Nella foto, l’”Edipo a Colono” messo in scena al teatro greco di Siracusa.
Intervento alla seduta del Consiglio Comunale di Milano del 20 maggio 2013
Faccio fatica ad intervenire sul fatto drammatico e dolorosissimo di cui si sta parlando. Oltre alla vicinanza nei confronti dei parenti, degli amici e di tutti coloro che hanno perso in maniera così tragica i loro cari, oltre alla condivisione profonda del loro lutto posso solo condividere con voi e con loro le mie riflessioni e quanto sto sentendo e pensando in questi giorni.
E’ come se di fronte ad una azione tanto illogica si dovesse ammettere l’incapacità della comprensione umana di fronte a un gesto disumano.
Disumano è vero, ma non estraneo al nostro mondo, alla vita sociale in cui ci è dato di vivere.
Non aiuta a capire ricordare qui che episodi in cui è esplosa una violenza cieca apparentemente senza motivazioni non sono estranei alla nostra società e addirittura alla nostra città.
A questo proposito voglio ricordare un umano e addolorato editoriale dell’Avvenire del 14 maggio, in cui si legge: “E’ riduttivo catalogare la tragedia di Milano come legata al così detto “fattore clandestinità”: abbiamo sotto gli occhi le storie di italiani doc caduti in una distruttività o auto-distruttività totale sotto gli occhi di parenti e amici che non si erano accorti di niente…
Dire che Mada Kabobo è semplicemente un uomo ci sembra più realistico che addebitare a un “altro da noi”, magari con la pelle diversa, il male che ci atterrisce. E’ un “topos” costante della cronaca nera questo istinto di spiegare il male dicendo che non è nostro, che viene da fuori”. Ricordiamo ad esempio la strage di Erba che fu in un primo tempo accreditata ad uno straniero e che quando si seppe essere dovuta a due persone che tutti stimavano, lasciò ammutoliti. Ma innumerevoli sono gli episodi di efferata distruttività che sono avvenuti e succedono spessissimo anche a Milano (ricordo per tutti l’episodio di un giovane di buona famiglia che in zona Fiera uccise la moglie, la vicina di casa e sparò sui passanti prima di suicidarsi).
Bastino questi ricordi per rendere risibili, se non colpevolmente strumentali. quelle esternazioni che collegano l’atroce carneficina alla clandestinità del suo autore.
I Greci antichi, che forse avevano il coraggio di sondare meglio di noi l’animo umano, avevano creato eventi, luoghi e tempi dedicati alla rappresentazione delle vicende umane che non avevano una soluzione “logica”, che restavano enigmatiche e le chiamavano tragedie. A queste rappresentazioni teatrali, gratuite, partecipavano, come ad un evento civile, tutti i cittadini, che in quei momenti collettivi potevano provare ad elaborare l’enigma del vivere umano, del dolore, della pazzia, della morte, della forza oscura che talvolta, improvvisamente e senza alcuna ragione, si impossessano di noi.
Da allora la scienza ha fatto dei grandi passi, ma l’animo umano è ancora teatro di vicende che, in momenti di fragilità individuale o collettiva, si manifestano con violenza e distruttività.
Scoprire – anche attraverso queste tragiche vicende- la vulnerabilità quale elemento comune di tutta l’umanità apre a uno sguardo diverso al mondo e alla società. Se è la vulnerabilità che ci accomuna, come fare di questa scoperta un elemento di civiltà piuttosto che di paura, odio, lontananza?
Se è la paura che, forse, ha fatto sì che dei bravi cittadini di fronte ai primi feriti abbiano avuto l’istintiva reazione di chiudersi in casa, abbassare la claire piuttosto che telefonare e chiamare aiuto, forse ciò significa che si sta sgretolando il legame sociale?
Mi è piaciuta una frase letta tra i commenti di questi giorni: “La sicurezza è come la salute, è strettamente correlata al territorio, ne è da questo conformata, prodotta…. è, in altre parole, un prodotto sociale!”
Questa tragedia ci interpella anche come “politici” responsabili della vita della polis e consapevoli che è necessario promuovere politiche pubbliche di sostegno sociale, di sostegno all’abitabilità, alla qualità delle molteplici relazioni sociali, alle varie forme di socializzazione proprie della città per prevenire o curare, in tutti i modi possibili quelle forme di esclusione sociale, devianza, follia e casualità che spesso sono alla base di atti atroci di distruttività e di morte.
Tutto il dolore di questi giorni per la perdita della vita di Alessandro Carolè, Ermanno Masini e Davide Carella non si cancellerà, non si eviterà con autoblindo in bella vista o col pullulare di telecamere (che, come abbiamo sperimentato, al massimo servono ad individuare, dopo, l’autore del delitto).
I tagli ai finanziamenti per i servizi pubblici che la così detta “crisi” impone sono una azione violenta ed hanno conseguenze micidiali sulla vita di tutte e tutti. Questa amministrazione, che sa tutto di ciò, ha denunciato i tagli fatti dai vari governi alle amministrazioni locali. Proprio per questo dobbiamo, assieme ai cittadini e alle cittadine, opporci alle così dette “leggi del mercato” per porre al centro delle nostre politiche la vita delle donne e degli uomini, dei giovani e degli anziani, delle bambine e dei bambini della nostra città, quella vita fatta di relazioni, mutuo aiuto, vicinanza, cura per l’ambiente e i luoghi della socialità.
Ricostruiamo tra noi, nei nostri quartieri, nei luoghi di lavoro e dello studio, nei luoghi del dolore e in quelli del divertimento quel legame sociale che solo saprà dare senso e dignità al nostro fragile essere al mondo.