Il 5 marzo 2013 a Oslo 127 nazioni, insieme ad organizzazioni internazionali e rappresentanti della società civile hanno concluso la conferenza di due giorni sulle conseguenze umanitarie di una guerra nucleare.
Gli interventi di organizzazioni, esperti e sopravvissuti che si sono susseguiti a un ritmo incalzante non hanno lasciato dubbi nei delegati presenti sul fatto che nella politica globale o nella strategia militare non c’è posto per le armi nucleari. Il Presidente della Croce Rossa Peter Maurer ha detto: “Abbiamo concluso che un’assistenza efficace ai sopravvissuti a un’esplosione nucleare, assicurando un’adeguata protezione ai soccorritori, è al momento impossibile a livello nazionale e non è attuabile a livello internazionale.”
Il dottor Ira Helfand di Physicians for the Prevention of Nuclear War, parlando a nome di ICAN, ha parlato ai delegati di:
- Una diffusa contaminazione radioattiva che avrebbe effetto sulle case, il cibo e le forniture d’acqua.
- Costi finanziari in termini di proprietà danneggiate, interruzione degli scambi commerciali globali e dell’attività economica in generale.
- Un impatto sullo sviluppo con la creazione di profughi.
Helfand ha anche descritto ai delegati uno scenario basato sull’ipotetico scambio di una piccola percentuale delle armi nucleari mondiali tra India e Pakistan, che per fortuna erano gli unici due stati in possesso di armi atomiche presenti in sala. Questo modello è basato su una stima di 5 milioni di tonnellate di fuliggine lanciate nell’atmosfera, il che causerebbe una riduzione delle temperature senza precedenti, cambiamenti della durata delle stagioni e delle precipitazioni. Helfand ha valutato gli effetti sulla produzione di grano in America (distante 12 fusi orari) e di riso in Cina, indicando una percentuale dal 30 al 40% in meno nel giro di due anni.
Ha poi ricordato che già adesso 870 milioni di persone nel mondo soffrono di denutrizione. Oltre alle vittime della guerra, queste persone farebbero parte del miliardo che si calcola morirà come immediata conseguenza di una guerra nucleare su scala ridotta.
Karipbek Kuyukov, ambasciatore di ATOM Project (una campagna internazionale che denuncia le devastazioni prodotte dagli esperimenti nucleari, N.d.T.) è cresciuto nel Kazakistan, a 100 chilometri da Semipalatinsk, dove l’Unione Sovietica realizzava i suoi test. Kuyukov è nato senza braccia e illustra nel modo più impressionante gli effetti delle radiazioni sul DNA umano. Nel suo intervento ha detto: “Abbiamo bisogno di un mondo dove non ci siano scuse per Hiroshima e Nagasaki o per Chernobyl o Semipalatinsk…”
“Che ci piaccia o no, oggi viviamo in un mondo pericoloso. Se vogliamo proteggerci, dobbiamo mettere al bando le armi nucleari.”
Dopo le presentazioni ufficiali le delegazioni dei vari paesi hanno espresso il loro orrore per le armi nucleari e la loro risoluzione per aiutare a eliminarle.
Ironicamente è stato il Giappone a introdurre una nota di cautela, dichiarando che il mondo deve concentrarsi su misure “pratiche” per “ridurre i rischi nucleari.”
La Nuova Zelanda ha preso di mira la Conferenza per il Disarmo, un organismo internazionale composto da 65 nazioni, che ha al suo attivo i trattati sulle armi biologiche o chimiche, ma che è bloccato da anni sul tema del disarmo nucleare. Alcuni stati membri hanno criticato la conferenza di Oslo, accusandola di minare il loro lavoro e quello del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, ma la Nuova Zelanda ha risposto che non c’è alcuna contraddizione nel promuovere il disarmo presso il TNP e a Oslo. L’Irlanda l’ha appoggiata affermando che un approccio umanitario è compatibile con il TNP e anzi può essere un appoggio al trattato stesso.
Verso la fine degli interventi, il rappresentante messicano ha invitato tutti nel suo paese per una nuova conferenza in data da definirsi, suscitando un’entusiastica ovazione.
Il Ministro degli Esteri norvegese ha concluso con alcuni commenti personali:
“Credo che siamo riusciti a dare un nuovo inquadramento alla questione, presentando gli impatti umanitari e le preoccupazioni umanitarie come il punto centrale della discussione sulle armi nucleari. Grazie a questo approccio è risultato chiaro che la questione riguarda tutti ed è legittimo che stati nucleari e non nucleari se ne occupino. In questo modo stiamo portando il dibattito sulle armi nucleari fuori dai campi tradizionali e istituzionalizzati esistenti. Non intendiamo sostituirli. Questa è un’aggiunta, ma crediamo che una nuova urgenza dovrebbe guidare il nostro lavoro su questo tema.
Ci è stato anche ricordato con chiarezza impressionante che queste armi esistono. E’ inutile negarlo: esistono e possono essere usate. Dobbiamo pensare all’impensabile e creare una sensibilità al riguardo. Sono felice di constatare la presenza qui di tanti differenti attori, non solo gli stati, ma anche importanti organizzazioni internazionali, l’ONU, la Croce Rossa, studiosi ed esperti e naturalmente la società civile. La nostra esperienza nel lavorare a stretto contatto con la società civile è che quando stati interessati e organizzazioni interessate della società civile lavorano insieme il risultato è molto più potente ed efficace che se ognuno andasse avanti per conto suo. Questo dovrebbe portare a una nuova comprensione, a una nuova presa di coscienza e a un nuovo senso di urgenza.”
Tra i vari stati che non hanno partecipato, spicca l’assenza dei cosiddetti P5, le potenze nucleari che sono anche membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia e Cina. Se il lavoro fatto a Oslo in questo forum non è abbastanza interessante da assicurare la loro presenza, viene da mettere in dubbio la ragion d’essere delle Nazioni Unite.
Sebbene ci siano già nel mondo milioni di persone in situazioni precarie o in punto di morte, sia in zone di guerra che in regioni povere e a causa della crisi economica ormai anche in paesi cosiddetti sviluppati come la Grecia e la Spagna e sebbene tutte queste siano questioni urgenti, è chiaro – e i quattro giorni di conferenze a Oslo lo hanno ampiamente dimostrato – che le armi nucleari sono il problema più importante che l’umanità deve risolvere.
La morte e la distruzione a cui assistiamo oggi sono nulla in confronto a ciò che potrebbe accadere se la famiglia globale non troverà una risposta corretta.