Una delle contraddizioni più eclatanti che vedo nella drammatica crisi che stiamo vivendo è che siamo stati inondati da decenni da un’ideologia che ci ha promesso che lo sviluppo (evito la parola “progresso”) tecnico scientifico ci avrebbe riservato un luminoso avvenire, liberandoci dalla fatica, dal bisogno, dalle malattie e mettendo a disposizione di tutti un benessere sempre più diffuso. Il contrasto con la situazione che stiamo vivendo non potrebbe essere più clamoroso: disoccupazione dilagante, taglio del welfare, drammatico impoverimento di crescenti fasce sociali (con scandaloso arricchimento di un’esigua minoranza), suicidi e così via. Va detto per inciso che questa tragedia dilaga in tutti i paesi, con un’eccezione sorprendente: i paesi dell’America Latina.
Questa situazione è sotto gli occhi (e sulla pelle) di tutti, eppure nessuno sembra nemmeno notarla, attento e interessato semmai ad avere l’apparecchio elettronico di ultima generazione, o un’automobile nuova. Si deve aggiungere anche che di questa ideologia scientista e tecnicista sono succubi anche le forze politiche di sinistra, intrise di sviluppismo economico.
Perché questa ideologia è così subdola e pervasiva? Intanto si tenga conto che essa è il rincalzo, l’esatto pendant, dell’ideologia del progresso, della crescita intesa in termini puramente economici e quantitativi. Un rincalzo fondamentale, perché mentre in economia vi sono molte teorie diverse e anche contrapposte, le scienze naturali sono considerate un campo di conoscenze assolutamente “oggettive”.
Così la tecnica ha costruito una “seconda natura” artificiale, nella quale siamo sempre più immersi e che condiziona tutti gli aspetti della nostra vita, promossa da una pubblicità pervasiva, stucchevole e ingannevole (che è un business di per sé). Per comunicare, per muoverci, per conoscere tutto quello che è esterno a noi, per tutte le nostre azioni dipendiamo totalmente da congegni artificiali sempre più sofisticati. Ci sentiamo onnipotenti utilizzando gli ultimi ritrovati della tecnica, ma non riusciremmo a sopravvivere se ci trovassimo nella giungla, dove i pochi uomini “primitivi” vivono benissimo. Per rafforzare il nostro senso di onnipotenza seguiamo magari corsi di sopravvivenza o pratichiamo sport estremi, ma abbiamo perduto il contatto vero con la “natura” (salvo scappare appena possibile in qualche “paradiso artificiale” per sfuggire a una realtà insostenibile). I bambini conoscono gli animali solo attraverso la televisione (a parte cani e gatti).
Questa “natura artificiale” è anzi un diaframma che ci separa dalla “natura”, un paraocchi che copre una realtà molto peggiore. La scienza moderna è un prodotto della società occidentale (anche se questo termine nasconde una mentalità ancora coloniale, le parole non sono neutrali) nella sua fase di sviluppo capitalistico e ha introiettato l’ideologia, più propriamente la logica, di sfruttamento della natura per fini economici produttivi (in ultima analisi, di profitto).
Lo stereotipo dell’attività scientifica mette come suo fine la conoscenza: in realtà la scienza occidentale conosce al fine di trasformare la natura per sfruttarla. Sulla base dell’ideologia dell’oggettività della scienza, lo scienziato applica le sue conoscenze e le sue tecniche “scientifiche”, pensando di poter trasformare la natura senza limiti: assomiglia sempre più all’apprendista stregone, si sente più bravo di Dio quando modifica il patrimonio genetico che si è formato nel corso di 4 miliardi di anni di evoluzione naturale. Altre grandi civiltà avevano sviluppato importantissime conoscenze scientifiche basandosi su logiche opposte: conoscere la natura per rispettarne, e magari ripristinarne, gli equilibri. Francis Bacon diceva “La natura si domina solo ubbidendole”.
La logica di sfruttamento della natura diviene sempre più forsennata man mano che si restringono i margini di profitto e le risorse naturali si vanno esaurendo. Ormai la parola d’ordine è di spremere profitto da qualsiasi cosa e per questo sono necessari procedimenti scientifici sempre più sofisticati.
Così si insiste sull’ideologia del “potere” della scienza, che sarebbe in grado di risolvere qualsiasi problema: sarebbe invece molto più importante considerare i limiti della scienza, che ci permetterebbero di utilizzarla in modo più oculato e saggio.
Basterebbe togliersi per un attimo i paraocchi, staccarsi dalle sicurezze che dà tutta la nostra vita artificiale, per vedere le mistificazioni del mito del progresso. Non solo l’umanità è sull’orlo di un baratro, davanti alle sfide epocali della crisi climatica e ambientale. Non solo corre ancora, e sempre più, il rischio di un olocausto nucleare, ma anche alcuni miti del progresso cadono a un’analisi più attenta.
A parte le considerazioni che facevo all’inizio, può essere vero che in media la “speranza di vita” si è allungata (almeno nei paesi più ricchi), ma la speranza di vita sana si è accorciata in Italia di ben 10 anni tra il 2004 e il 2008! Il che significa che ci si ammala di più e prima e questo non è proprio un segno di benessere. Inoltre la stessa speranza di vita in realtà si sta accorciando nelle popolazioni e nelle fasce sociali che sentono di più i colpi della crisi (in Grecia, negli USA tra la popolazione di colore e i disoccupati, ecc.).
Sulla salute andrebbe sviluppato un discorso specifico, che mette sotto accusa tutta la classe medica e il potere dell’industria della salute e dei farmaci. Sta infatti diventando sempre più evidente (anche se la maggioranza dei suddetti soggetti ancora l’ignora) che la maggior parte delle malattie ha un’origine nelle condizioni ambientali, le quali non possono non avere un impatto profondo sugli organismi viventi (anche per un semplice motivo di logica, se non fossimo così attaccati alle nostre “comodità” materiali).
È vero che sono drasticamente diminuite le patologie acute, infettive e parassitarie che hanno devastato l’umanità per millenni (anche per il miglioramento delle condizioni igieniche), ma sono in drammatico aumento (e si manifestano sempre più precocemente) le patologie cronico-degenerative, infiammatorie e neoplastiche (si parla ormai di “rivoluzione epidemiologica dei secoli 20o-21o”). Anche la preoccupante crescita di sindromi quali l’obesità, il diabete, l’autismo, l’Alzheimer è da attribuire alle modificazioni profonde che abbiamo portato all’ambiente in cui viviamo. Aumentano i disturbi neuro comportamentali e neuropsichici nei bambini, ai quali, per la tranquillità dei “grandi” e la felicità dell’industria farmaceutica, vengono somministrati psicofarmaci, anziché dedicare loro l’attenzione che chiedono!
Basti pensare che vengono prodotte decine di migliaia di nuove molecole artificiali, quasi tutte senza nessun test sul loro impatto sull’organismo. Per non parlare dei “telefonini” che vengono dati ai bambini (ancora una volta per la tranquillità dei “grandi”), alla diffusione del wi-fi nelle scuole (il Belgio ha da poco vietato i telefoni cellulari per i bambini sotto i 7 anni, in vari paesi il wi-fi è stato disattivato in scuole e biblioteche). Le polveri ultrasottili (i PM 2,5, o meno) che inquinano le città sono veicoli micidiali di inquinanti, che trasportano all’interno delle cellule e dei nuclei. I soggetti più esposti sono non solo i bambini, ma anche il feto nel grembo materno, perché i fattori inquinanti superano la barriera placentare. Molti danni si instaurano durante i 9 mesi della gestazione (ed è provato che possono trasmettersi anche alle generazioni successive); su questi problemi si registra l’indifferenza dei nostri amministratori, ma bisogna dire, ahimè, anche dei cittadini.
Si tratta di una vera guerra della scienza contro l’ambiente e l’umanità! Senza tenere conto del fatto che una quantità enorme di scienziati lavora unicamente per l’industria militare, per approntare strumenti di morte e di distruzione sempre più sofisticati ed efficaci: un altro fatto che l’ideologia della scienza occulta sistematicamente.
Di fronte a questi problemi non ci si può fermare alla denuncia, ma bisogna ampliare la sensibilizzazione e attuare reazioni collettive. Le cose che ciascuno di noi può fare sono tante. Ne cito solo alcune: diffondere una maggiore sensibilità per questi problemi, soprattutto nei riguardi dei nostri figli e nipoti; adottare stili di vita e di alimentazione sani e ristabilire un contatto con la natura, in tutte le sue manifestazioni, limitando il ricorso sfrenato ai mezzi artificiali e elettronici (soprattutto, ancora una volta, per i bambini); riutilizzare e riciclare (rifiutando la sirena dell’ultima generazione di dispositivi, di cui non c’è nessun reale bisogno), evitare l’«usa e getta»; ridurre ed eliminare l’uso esagerato del mezzo privato.
Esiste una città in Germania ai piedi della Foresta Nera, Friburgo, che dagli anni ’70 ha avviato una riconversione ecologica: energie rinnovabili, trasporto pubblico, riduzione al minimo dell’uso del mezzo privato, bicicletta, ecc. In Internet si trovano facilmente tutte le informazioni. Sicuramente i suoi abitanti vivono meglio di noi e in modo più economico. In fondo non è per nulla difficile. Un mondo diverso è possibile: dobbiamo fare in modo che non sia troppo tardi!