L’udienza dovrebbe concludersi con la decisione del giudice di accogliere o affossare l’indagine della Procura sul disastro ambientale e sanitario prodotto dal poligono Salto di Quirra, di rinviare a processo i venti incriminati o invece proscioglierli da ogni sospetto. Si saprà se il poligono della morte sarà salvato e riassumerà lo status di buco nero della legalità oppure se la Magistratura proseguirà l’azione di accertamento delle responsabilità penali e civili.
La Procura ha confermato quanto Gettiamo le Basi denuncia e documenta dal lontano 2001 ed è andata ben oltre producendo numerose e solide prove dei crimini contro l’ambiente e la vita umana, della violazione sistematica delle leggi e della stessa Costituzione.
L’accuratezza e serietà del lavoro della Procura non basta a tranquillizzarci. Conosciamo bene la forza del business, la potenza dell’impero militare-industriale, i mille modi subdoli della tentacolare “zona grigia” per assoldare i servizievoli ascari sardi, per narcotizzare e manipolare popolazione e istituzioni. La nostra inquietudine trova riscontro nei tentativi sempre più espliciti di isolare e delegittimare la Procura “scomoda” che ha osato toccare gli intoccabili, nell’agghiacciante silenzio delle forze politiche nella campagna elettorale appena conclusa, nell’iperattivismo rumoroso o silente di alcuni settori sociali e istituzionali per minimizzare il disastro e, in contrapposizione, nell’afasia del popolo No Gherra No Basis e del popolo sardo nel suo insieme.
Anche il clima che avvolge l’Italia manda segnali preoccupanti: le reazioni rabbiose e scomposte per assicurare lunga vita all’Ilva; la recente sentenza del processo d’Appello ThyssenKrupp che ha derubricato il reato più grave, ridotto significativamente le pene per gli imputati e concesso anche il dissequestro degli impianti.
Quirra è la nostra Ilva, la nostra ThyssenKrupp.
La decisione del gup di Lanusei non si ripercuote solo su un remoto angolo di Sarrabus-Ogliastra, ma coinvolge tutta la Sardegna e il suo futuro: ripristinare la legalità o, al contrario, avvallare la schiavitù militare che ci è stata inflitta e il conseguente lento genocidio; revocare o, all’opposto, continuare ad accordare immunità e impunità ai signori della guerra e delle armi; disgregare o, invece, consolidare il ruolo della nostra isola di campo di battaglia permanente dove tutto è permesso; calare nel reale o, invece, relegare nel libro dei sogni la Costituzione della Repubblica che pone l’ambiente salubre come bene primario, sancisce il diritto alla salute e il ripudio della guerra, puro miraggio se non si accompagna al ripudio delle basi della guerra, dei suoi poligoni, dei suoi arsenali.
Non intendiamo né accollare né delegare alla Magistratura la scelta, eminentemente politica, della soluzione del disastro provocato dalle attività militari. Vogliamo semplicemente che porti avanti il lavoro intrapreso con la necessaria serenità e determinazione.
Continuiamo a puntare sul fatto che i sardi, almeno kentu concas e kentu berittas, si riapproprino della parola, della volontà di decidere e intervenire in prima persona, della capacità di incidere per contribuire, ciascuno nel suo piccolo, anche nel suo territorio più sperduto e più lontano, a mettere fine alla schiavitù militare e al genocidio di Stato. Bastano non cento, ma solo due o tre sassolini per scatenare una valanga..
Comitato sardo Gettiamo le Basi
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