Il rapporto annuale 2012 di Iran Human Rights sulla pena di morte in Iran, presentato qualche giorno fa, ci presenta una scioccante realtà: almeno 580 le esecuzioni eseguite (mentre le autorità ne denunciano solo 294), 60 le impiccagioni pubbliche per “ammonire” e terrorizzare la popolazione. Puniti soprattutto reati legati alla droga, minoranze e donne. Il Paese si trova poi in piena crisi socio-economica e con le elezioni presidenziali alle porte: si teme anche per nuove forti repressioni del dissenso.
Riportiamo il testo del comunicato stampa della sezione italiana di IHR:
Il numero delle esecuzioni del 2012 è tra i più alti registrati da oltre 15 anni. IHR sottolinea tuttavia che, in un contesto in cui manca la trasparenza nei procedimenti giudiziari e la libertà di stampa è soffocata, le condanne eseguite potrebbero essere più numerose di quelle che IHR riesce a documentare in modo certo e a inserire nel rapporto annuale.
Ad esempio Iran Human Rights ha avuto notizie di esecuzioni segrete di massa nel carcere di Vakilabad a Mashhad, dove probabilmente negli ultimi mesi del 2012 sono stati messi a morte centinaia di detenuti. Nel rapporto annuale l’organizzazione ha incluso solo 85 casi di queste esecuzioni segrete, mentre ne ha esclusi provvisoriamente altri 240 (verificatisi sempre a Vakilabad) riguardo ai quali è ancora impegnata nella verifica delle informazioni disponibili
Anche quest’anno la maggior parte delle persone messe a morte è stata accusata di reati relativi al traffico di droga: 438 su 580. In Iran, infatti, il possesso di 30 grammi di eroina, morfina, cocaina, LSD, metanfetamina o droghe simili è punibile con la morte.
Le altre accuse che portano i detenuti sul patibolo sono: stupro e violenza sessuale, omicidio, Moharebeh (guerra contro Dio) e rapina a mano armata.
Resta altissimo (con dati analoghi a quelli record del 2011) il numero delle esecuzioni in pubblico: 60 nel 2012. IHR sottolinea come le autorità iraniane abbiano più volte invitato, con volantini e manifesti, la popolazione locale ad assistere alle esecuzioni pubbliche. Quella delle esecuzioni in piazza è una prova di come le autorità iraniane usino sempre di più la pena di morte come strumento di controllo sociale basato sul terrore.
Il boia ha colpito con costanza diverse minoranze etniche e religiose dell‘Iran: gli Arabi Ahwazi, i Curdi, i Baluci e gli Afgani. Almeno 27 cittadini afgani e un cittadino pakistano sono stati messi a morte nel 2012. Molti altri appartenenti a queste minoranze sono tuttora a imminente rischio di esecuzione.
La maggior parte delle esecuzioni è avvenuta per impiccagione, ma anche quest’anno Iran Human Rights ha registrato 4 casi di donne lapidate. Tali casi, però, non sono stati inclusi nel rapporto perché l’associazione sta ancora cercando conferme attendibili. Va peraltro ricordato che la lapidazione è uscita dal codice penale islamico iraniano, ma rimane nella sharia, perciò di fatto fa ancora parte del sistema giuridico iraniano, come ribadito a febbraio scorso da Mohammad Ali Esfenani, il portavoce della Commissione di giustizia del Parlamento iraniano: “La lapidazione – ha detto Esfenani – è stata rimossa soltanto dall’ordinamento giudiziario ma esiste ancora nella Sharia e da lì non può essere certo rimossa.”
Alla luce di quanto denunciato nel Rapporto annuale sulla pena di morte in Iran- 2012, Iran Human Rights raccomanda alle Nazioni Unite:
– di rinnovare il mandato del Relatore Speciale sulla situazione dei diritti umani in Iran.
– di nominare una commissione d’inchiesta per accertare la verità sulle esecuzioni segrete.
Alla comunità internazionale IHR chiede:
– di far pressione sulle autorità iraniane affinché garantiscano procedimenti trasparenti ed equi; applichino una moratoria delle esecuzioni in pubblico; si adeguino alla Convenzione dei diritti del fanciullo (ratificata dall’Iran nel 1991) che proibisce le esecuzioni di soggetti che sono minorenni nel momento in cui il reato è stato commesso; mettano fine alle pratiche discriminatorie nei confronti delle minoranze etniche e religiose.
IHR esorta inoltre l’UNODC (Ufficio Droga e Crimine delle Nazioni Unite) e le nazioni che ne finanziano i progetti, a sospendere qualsiasi contributo, economico e non, ai programmi antidroga del regime iraniano, finché esso non rinuncerà alla sua politica che prevede la pena di morte nei confronti dei detenuti accusati per reati di droga.
Il Rapporto Annuale sulla pena di morte in Iran – 2012 viene pubblicato in un momento in cui la società iraniana si avvia verso un futuro incerto. Le condizioni socio-economiche peggiorano di giorno in giorno e a giugno 2013 un’altra tornata di elezioni presidenziali avrà luogo in Iran. Avendo ben presenti sia le proteste post-elettorali del 2009 in Iran, che le cosiddette “Primavere arabe” del 2010 e del 2011, le autorità iraniane sono ben consapevoli che il risultato di nuove proteste a giugno potrebbe essere più grave di quelle del 2009. Perciò esse fanno tutto il possibile per impedire nuove forme di protesta. Diffondere il terrore nella società è la principale strategia oppressiva delle autorità iraniane e la pena di morte è lo strumento più potente di cui dispongono per raggiungere l’obiettivo.
Il testo integrale del Rapporto in italiano e in inglese (formato pdf)