Rimane un foglietto sul quale mi aveva scritto nome e email, con una grafia di sbieco. Era il 10 maggio e Yara Abbas, giovane giornalista della tivù siriana Al Ikbhariya, aveva partecipato a Damasco alla conferenza stampa finale della delegazione internazionale in appoggio al movimento siriano Mussalaha (riconciliazione). I giornalisti erano pochi, tutti siriani e poi la venezuelana Telesur, nessun media occidentale o arabo presente a Damasco aveva ritenuto di doversi scomodare per ascoltare Mairead Maguire, irlandese premio Nobel per la pace, che guidava la delegazione della quale facevo parte anche io.
Ma non avrei notato Yara – che non avevo mai visto prima – se non fosse stato per una sua domanda, forse era retorica o forse un po’ provocatoria. Aveva alzato la mano e aveva chiesto: “Arrivano diverse delegazioni internazionali, qui. Ma mi pare che al ritorno nei vostri paesi, a livello di informazione sulla Siria non cambi nulla. Come mai secondo voi?”. Imbarazzante. Come quando i medici di Baghdad, nel lungo affamante embargo fra le due guerre all’Iraq (500mila morti fece quell’embargo), dopo aver mostrato lo stato degli ospedali alle delegazioni in visita osservavano: “Abbiamo incontrato diversi gruppi dall’estero, ma siamo sempre qui, niente è cambiato”.
A Yara non era stata data una vera risposta, adesso non riesco a ricordare perché. Ma le avevo chiesto l’email. Le avevo scritto il giorno dopo, ancora a Damasco, per spiegarle alcuni meccanismi, e per dirle del nostro impegno. Nessuna risposta, e del resto forse era partita appunto per il fronte. Avevo pensato di riscriverle per risponderle meglio.
Ma nessuno potrà più risponderle. Yara Abbas è stata uccisa oggi, 27 maggio 2013, nella provincia di Homs, vicino alla base aerea di Dabaa, dunque vicino a Qusair dove continuano i combattimenti. Si trovava là al seguito dell’esercito siriano. Lei vedeva la guerra da quella parte. Un lavoro pericoloso che faceva da molti mesi. Secondo una nota del ministero dell’informazione, Yara è stata colpita da un cecchino ovviamente dell’opposizione armata. Nel suo ultimo reportage, oggi, mostrando immagini di soldati che avanzano, macerie sparse e ordigni recuperati, Yara dice: “Siamo nel punto vicino all’area fino a poco fa controllata dai mercenari, laggiù c’è il macello di Qusair con il tetto rosso, da lì i terroristi cercavamo di entrare a Qusair ma ora tutto è sotto il controllo dei soldati”.
Nell’agosto 2012 un’altra Yara, Saleh, sempre di Al Ikhbariya, era stata rapita da gruppi armati e poi liberata in uno scambio di prigionieri (ma il cameraman fu ucciso). Nei mesi scorsi, bombe sono esplose vicino alla sede della tivù statale e dell’agenzia Sana. Il 22 dicembre è stato assassinato davanti alla sua casa un giornalista della tivù statale, Haidar al-Sumudi.