In quei primi minuti, saranno scioccati. Gli occhi fissi con uno sguardo pietrificato, le terminazioni nervose insensibili. Staranno fermi lì. Presto, noterete che tengono le braccia stese in fuori con un angolo di 5 gradi. Il vostro sguardo sarà attirato dalle loro mani e penserete che la vostra mente vi stia giocando uno scherzo. Ma non è così. Le loro dita cominceranno a sembrare delle stalattiti che sembrano squagliarsi verso il terreno. E non ci vorrà molto prima che inizino le urla, gli strilli, i gemiti. Diecine di migliaia di vittime contemporaneamente. Staranno lì, in un mare di cemento e vetro ridotti in frantumi, una terra desolata punteggiata dagli scheletri degli edifici, dalle mura rese orfane, ascale che non portano più da nessuna parte.
Questa potrebbe essere Teheran, o quello che ne rimarrebbe, proprio dopo un attacco nucleare israeliano.
Le città iraniane – a causa della geografia, del clima, della costruzione degli edifici, e della densità di popolazione – sono particolarmente vulnerabili agli attacchi nucleari, secondo un nuovo studio, “Nuclear War Between Israel and Iran: Lethality Beyond the Pale” [La guerra nucleare tra Israele e l’Iran: mortalità inaccettabile], pubblicato sulla rivista “Conflict & Health” (Conflitti e salute) da ricercatori dell’Università della Georgia e di quella di Harvard. E’ la prima valutazione scientifica pubblicata circa ciò che potrebbe realmente significare un attacco nucleare in Medio Oriente per la gente che vive in quelle zone.
Gli scenari sono sconcertanti. Lo studio valuta che un attacco israeliano alla capitale Teheran usando armi di 500 chilotonnellate ucciderebbe 7 milioni di persone – l’86% della popolazione – e lascerebbe quasi 800.000 persone ferite. Un attacco con 5 armi di 250 chilotoni ucciderebbe 5,6 milioni di persone e ne ferirebbe 1,6 milioni, in base alle previsioni fatte usando un pacchetto software all’avanguardia programmato per calcolare un gran numero di vittime di un’esplosione nucleare.
Le stime di numeri di vittime civili in altre città iraniane sono ancora più spaventose. Un attacco nucleare alla città di Arak dove c’è un impianto idraulico per il programma nucleare iraniano, ucciderebbe potenzialmente il 93% dei suoi 424.000 residenti. Tre armi nucleari di 100 chilotonnellate che colpiscono il porto di Bandar Abbas, nel Golfo Persico, massacrerebbero il 94% dei suoi 468.000 cittadini, lasciando incolume soltanto l’1% della popolazione. Un attacco con più armi a Kermanshah, un città curda con una popolazione di 752.000 persone, provocherebbe la percentuale quasi insondabile del 99,9% di vittime.
Cham Dallas, il direttore dell’Istituto per la Gestione della salute e della difesa dalla distruzione di massa, all’Università della Georgia, e principale autore dello studio, dice che le previsioni sono le più catastrofiche che abbia visto in più di 30 anni di analisi sulle armi di distruzione di massa e sui loro effetti. “Le percentuali di vittime sono le più alte di qualunque simulazione di bomba nucleare che abbia mai fatto,” mi ha detto ha detto Dallas parlando al telefono dalla zona del disastro nucleare di Fukushima, in Giappone, dove stava facendo delle ricerche. “E’ la perfetta tempesta nucleare per alte percentuali di vittime.”
Israele non ha mai confermato o smentito di possedere armi nucleari, ma è largamente noto che ha diverse centinaia di testate nucleari nel suo arsenale. L’Iran non ha armi nucleari e i suoi leader politici sostengono che il programma nucleare iraniano ha soltanto scopi civili pacifici. Alcuni rapporti pubblicati indicano che le agenzie di spionaggio americane e i servizi segreti israeliani concordano sul fatto che l’Iran ha sospeso il programma di sviluppo delle armi nucleari nel 2003.
Dallas e i suoi colleghi hanno tuttavia eseguito simulazioni di potenziali attacchi nucleari iraniani alle città di Ber Sheva, Haifa, e Tel Aviv usando armi nucleari molto più piccole di 15 chilotoni, simili come forza a quelle buttate dagli Stati Uniti sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki nell’agosto 1945. Le loro analisi indicano che, a Beer Shiva, metà della popolazione di 209.000 persone sarebbe uccisa e un sesto di essa ferita. Haifa avrebbe analoghe proporzioni di vittime, comprese 40.000 vittime di traumi. Un attacco a Tel Aviv con due armi da 15 chilotoni massacrerebbero potenzialmente il 17% della popolazione – quasi 230.000 persone. Circa 150.000 residenti è probabile che sarebbero feriti.
Queste previsioni, come quelle per le città iraniane, sono difficili da valutare perfino per gli esperti. “Ovviamente, previsioni accurate riguardo alle vittime e agli incidenti mortali sono quasi impossibili da ottenere,”dice il Dottor Glen Reeves, consulente da molto tempo per gli effetti medici delle radiazioni, presso l’Agenzia per la riduzione delle minacce del Dipartimento della Difesa, il quale non è stato impegnato nella ricerca. “Penso che le loro stime siano probabilmente alte, ma non estremamente alte.”
Secondo Paul Carroll, della Fondazione Ploughshares, con sede a San Francisco che sostiene il disarmo nucleare, “i risultati sarebbero catastrofici” se le principali città iraniane venissero attaccate con moderne armi nucleari. “Non considero che il 75% delle percentuali [di incidenti fatali] sia fuori questione,” dice Carrol, dopo aver previsto gli effetti a lungo termine della malattia da radiazioni, delle ustioni e delle strutture mediche devastate.
Secondo Dallas e i suoi colleghi, la notevole disparità tra le fatalità stimate in Israele e in Iran, possono essere spiegate in base a molti fattori. Tanto per cominciare, si presume che Israele abbia armi nucleari estremamente potenti e capacità sofisticate di lancio compresi i missili Gerico a lunga gittata, i missili da crociera con base a terra, i missili lanciati dai sottomarini e velivoli avanzati con tecnologie di precisione di individuazione degli obiettivi.
Anche la natura delle città iraniane le rende eccezionalmente vulnerabili ad attacchi nucleari, secondo lo studio della rivista Conflict& Health [Conflitto e Salute]. Teheran, per esempio, è sede del 50% dell’industria iraniana, del 30% dei lavoratori del settore pubblico, e di 50 college e Università. Ne risulta che 12 milioni persone vivono nella capitale o nelle sue vicinanze, la maggior parte di esse raggruppate nel centro città. Come la maggior parte delle città iraniane, Teheran ha scarsa espansione urbana, il che vuol dire che i residenti tendono a vivere e a lavorare in zone che sarebbero soggette alla massima devastazione e che soffrirebbero di alte percentuali di incidenti mortali dovuti a traumi o da ustioni da calore provocate dal lampo di calore delle esplosioni.
La topografia dell’Iran, soprattutto le montagne intorno alle città, ostruirebbero la dispersione del e del calore di un’esplosione nucleare, intensificandone gli effetti. Le condizioni climatiche, specialmente le alte concentrazioni di polvere portata dall’aria, è probabile che aggraverebbero i danni da calore e da radiazioni, e anche le infezioni da ferite.
L’orrore nucleare: allora e adesso
Il primo attacco nucleare contro un centro abitato da popolazione civile, cioè l’attacco statunitense a Hiroshima, ha lasciato quella città “uniformemente e ampiamente devastata”, secondo uno studio effettuato dopo gli attacchi dal gruppo per il l’Indagine degli Stati Uniti per il bombardamento strategico. “Praticamente l’intera porzione della città densamente o moderatamente costruita è stata rasa al suolo dall’esplosione e travolta dal fuoco. ….La sorpresa, il crollo di molti edifici e la conflagrazione hanno contribuito a un numero di vittime senza precedenti.” All’epoca, le locali autorità sanitarie avevano riferito che il 60% delle morti immediate erano state dovute ustioni da esplosione o da fiamme e gli scienziati medici hanno stimato che il 15%-20% delle morti erano state causate dalle radiazioni.
I testimoni “hanno dichiarato che coloro che erano all’aperto direttamente sotto l’esplosione della bomba, sono stati ustionati così gravemente che la loro pelle si era carbonizzata e diventata marrone scuro o nera e che sono morti nel giro di pochi minuti o di poche ore,” secondo il rapporto del 1946. “Tra i sopravvissuti, le zone bruciate della pelle mostravano prove di ustioni quasi immediatamente dopo l’esplosione. All’inizio c’era un rossore pronunciato, e altre prove di ustioni da calore apparivano nei minuti o nelle ore successive.”
Molte vittime avevano le braccia distese perché era troppo doloroso lasciarle pendere ai lati perché strofinavano il corpo. Un sopravvissuto ricordava di aver visto vittime “con entrambe le braccia così gravemente bruciate che tutta la pelle pendeva dalle braccia fino alle unghie, e altri che avevano la faccia gonfia come la pasta del pane quando lievita, e non riuscivano a vedere. Erano come fantasmi che camminavano in processione…Alcuni saltavano nel fiume a causa delle gravi ustioni. Il fiume era pieno di ferite e di sangue…”
Il numero delle vittime a Hiroshima è stato valutato in 140.000. Un attacco nucleare a Nagasaki di tre giorni dopo si pensa che abbia ucciso 70.000 persone. Oggi, secondo Dallas, le armi nucleari di 15 chilotoni del tipo usato in Giappone vengono chiamate dagli esperti “mortaretti nucleari” a causa della loro relativa debolezza.
Oltre che uccidere oltre 5,5 milioni di persone, un attacco a Teheran con armi da 250 chilotoni – ognuna di esse 16 volte più potente della bomba fatta cadere su Hiroshima – provocherebbe 803.000 vittime morte per ustioni di terzo grado, quasi 300.000 altre per ustioni di secondo grado, e tra 750.000 e 800.000 persone gravemente esposte a radiazioni. “Quelle persone con ustioni provocate dal calore sulla maggior parte del corpo, non possiamo aiutarle,” dice Dallas. “La maggior parte di queste persone non sopravvivranno…non c’è modo di salvarli. Avranno un’agonia intensa.” Quando ci si sposta più lontano dal luogo dell’esplosione, dice Dallas, “le cose peggiorano realmente. Mentre il danno disunisce, il dolore aumenta, perché non si è insensibili.”
Nello scenario del migliore dei casi, ci sarebbero 1.000 vittime ferite in modo critico per ogni medico sopravvissuto, ma “sarà probabilmente peggio,” secondo Dallas. Qualunque cosa rimanga del sistema sanitario di Teheran, sarà inondato da 1,5 milioni di persone che soffrono di un trauma. Sforzandosi di minimizzare, ricercatori riferiscono che i sopravvissuti “che presentano ferite che comprendono anche o ustioni da calore o l’avvelenamento da radiazioni è improbabile che avranno esiti favorevoli.”
I funzionari del governo iraniano non hanno risposto a una richiesta di informazioni su come Teheran sopravvivrebbe nel caso di un attacco nucleare. Quando gli hanno chiesto se i militari statunitensi potevano fornire aiuto umanitario dopo un attacco di quel tipo, un portavoce del Comando Centrale, la cui area di responsabilità comprende il Medio Oriente, è stato circospetto. “Il Comando Centrale degli Stati Uniti programma una vasta gamma di contingenze per essere preparati a fornire delle opzioni al Segretario alla Difesa e al presidente,” ha detto a questo inviato. Però Frederick Burkle, un socio anziano dell’Iniziativa Umanitaria di Harvard, e della Scuola per la Sanità pubblica dell’Università di Harvard, e anche co-autore dell’articolo appena pubblicato, dice con enfasi che i militari statunitensi non potrebbero affrontare la portata del problema. “Devo dire che nessun paese o organismo internazionale è preparato a offrire l’assistenza che sarebbe necessaria,” mi ha detto.
Dallas e il suo gruppo hanno passato 5 anni a lavorare al loro studio. Le loro previsioni venivano create usando una versione resa disponibile di un pacchetto software sviluppato per l’Agenzia per la riduzione delle minacce del Dipartimento della Difesa, e anche altre applicazioni complementari di software. Secondo Glen Reeves, il software usato non riesce a spiegare molte degli imprevisti e delle irregolarità di un ambiente urbano. Queste, dice, mitigherebbero alcuni degli effetti dannosi. Degli esempi sarebbero edifici o automobili che forniscono protezione dalle ustioni da esplosioni. Reeves nota, tuttavia, che le zone urbanizzate possono anche aggravare il numero delle morti e delle ferite. Gli effetti dell’esplosione molto più deboli di quanto sarebbe necessario per danneggiare i polmoni, possono, per esempio, abbattere una casa. “L’edificio del tuo ufficio può crollare…prima che i tuoi timpani scoppino!” dice Reeves.
Il nuovo studio fornisce le sole previsioni scientifiche aggiornate su ciò che potrebbe realmente significare un attacco nucleare in Medio Oriente. Dallas, che in precedenza era stato direttore del Centro per la difesa dalla distruzione di massa presso i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, si affretta a far notare che lo studio non ha ricevuto alcun finanziamento o opinione dal governo statunitense. “Nessuno ha voluto che questa ricerca venisse realizzata.
Sciabole tintinnanti e negazione del nucleare
Frederick Burkle fa notare che, oggi, le discussioni sulle armi nucleari in Medio Oriente si incentrano quasi esclusivamente sul fatto che l’Iran produca o non produca una bomba atomica, invece di “focalizzare l’attenzione su assicurare che ci sono delle opzioni che esse includano un senso di sicurezza alternativo.” Avverte che le ripercussioni potrebbero essere gravi. “Più questa situazione va avanti, più autorizziamo quel singolare modo di pensare sia all’interno dell’Iran che di Israele.”
Anche se l’Iran dovesse un giorno costruire varie piccole armi nucleari, la loro utilità sarebbe limitata. Dopo tutto, gli analisti notano che Israele sarebbe in grado di iniziare una reazione dopo l’attacco che devasterebbe del tutto l’Iran. Proprio in questo momento Israele è l’unico stato in Medio Oriente che possiede armi nucleari. Tuttavia, un attacco nucleare israeliano preventivo contro l’Iran sembra a molti esperti una prospettiva improbabile.
“Attualmente ci sono poche probabilità di una vera guerra nucleare tra le due nazioni,” secondo Paul Carroll della Fondazione Ploughshares. Fa notare che è improbabile che Israele usi armi nucleari a meno che non fosse in gioco proprio la sua sopravvivenza. “Tuttavia, la retorica di Israele sulle linee rosse e la minaccia di un Iran nucleare sono qualche cosa di cui dobbiamo preoccuparci,” mi ha scritto recentemente in un messaggio di posta elettronica. “Un attacco militare per sconfiggere la capacità nucleare dell’Iran A) non funzionerebbe B) assicurerebbe che l’Iran allora PERSEGUIREBBE la costruzione di una bomba (una cosa che l’Iran non ha ancora chiaramente deciso di fare ) e C) farebbe rischiare una guerra nella zona.”
Cham Dallas considera la minaccia in termini ancora più estremi: “Gli Iraniani e gli Israeliani sono entrambi impegnati a essere in conflitto,” mi ha detto. Non è l’unico a esprimere preoccupazione. “Che cosa faremo se Israele minaccia Teheran di annientamento nucleare?….Una battaglia con armi nucleari in Medio Oriente, unilaterale o no, sarebbe l’evento militare più destabilizzante fino da Pearl Harbour,” ha scritto Tim Weiner, vincitore del premio Pulitzer, inviato per la sicurezza nazionale, in un recente contro editoriale per Bloomberg News. “I nostri comandanti militari conoscono mille modi con i quali potrebbe cominciare una guerra tra Israele e l’Iran….Nessuno, tuttavia, ha mai combattuto una guerra nucleare. Nessuno sa come terminarne una.”
Il Medio Oriente non è certo l’unico luogo di una potenziale catastrofe nucleare. Oggi, secondo la Fondazione Ploughshares, si stima che si siano 17,300 armi nucleari nel mondo. Si dice che la Russia ne abbia più di tutti: 8,500; la Corea del Nord, quella che ne ha di meno: 10. Donald Cook, l’Amministratore dei programmi della difesa dell’Amministrazione per la Sicurezza nucleare nazionale, ha di recente confermato che gli Stati Uniti possiedono circa 4.700 testate nucleari. Tra le altre potenze nucleari ci sono i paesi rivali India e Pakistan, che nel 2002 sono stati sull’orlo della guerra nucleare. (Proprio quest’anno funzionari del governo indiano hanno avvertito i residenti in Kashmir, il territorio diviso e rivendicato da entrambe le nazioni, di stare pronti a una probabile guerra nucleare). Di recente, l’India e la sua vicina, la Cina, che si sono fatte guerra negli anni ’60, si sono trovate di nuovo sull’orlo di una crisi dovuta a dispute di confine in una remota zona dell’Himalaya.
In un mondo inondato da armi nucleari, le sciabole tintinnanti, i comportamenti imprevedibili, i calcoli sbagliati, gli errori nel campo della tecnologia, o gli errori di giudizio, potrebbero provocare una deflagrazione nucleare e sofferenze di portata quasi inimmaginabile, forse, in Iran, più che in nessun altro luogo. “Non soltanto gli impatti immediati sarebbero devastanti, ma gli effetti duraturi e la nostra capacità di occuparcene sarebbero molto più difficili che nel caso degli eventi come l’11 settembre o di un terremoto o di uno tsunami,” osserva Paul Carroll. Le radiazioni potrebbero trasformare le zone di un paese in zone interdette: le infrastrutture della sanità sarebbero danneggiate o totalmente distrutte: e a seconda delle condizioni climatiche e dei venti dominanti, l’agricoltura di intere aree potrebbe essere avvelenata. Mi ha detto: “Una grossa bomba potrebbe provocare questo, non parliamo poi di una manciata di bombe in un conflitto nell’Asia meridionale.”
“Credo davvero che più a lungo avremo queste armi, più il loro numero crescerà, maggiori saranno le probabilità che sperimenteremo, sia di un attacco internazionale, (basato sullo stato, o ad opera di terroristi) o di un incidente,” mi ha scritto Carroll nel suo messaggio di posta elettronica.
Cham Dallas dice che c’è bisogno urgente di affrontare la prospettiva di attacchi nucleari, non in seguito, ma adesso. “Ci saranno altri grossi problemi di sanità pubblica nel ventunesimo secolo, ma nella prima terza parte, questo è tutto. E’ come un treno merci che esce dai binari,” mi ha detto. “La gente non vuole affrontare questa situazione. E’ incapace di ammetterlo. “
Nick Turse è direttore editoriale di TomDispatch e membro del Nation Institute. Giornalista premiato, il suo lavoro è apparso sul Los Angeles Times, The Nation e regolarmente su TomDispatch. E’ autore del più recente best seller del New York Times ‘Kill Anything that Moves: The Real American War in Vietnam’ [Uccidete tutto ciò che si muove: la vera guerra statunitense in Vietnam] (The American Empire Project, Metropolitan Books). Potete assistere alla sua recente conversazione con Bill Moyers su tale libro cliccando qui. Il suo sito web è NickTurse.com. Potete seguirlo su Tumbir e su Facebook.
Questo articolo è apparso in origine su TomDispatch.com, un blog del Nation Institute che offre un flusso costante di fonti alternative, notizie e opinioni da Tom Engelhardt, da lungo tempo direttore editoriale e co-fondatore dell’American Empire Project, autore di ‘The End of Victory Culture’ [La fine della cultura della vittoria], nonché di un romanzo, ‘The Last Days of Publishing’[Gli ultimi giorni di pubblicazione]. Il suo libro più recente è ‘The American Way of War: How Bush’s Wars Became Obama’s’ [Lo stile bellico statunitense: come le guerre di Bush sono diventate le guerre di Obama] (Haymarket Books).
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/nuclear-terror-in-the-middle-east-by-nick-turse
Originale: TomDispatch.com
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY – NC-SA 3.0