Martedì 23 aprile, la data della mobilitazione nazionale organizzata dal Partito democratico senegalese (Pds), il partito dell’ex presidente della Repubblica che ha tenuto in pugno il paese dal 2000 al 2012, non è stata scelta a caso. Era il 23 giugno del 2011 quando una folla immensa e inferocita di giovani senegalesi si riversò davanti all’assemblea nazionale, costringendo il presidente Wade a ritirare la scellerata riforma costituzionale per la creazione del vice presidente, l’ultimo disperato tentativo di installare il figlio Karim come suo successore.
Ma un’altra data resterà impressa a lungo in Senegal. Lunedì 15 aprile alle ore 17,30 Karim Wade (nella foto), l’ex «super ministro di cielo e di terra» (è stato ministro dei trasporti, ministro delle infrastrutture e ministro delle energie e tecnologie) è finito in manette nella caserma Semba Diéry Diallo di Colobane, a Dakar, su ordine di Alioune Ndao, il procuratore della Corte Superiore contro l’Arricchimento Illecito, tribunale speciale fortemente voluto e reso operativo nei primi mesi del “nuovo corso” presidenziale di Macky Sall. Accusato di aver sottratto oltre 1 miliardo di euro dalle casse statali durante i 12 anni di presidenza paterna, Karim è attualmente detenuto nel carcere di Rebeuss. Rischia 10 anni di prigione e un risarcimento di almeno 2 miliardi di euro.
Nel giro di pochi minuti la notizia ha attraversato tutto il paese innescando un caleidoscopio di reazioni diverse e contrapposte. L’indice di gradimento di Macky Sall si è impennato e anche i senegalesi più delusi dai risultati raggiunti nel suo primo anno alla guida del paese, hanno riconosciuto la sua determinazione nell’innescare un processo di restaurazione dell’apparato giudiziario in grado di eliminare tutte le immunità assicurate fino ad oggi ai potenti del Senegal.
I mass media si sono incendiati sommergendo i senegalesi con una valanga di notizie, indiscrezioni, commenti e opinioni, dall’analisi dettagliata dei circuiti economici creati da Karim Wade ai cinque prestanomi da lui usati per spostare capitali dalle casse statali alla costellazione di società off shore sparse per tutti i paradisi fiscali possibili, al tragicomico reportage del suo ingresso al carcere di Rebeuss, ridicolizzato per la sua umida preoccupazione nel doversi separare dai suoi gris gris (amuleti portafortuna tradizionali).
Dalla parte opposta, capitanati dallo sconfitto Abdoulaye Wade, al sicuro in Francia, i fedelissimi del Pds si sono scatenati in una campagna feroce per cercare di deligittimare i risultati della Corte Superiore contro l’Arricchimento Illecito, denigrare il procuratore Alioune Ndao, arrivando a depositare stravaganti denunce di presunte violazione dei diritti umani subite da Karim.
La manifestazione di martedì era annunciata come la mobilitazione più importante. Il giorno della “riscossa”, che ha visto sfilare circa 5000 militanti vestiti di blu e giallo, i colori storici del Pds, lungo Avenue Charles de Gaulle (Centenaire) sfiorando Piazza dell’Obelisco, teatro di tutte le storiche manifestazioni anti regime di Wade. Su cartelli artigianali si potevano leggere le scritte più disparate, da «no al governo fascista» a «liberate Karim, martire della libertà».
Poco lontano tanti curiosi commentavano divertiti la “prova di forza” del Pds, molto lontana dai «milioni di senegalesi indignati» promessi dai dirigenti alla vigilia. La scarsa partecipazione dei giovani al corteo ha poi sottolineato ancora una volta quali sono stati i veri protagonisti del cambiamento. Che nonostante i passi intrapresi dal governo di Macky Sall, resta ancora molto lontano.
La stessa coalizione Benno Bokk Yaakaar (Uniti per la speranza), vittoriosa alle elezioni presidenziali, sta lentamente disfacendosi in vista delle prossime elezioni amministrative previste per il 2014, e il partito Alleanza per la Repubblica (Apr) di Macky Sall si sta frammentando in correnti sempre più litigiose nella tradizionale scelta delle candidature per i dipartimenti più importanti e determinanti.
Del resto i problemi di questo paese non sono solo quelli giudiziari. A ricordarlo è l’eco dello scoppio ripetuto delle granate lanciate dalla polizia in tenuta anti sommossa contro gli studenti dell’Università di Dakar, in agitazione da oltre due settimane per il mancato pagamento delle borse di studio.
Ha collaborato Amady Sonko