La testimonianza di 35 pagine resa da Bradley Manning descrive il suo lavoro di analista informatico in Iraq e spiega come è giunto alla conclusione che l’opinione pubblica americana avesse bisogno di conoscere gli abusi segreti compiuti dagli Stati Uniti nelle guerre in Iraq e in Afghanistan. Bradley merita un ringraziamento, non una condanna alla prigione
Cosa faresti se avessi le prove di crimini di guerra? Cosa faresti se “eseguire gli ordini” significasse partecipare a gravi abusi che condanni? Avresti il coraggio di rischiare tutto, perfino la vita, per fare la cosa giusta?
La maggior parte di noi terrebbe la bocca chiusa. Bradley Manning non l’ha fatto.
Nella testimonianza letta durante l’udienza preliminare svoltasi a Fort Meade, nel Maryland, Bradley Manning ha spiegato come la sua coscienza lo abbia spinto a denunciare crimini, abusi e corruzione, passando a WikiLeaks documenti segreti sulla guerra in Afghanistan, video di “omicidi collaterali”, dispacci del Dipartimento di Stato, file su Guantanamo e altro ancora.
A modo suo un documento storico, la dichiarazione spiega il lavoro di analista informatico di Bradley, descrive ciò che ha visto lavorando nella parte orientale di Baghdad e come ha concluso che il popolo americano avesse bisogno di sapere cosa succedeva davvero nelle guerre all’estero.
Bradley ha salvato dati sulla guerra in Afghanistan che documentano scontri e perdite su CD riscrivibili, all’inizio perché pensava che lui e gli altri analisti ne avrebbero avuto bisogno durante i frequenti problemi con i computer nella base in Iraq.
“Ero e sono ancora convinto che questi documenti siano tra i più significativi del nostro tempo” ha dichiarato all’udienza preliminare.
Bradley ha proseguito spiegando come ha cominciato a rendersi conto che questi documenti mettevano in luce una guerra orribile, che gli americani ignoravano.
“Sentivo che stavamo rischiando tanto per gente che non voleva collaborare con noi e questo portava a rabbia e frustrazione da entrambe le parti. La situazione in cui ci trovavamo sempre più bloccati anno dopo anno ha cominciato a deprimermi. Questi documenti lo mostravano con chiarezza e fornivano un contesto a quello che vedevamo sul campo. Nel tentativo di condurre operazioni di anti-terrorismo e anti-insurrezione catturare e uccidere bersagli presenti in una lista è diventata una vera e propria ossessione, ignorando gli effetti secondari o terziari del successo degli obiettivi e delle missioni a breve termine.”
Bradley si è reso conto a quel punto che il popolo americano aveva bisogno di vedere quei documenti.
“Credo che se l’opinione pubblica, soprattutto americana, avesse accesso all’informazione contenuta nei documenti sulle guerre in Iraq e Afghanistan, questo potrebbe generare un dibattito sul ruolo dei militari e sulla politica estera in generale” ha spiegato.
Nel gennaio 2010, mentre si trovava a casa in licenza, Bradley ha cercato invano di fornire i documenti ai maggiori quotidiani americani. Ha chiamato il Washington Post, ma il cronista con cui ha parlato non l’ha preso sul serio e ha detto che i suoi capi avrebbero richiesto maggiori informazioni. Allora ha provato con il New York Times. Gli ha risposto una segreteria telefonica, a cui ha lasciato il suo numero. Il giornale non l’ha richiamato.
A quel punto si è rivolto a WikiLeaks. il 3 febbraio 2010, durante una bufera di neve, si è rifugiato in una libreria Barnes and Noble a Rockville, nel Maryland, e ha caricato in forma anonima i file sulle guerra in Iraq e in Afghanistan.
“Ho provato un senso di sollievo all’idea che WikiLeaks avesse l’informazione. Avevo fatto una cosa che mi consentiva di avere la coscienza tranquilla, basata su ciò che avevo visto e letto e su ciò che sapevo stava avvenendo ogni giorno in Iraq e in Afghanistan”.
Mentre WikiLeaks esaminava i documenti militari preparandosi a diffonderli, Bradley è ritornato in Iraq.
Quello stesso mese Bradley Manning ha ascoltato una discussione tra i suoi colleghi riguardo a un video del 12 luglio 2007 di un attacco messo in atto in Iraq da un elicottero Apache su civili, compresi due giornalisti della Reuters. All’inizio sembrava solo uno dei video che vedeva ogni giorno, ma dopo aver indagato più a fondo su quello che è ormai conosciuto con il nome di “Collateral Murder” (Omicidio collaterale, N.d.T.) è rimasto inorridito.
“Per me l’aspetto più allarmante del video era la sete di sangue di quei militari. Disumanizzavano gli individui che stavano colpendo, non davano alcun valore alla vita umana, li chiamavano “bastardi morti” e si congratulavano gli uni con gli altri per la loro abilità di ucciderne tanti. A un certo punto una persona a terra, gravemente ferita, cerca di mettersi in salvo strisciando. Invece di chiamare un’ambulanza, uno dei membri dell’equipaggio chiede al ferito di raccogliere un’arma, così da avere un motivo per colpirlo. Quella scena mi ha ricordato i bambini che torturano le formiche con una lente d’ingrandimento.”
Manning è venuto a sapere che la Reuters stava cercando di procurarsi una copia di quel video avvalendosi del Freedom of Information Act (la disposizione di legge che permette a chiunque di avere un accesso totale o parziale a documenti classificati, N.d.T.), ma veniva ostacolata dal governo americano. Ha appreso anche che il cronista del Washington Post David Finkel aveva citato l’incidente nel suo libro The Good Soldiers, ma è rimasto stupefatto dal modo in cui lo descriveva.
Convinto che la Reuters avesse bisogno di vedere il video anche per proteggere meglio i suoi giornalisti e che il popolo americano meritasse di farsi un’idea accurata del tipo di incidenti che il nostro governo tiene segreti, Bradley ha deciso di passarlo a WikiLeaks.
“Speravo che il pubblico restasse allarmato come me dal comportamento dell’equipaggio dell’elicottero. Volevo sapesse che non tutti in Iraq e Afghanistan erano bersagli da neutralizzare, ma piuttosto persone che lottavano per sopravvivere in una sorta di pentola a pressione creata da quella che chiamiamo guerra asimmetrica. Dopo la diffusione del video la risposta dei mass-media e di chi lo aveva visto mi ha incoraggiato. Come speravo, anche altri erano rimasti turbati quanto e più di me da quelle scene.”
Il 2 marzo 2010 Bradley ha ricevuto l’ordine di indagare sulla detenzione da parte della polizia irachena di 15 persone accusate di aver distribuito “materiale anti-iracheno” e si è reso conto in fretta che “nessuno di questi individui aveva precedenti legami con azioni anti-irachene o milizie sospettate di terrorismo.”
In effetti i materiali distribuiti da questi accademici erano dei “saggi che criticavano la corruzione del governo guidato da al-Maliki e il suo impatto finanziario sulla popolazione.”
Bradley lo ha fatto presente ai suoi superiori, ma questi gli hanno detto di lasciar perdere e di aiutare la polizia irachena a trovare altri dissidenti da imprigionare.
“Sapevo che se avessi continuato ad assistere la polizia di Baghdad nella ricerca e identificazione degli oppositori politici del Primo Ministro al-Maliki, questi sarebbero stati arrestati e torturati e sarebbero spariti per lunghi periodi, se non per sempre. Invece di aiutare la polizia ho deciso di rendere pubblica questa informazione tramite WikiLeaks prima delle elezioni del 7 marzo 2010, nella speranza che si generasse una certa pressione, impedendo a quell’unità della Polizia Federale di Baghdad di continuare a perseguitare gli oppositori politici di al-Maliki.”
WikiLeaks non ha ancora pubblicato quei files, ma ha diffuso un dispaccio chiamato Reykjavik 13, rivelando le prepotenze contro l’Islanda da parte di due paesi europei. Questa pubblicazione ha spinto Bradley a continuare nella sua denuncia degli abusi nascosti.
“Io voglio sempre scoprire la verità. A differenza di altri analisti della mia sezione, o di altre, non mi bastava graffiare la superficie e produrre valutazioni poco originali o fatte con lo stampino. Volevo sapere perché qualcosa era in un certo modo e cosa potevamo fare per correggere o migliorare la situazione.”
Questo l’ha portato a indagare a fondo sui dispacci del Dipartimento di Stato per tutto il marzo 2010. Come gli oltre 500.000 altri dipendenti e appaltatori del governo, anche il ventiduenne Bradley aveva accesso a questi documenti attraverso il suo computer.
“Vista la mia insaziabile curiosità e interesse per la geopolitica, questi documenti mi hanno affascinato. Non ho letto solo i dispacci che riguardavano l’Iraq, ma anche quelli su altri paesi ed eventi che trovavo interessanti. Più leggevo, più restavo colpito dal modo in cui trattavamo altre nazioni e organizzazioni. Cominciavo anche a pensare che gli accordi segreti e quella che pareva un’attività criminale non corrispondevano a ciò che avrebbero dovuto essere i leader del mondo libero.
Più leggevo questi dispacci, più giungevo alla conclusione che questo tipo d’informazione doveva diventare di dominio pubblico. Una volta avevo letto e usato una citazione sulla diplomazia aperta scritta dopo la Prima Guerra Mondiale, in cui si diceva che il mondo sarebbe stato un luogo migliore se gli stati avessero evitato i patti e gli accordi segreti tra di loro e gli uni contro gli altri. Questi dispacci mi sono sembrati un chiaro esempio del bisogno di una diplomazia più aperta.”
Allo stesso tempo però voleva valutare con attenzione gli effetti della diffusione di questi documenti sugli Stati Uniti.
“Visto che la maggior parte dei dispacci non era riservata e che secondo il manuale del Dipartimento di Stato tutti i messaggi erano destinati a una pubblicazione automatico sul sito, mi sono convinto che la loro diffusione non avrebbe danneggiato gli Stati Uniti. Certo, potevano risultare imbarazzanti, visto che contenevano opinioni molto sincere e dichiarazioni fatte alle spalle di altre nazioni e organizzazioni.”
Il 5 aprile 2010 WikiLeaks ha diffuso il video intitolato “Collateral Murder” . Incoraggiato dalla reazione internazionale, cinque giorni dopo Bradley ha caricato i dispacci diplomatici.
Il resto è storia. I documenti pubblicati da WikiLeaks hanno cambiato il mondo, anche se forse non nella misura sperata da Bradley. I tunisini, che di recente lo hanno candidato al Premio Nobel per la Pace per il 2013, hanno appreso molte cose sulla corruzione del loro governo e questo ha contribuito alla rivolta democratica avvenuta in quel paese.
Dopo aver saputo dai documenti diffusi da Wikileaks che nel 2006 il governo americano aveva coperto l’esecuzione sommaria di civili innocenti, il governo iracheno non ha permesso al Presidente Obama di mantenere truppe degli Stati Uniti dopo la scadenza del ritiro del 2011.
Bradley ha letto la sua testimonianza per sostenere la dichiarazione di colpevolezza riguardo a 10 capi di imputazione minori e di non colpevolezza riguardo ad altri 12 più gravi e ha chiarito che la responsabilità è solo sua. “Nessuno collegato a WikiLeaksmi ha fatto pressione perché inviassi più informazioni. La decisione è stata mia e me ne assumo tutta la responsabilità.”
La sua dichiarazione non fa parte di un patteggiamento con il governo e anzi la pubblica accusa militare ha cercato di impedirgli di leggerla, definendola “irrilevante.” L’Esercito ha annunciato che procederà con tutti i 22 capi d’accusa, compreso quello di aiuto al nemico e spionaggio, che potrebbero costargli l’ergastolo.
Quando, il 3 giugno2013, Bradley affronterà la corte marziale, ci si concentrerà meno su ciò che è successo e più su perché è successo e sul suo effetto. Le cose non potrebbero essere più chiare: Bradley Manning non ha aiutato il nemico, ma ha aiutato l’opinione pubblica a prendere decisioni basate su una migliore informazione riguardo agli abusi segreti del nostro governo e agli orrori della guerra.
Bradley merita gratitudine e onori, non processi e carcere. Unitevi a noi il 1° giugno a Fort Meade per chiedere la sua liberazione.
Nathan Fuller, Bradley Manning Support Network.
Traduzione dall’inglese di Anna Polo