visibilità di cui abbiamo bisogno. Il resto del gruppo presenta un ottimo equilibrio di competenze e di esperienze, e per essere un gruppo così variegato ci troviamo molto bene insieme.
Il prossimo comunicato sarà da Damasco, ma non voglio dire quando, e quello successivo dopo il mio ritorno negli Stati Uniti. La Siria ha bisogno di un miracolo, ma queste persone credono ai miracoli.
Traduzione dall’inglese di Giuseppina Vecchia