Oggi, nella cassetta postale di tutti i parlamentari, Greenpeace ha fatto recapitare una copia Dvd del cortometraggio “Uno al giorno”, che l’associazione ha realizzato lo scorso autunno. Per aver mostrato a tutti cosa vuol dire produrre elettricità col carbone, sono indagati – presumibilmente per diffamazione – il regista Mimmo Calopresti e lo sceneggiatore Manfredi Giffone, in seguito a una denuncia di Enel “contro ignoti”.
Il cortometraggio, che vede la partecipazione di noti attori come Haber, Quartullo, Ceccarelli e Briguglia e la collaborazione dei Subsonica per le musiche, parla degli impatti sanitari ed economici del carbone che Enel utilizza per produrre in Italia quasi il 50 per cento della sua elettricità. Secondo uno studio commissionato da Greenpeace, che applica una metodologia già in uso nell’UE a dati di emissione forniti dalla stessa azienda, i fumi delle centrali a
carbone di Enel causano nel nostro Paese una morte prematura al giorno e circa 1,8 miliardi di euro di danni l’anno.
“Greenpeace accusa da tempo Enel per gli impatti del suo carbone, ed è già stata trascinata in tribunale dall’azienda numerose volte”, dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace. “Proprio in una di queste circostanze, la scorsa estate, la magistratura ha rigettato il ricorso dell’azienda e giudicato legittime le nostre accuse poiché fondate su dati veridici: il cortometraggio “Uno al giorno” nasce proprio da quei dati e da quella storica sentenza”.
Il carbone di Enel uccide e arreca danni enormi all’Italia. È incredibile che oggi, per averlo detto con un cortometraggio
realizzato dopo quella sentenza, un noto regista e un giovane autore risultino indagati per reati penali di cui ancora non si conosce il dettaglio.
Le copie del cortometraggio di Calopresti recapitate oggi a tutti i deputati e senatori sono accompagnate da una lettera in cui Greenpeace chiede alle istituzioni di farsi carico della condotta di un’azienda controllata dallo Stato.
“L’irresponsabilità di Enel, incapace di rispondere alle accuse ma sempre solerte nello sguinzagliare i propri legali, questa volta ha tracimato nel tentativo di censura” aggiunge Boraschi. “Abbiamo deciso di informare di questo il Parlamento per capire se Enel è davvero sotto il controllo dello Stato o se può infischiarsene delle accuse documentate che le vengono rivolte perché la politica non è in grado di controllarla”.
La condotta legale di Enel ha un preciso carattere intimidatorio. Enel ha deciso di non rispondere nel merito alle accuse che l’associazione ambientalista le muove e di perseguire Greenpeace e chi con essa collabori in ogni occasione possibile. Una multinazionale con un fatturato da 80 miliardi di euro può spendere quanto vuole in avvocati, per tentare di silenziare chiunque; può persino permettersi di uscire sconfitta dalle aule giudiziarie, come le è già successo,
sapendo comunque che le sue azioni legali possono ostacolare la protesta o consigliare di desistere.
Greenpeace non desisterà. Ci si domanda però se sia legittimo che un’azienda controllata dallo Stato proceda in questa direzione quando le critiche che le vengono rivolte, come ricordato in una sentenza favorevole a Greenpeace, riguardano interessi collettivi “di rango costituzionale” come la salute pubblica.